La curia, l’economia, il papa. La riforma di Francesco spiegata dal cardinale Maradiaga
Si intitola «Francesco e noi. I grandi protagonisti del nostro tempo raccontano il Papa più amato e discusso» (Piemme, 312 pagine, euro 17,50). L’ha curato il giornalista del «Sole 24 Ore» Francesco Antonioli e raccoglie le testimonianze di cinquanta persone (filosofi, teologi, scrittori, giornalisti, economisti, imprenditori, politici, artisti) che raccontano che cosa pensano di Jorge Mario Bergoglio, come stanno vivendo questo pontificato e come si sentono coinvolti in ciò che Francesco dice e fa.
Tra gli interpellati ci sono chierici e laici, credenti e non credenti, italiani e stranieri, cristiani e non cristiani. L’elenco comprende Antonia Arslan, Zygmunt Bauman, Nazir Bhatti, Derrick De Kerckhove, Oscar Farinetti, Gustavo Gutiérrez, Cécile Kyenge, Salvatore Martinez, Steve McCurry, Ernesto Olivero, Yahya Pallavicini, Elisabetta Piqué, Domenico Quirico, Bebe Vio, Javier Zanetti. C’è anche l’autore dell’articolo che state leggendo, onorato di far parte della schiera delle persone chiamate a intervenire
Il lettore si farà un giudizio su ciascuna testimonianza. Qui ne vorrei prendere in considerazione una soltanto: è quella del cardinale honduregno Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, salesiano, coordinatore del gruppo di porporati (prima C 8, poi diventato C 9) voluto da Francesco per consigliarlo nel governo della Chiesa, procedere a una riconfigurazione degli uffici vaticani e approdare alla revisione della costituzione apostolica «Pastor bonus» sulla curia romana.
Ciò che dice il cardinale Maradiaga ci consente di capire meglio come si sta muovendo Francesco, quali sono stati fin dall’inizio i suoi desideri e obiettivi, quali le soluzioni che avverte come più impellenti e quali le sollecitazioni ricevute.
Scrive dunque Maradiaga: «Credo che uno dei principali obiettivi del suo pontificato sia di rispondere a un desiderio della maggioranza dei cardinali presenti alle riunioni prima del conclave del 2013. Questa l’istanza: la curia vaticana deve essere riformata. E per tale motivo, già fin dal mese di aprile dello stesso anno, il neoeletto papa Francesco nominò un Consiglio di otto cardinali, e mi chiese di coordinarlo. Il papa vuole la riforma del cuore, la riforma spirituale, proposta nel suo discorso sui “cinque malanni della curia vaticana”, uno sforzo di analisi senza precedenti, di grande sincerità e nello stesso tempo di fermezza».
L’idea di un organo come il Consiglio dei cardinali, spiega Maradiaga, nasce in Francesco anche da un’osservazione largamente condivisa dai porporati durante il preconclave, e cioè che il papa Benedetto XVI non fosse ben consigliato: «Esistevano vari filtri. Uno certamente a livello di nunziature, un altro a livello della Segreteria di Stato. Si suggerì allora che sarebbe stato opportuno un consiglio di cardinali che offrissero al papa altre prospettive, non per competere con nunziature o con la Segreteria di Stato, ma per integrare il loro punto di vista. L’allora cardinale Bergoglio fu precisamente tra coloro che sottolinearono questa esigenza. In effetti fece poi sua questa idea e le diede concretezza».
Maradiaga racconta di essere stato chiamato da Francesco appena quattro giorni dopo l’elezione, e il papa aveva già in mente tutti i nomi dei membri del Consiglio. Chiese: «Te la senti di coordinarlo?». E il cardinale rispose: «Se me lo chiede, devo farlo».
Siamo dunque nel marzo del 2013, ma la prima riunione è programmata, su richiesta del papa, solo a ottobre, un mese dopo l’istituzione ufficiale del gruppo. Lo stesso Maradiaga se ne stupisce e chiede a Francesco il perché di tanto ritardo. Risposta: «Perché ci sia abbastanza spazio per riflettere e raccogliere suggerimenti».
Dunque, inizialmente fanno parte del Consiglio di cardinali l’italiano Giuseppe Bertello, il cileno Francisco Javier Errázuriz Ossa, l’indiano Oswald Gracias, il tedesco Reinhard Marx, il congolese Laurent Monsengwo Pasinya, lo statunitense Sean Patrick O’Malley, l’australiano George Pell. Maradiaga, come detto, è il coordinatore, mentre monsignor Semeraro, vescovo di Albano, fa da segretario. Poi, nell’estate del 2014, si aggiunge il segretario di Stato, cardinale Parolin, e così il C 8 diventa C 9.
Maradiaga rivela che fin dall’ottobre 2013 il papa dà un’indicazione precisa: «Attenzione, la riforma più urgente al momento attuale è la riforma dell’economia. Lasciamo ciò che riguarda la “Pastor bonus” per una fase successiva e poniamo invece in primo piano la riforma economica».
I cardinali si mettono al lavoro e nel febbraio 2014 risulta chiaro che occorre costituire un apposito segretariato per l’economia. «Compito complesso, perché esistevano anche – per così dire – “economie fittizie”, connesse a dicasteri, a enti che avevano un bilancio autonomo in proprio». Insomma, ognuno procedeva per conto proprio. Occorre dunque istituire, dice Maradiaga, qualcosa di simile a un ministero delle finanze e a una banca centrale, «in modo che dettassero linee guida di politica economica e finanziaria, oltre che in sintonia con l’Unione europea dal punto di vista monetario».
È una fase delicata, che porta anche a bloccare «moltissimi conti all’interno dello Ior, che lì proprio non dovevano finire, in quanto collusi con un impiego ambiguo del danaro».
Comprensibilmente Maradiaga non entra nei dettagli, ma la sua ricostruzione è chiara nell’indicare le preoccupazioni e le priorità indicate dal papa. È così che si arriva all’istituzione del nuovo segretariato per l’Economia presieduto dal cardinale Marx, con il cardinale Pell come segretario.
Annota Maradiaga: «A volte si parla di beni e di ricchezze del Vaticano. In realtà si tratta di beni artistici, certo inestimabili. Ma il budget corrente dello Stato del Vaticano è inferiore a quello di alcune grandi diocesi del mondo, come, poniamo, l’arcidiocesi di Colonia. Mentre il bilancio di spesa del Vaticano continua ad aver bisogno di cospicue entrate. Si pensi che le nunziature sono circa centosessanta. Mantenere un corpo diplomatico in tutti questi paesi incide pesantemente sul bilancio corrente. Si potrebbe obiettare: perché non ridurlo? Ma sono proprio gli Stati che non lo vogliono: anche gli Stati di recente costituzione ritengono un onore avere relazioni diplomatiche con la Santa Sede e per il principio di reciprocità non li si può disattendere».
«Quasi tutto il bilancio di spesa ordinaria – spiega Maradiaga – si regge sulle entrate dei Musei Vaticani. Sono molto frequentati, certo. Coprono comunque le spese correnti. Ulteriori introiti derivano da offerte, affitti di alloggi di proprietà, quote di rendita versate dallo Ior, Obolo di San Pietro, destinato a opere di carità del Santo Padre. A parte, poi, stanno donazioni e lasciti a Propaganda Fide. Essi godono di bilancio autonomo secondo le volontà esplicite di coloro che li destinarono alle missioni».
Tutto questo ambito di riforma, dice il cardinale, è già stato affrontato dal Consiglio ma continua a restare sotto osservazione. Anche perché molto resta da fare, per esempio per quanto riguarda i beni della Santa Sede in alcuni paesi, per lo più appartamenti a Roma, Parigi, Londra. Beni e investimenti che «se ne sono andati, per così dire, per proprio conto, mentre ora si vuole che siano regolati».
Un altro ambito di riforma riguarda i numerosi mezzi di comunicazione della Santa Sede: dicastero delle comunicazioni sociali, Radio Vaticana, Centro Televisivo Vaticano, L’Osservatore Romano, la Tipografia Vaticana, la Liberia Editrice Vaticana. Dal momento che, anche qui, «ciascuno andava per la sua strada», al fine di un coordinamento è nato un organismo, la Segreteria per la comunicazione, che, sotto la guida di monsignor Dario Edoardo Viganò, ora si occupa di tutto.
Per dare un’idea dei problemi, Maradiaga ricorda che la sola Radio Vaticana «aveva trecentoventisei impiegati», cifra che evidentemente il cardinale ritiene eccessiva, sebbene la radio del papa arrivi in tutti i paesi e trasmetta in quasi tutte le lingue parlate nel mondo.
Il deficit della radio, dice il cardinale, era di ventisei milioni all’anno, qualcosa di insostenibile. Ma il papa ha chiesto di non mandare a casa nessuno. «Linea adottata: escono quelli che vanno in pensione, mentre coloro i quali sono in soprannumero si vede di spostarli a prestare la loro opera in altri settori all’interno del Vaticano».
Infine la riforma della curia, organismo cresciuto «a dismisura», fino a generare «molti organismi pletorici». Di qui una politica di accorpamenti e di riduzione della burocrazia, con la nascita di «segretariati più agili nello svolgere le rispettive competenze». Inoltre «si sono già attuate alcune riforme nello stesso diritto canonico, con i due “motu proprio” in relazione alle procedure di nullità matrimoniale», mentre si continua a lavorare sulla «Pastor bonus» in vista di «una nuova costituzione» che abbia come linee guida «le indicazioni del Concilio Vaticano II sulla collegialità e sulla sinodalità, per ciò che riguarda la definizione delle competenze delle conferenze episcopali in rapporto con il ministero apostolico del Santo Padre».
A questo proposito Maradiaga scrive: «Mi pare che un altro degli obiettivi sia quello di cambiare il modo di esercitare il papato», e in tal senso il coordinatore del Consiglio dei cardinali afferma che già nel Sinodo dei vescovi del 2001 Bergoglio aveva lanciato messaggi sulla Chiesa «in uscita» e come «ospedale da campo», con il papa nel ruolo di «profeta di giustizia».
Insomma, dice Maradiaga, «questo è il percorso», con un’attenzione particolare alle persone. Di conseguenza, su richiesta del papa, occorre operare in modo che chiunque sia legato a cariche nella Città del Vaticano e nella Santa Sede non si senta «fatto fuori».
«In merito ci sono alcuni criteri: quello dei cinque anni come periodo di riferimento per qualsiasi dicastero, al cui compiersi chiunque abbia svolto un servizio deve ritornare alla sua diocesi. Al massimo si può rinnovare l’incarico per un altro quinquennio. Ma alla fine resta un principio normativo quello di tornare al proprio ministero precedente. Un criterio voluto dal Santo Padre per evitare che ci siano carrieristi. La curia vaticana non è una carriera, ma un servizio alla Chiesa».
Cinque anni. Questa annotazione di Maradiaga, legata agli accenni che Francesco ha fatto alla durata del suo pontificato («Io ho la sensazione che il mio pontificato sarà breve, quattro o cinque anni», ha detto al confratello gesuita padre Antonio Spadaro) fa accendere una lampadina rossa. Che ci sia una relazione? Chi vivrà vedrà.
Aldo Maria Valli