Le ragioni del cuore. Ecco Bassetti, il dopo Bagnasco.

«Mi sento più spinto dal cuore che dalla ragione». Il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e neopresidente della Conferenza episcopale italiana, si presenta così all’indomani della sua nomina. Ascoltiamolo.

«Avverto la necessità evangelica di cogliere i segni dei tempi. Dio parla attraverso sole e tempesta, un prato fiorito e il terremoto. Basta saperli cogliere, questi segni, e poi agire. Subito dopo l’elezione mi sono definito un improvvisatore. Non che faccia le cose senza pensare. Diciamo che sono più colto dalle ragioni del cuore che da quelle dell’intelletto».

Settantacinque anni, toscano, Bassetti dice che in questa stagione della sua vita avrebbe tanto desiderato ritirarsi in una «parrocchina» di campagna, per esprimere quella spiritualità che invece non ha mai potuto coltivare appieno, perché fin da giovane gli sono stati affidati incarichi di responsabilità, con tutte le difficoltà che ne seguono.

«Pensi  che mi misero alla guida del seminario minore nel 1968: Dico: nel 1968! Quando i seminari incominciavano a chiudere! E ora… il papa mi ha dato questa nuova bicicletta!».

Dunque niente pensione e niente «parrocchina». Ma come vede il crepuscolo della vita?

«Dalle mie finestre, quando stavo a Massa Marittima, vedevo la Corsica innevata e il tramonto, e pensavo: ecco il preludio di un nuovo giorno. Vedo il crepuscolo della mia vita così: un tramonto, che però non è la fine, è quando ci si prepara al nuovo giorno».

Come racconterebbe queste ultime giornate di assemblea della Cei?

«Ero partito confidando nella mia “giovane età” e pensavo: ora vediamo chi sarà eletto. Mi era giunta qualche voce, ma non davo retta. Invece fin dalle prime votazioni ho visto un interesse su di me. Ho provato un certo sgomento, ma l’affetto dei vescovi e del Santo Padre mi hanno incoraggiato e ho pensato: insieme potremo ancora fare qualcosa di bello».

Come ha giudicato l’intervento del papa in assemblea?

«Doveva leggere un discorso e invece ha scelto di dialogare con noi, in grande libertà, per due ore e mezza, ascoltando tanto, con grande pazienza. Poi, leggendo il testo scritto, vi ho trovato una chiara esposizione dell’”Evangelii gaudium”. Gli sta a cuore la conversione pastorale della Chiesa, un cambiamento di mentalità, di cuore. Ma naturalmente ci vogliono le mani per attuare quanto il papa insegna. Direi che il messaggio centrale è l’inclusività. La Chiesa accoglie tutti, come la rete del pescatore Pietro, specie nelle periferie, e allora ecco l’importanza della Chiesa ospedale da campo, come dice Francesco. Sessant’anni fa don Mazzolari ebbe la stessa intuizione, quando parlò della parrocchia come dell’ambulanza per chi non ce la fa: lo stesso concetto! Di qui la comunione, la collegialità, la sinodalità, che vuol dire non solo camminare insieme, ma camminare sulla stessa strada».

Come sarà il suo rapporto con la politica?

«Dialogherò con tutti, come la Chiesa postconciliare ha sempre fatto. Rispetto tutti i partiti. Ma la Cei vuole impegnarsi nel rapporto con la politica con la P maiuscola, quella che riguarda il bene comune».

Altri tema caldo: l’accoglienza dei migranti.

«Sull’accoglienza il discorso è complesso. La letteratura biblica e il magistero della Chiesa insegnano il dovere dell’accoglienza del profugo, dello straniero, della vedova. Chi è profugo va accolto, non c’è alcun dubbio. Ma naturalmente l’Italia fa parte dell’Europa e l’Europa del mondo. Siamo di fronte a problema epocale che durerà a lungo. L’impegno della Chiesa per l’accoglienza è chiaro, ma è anche impegno perché nell’accoglienza ci siano regole. È tutto riassunto bene nella campagna della Cei “Liberi di partire, liberi di restare”. C’è un diritto a emigrare ma anche un diritto a restare nella propria terra. Di fronte a quanto succede nel Mediterraneo deve essere ancora più forte la spinta a intervenire perché entrambe le libertà siano rispettate».

Parliamo di pedofilia nella Chiesa…

«La situazione è veramente preoccupante, ma la Chiesa grazie a Dio non sta partendo da zero. C’è stato il magistero di Benedetto XVI, molto chiaro, e la Congregazione per la dottrina della Fede ha emanato disposizioni molto precise. Noi vescovi siamo chiamati a lavorare in contatto con la Congregazione. Purtroppo il male è esteso anche alle famiglie e ad altri tipi di convivenza. La mia nonna diceva i bambini non si toccano, i bambini sono sacri. La pedofilia è un delitto enorme, un crimine grande, ma la Chiesta sta facendo tutto il possibile per combatterlo. Poi se c’è qualche smagliatura non è colpa di nessuno. L’importante è che noi stiamo molto attenti».

Valori non negoziabili. Pericolo eutanasia: che ne pensa?

«Io penso che forse noi tutti stiamo già mancando su un punto. Non diamo a queste persone, ai malati terminali, ai malati di SLA, l’assistenza,  l’amicizia, l’affetto di cui hanno bisogno. Conosco famiglie con malati terminali e di SLA. Li sostengono col sorriso. Finché la persona ha la percezione di essere un valore per gli altri è difficile che voglia morire, che arrivi a togliersi la vita. Penso poi che la legislazione dovrebbe tenere molto più conto del parere del medico che sta vicino e assiste. Lui ha una grande responsabilità e dovrebbe essere coinvolto ancor di più nella sua missione a sostegno del malato».

Sarà a Barbiana per l’omaggio del papa a don Lorenzo Milani?

«Pensi che avevo programmato di andare a Barbiana con i preti per un ritiro spirituale. Poi il papa ha annunciato la visita e allora… “ubi maior”… Ci sarò col cuore. Don Milani l’ho conosciuto bene. Nella mia formazione di fede e umanistica devo tanto alla Chiesa fiorentina per una serie di uomini che la provvidenza ha fatto nascere a Firenze e mi sono stati maestri di vita. Per esempio La Pira,  che diceva: l’uomo ha bisogno del pane e della grazia. Ringrazio Dio di essere cresciuto in questo umanesimo. A proposito di questo clima, ricordo un episodio del 1966, durante l’alluvione di Firenze. Ero giovanissimo viceparroco a San Salvi e lì vicino c’è la sinagoga. Incontrai il rabbino Belgrado, uomo eccezionale per spiritualità, che mi disse: “Quando ho visto che l’acqua cresceva, mi sono posto il problema: salvare prima la Torah o i miei figli? Ho salvato prima i rotoli e Dio mi ha illuminato e ho avuto la forza per salvare anche i miei figli”. Non dimenticherò mai questa scelta di coscienza e di fede».

Parliamo di «Amoris laetitia», documento controverso. Le piace?

«Secondo me è un vero capolavoro sull’amore cristiano e la famiglia. C’è un’indicazione di fondo che va capita. Noi non dobbiamo dire che ogni situazione irregolare è peccato mortale, perché se prendiamo il Catechismo vediamo che il peccato mortale c’è solo se ci sono numerose condizioni concomitanti. Il papa non parla di ammissione o non ammissione ai sacramenti, ma di discernimento. Chiede di verificare la reale situazione della coppia e di iniziare, se necessario, un percorso, anche penitenziale. Non è un documento opinabile. Chi fa osservazioni critiche sbaglia. Il Papa ha precisato che si tratta di magistero, come quello dei suoi predecessori».

Nel 2018 il sinodo per i giovani. Quali le linee indicate dal papa?

«Non svelo segreti se dico che il Santo Padre dà enorme importanza a questo tema. Noi guardiamo ai giovani con cuore di pastori. La nostra preoccupazione è che nessuno rubi loro la speranza. Ci sono tanti lupi rapaci che fanno di tutto per rubare la speranza dal cuore dei ragazzi. Noi invece vogliamo che i giovani siano coraggiosi, forti, altrimenti facciamo l’arca di Noè dei deboli. Non è vero che l’unione fa sempre la forza. Non la fa se siamo tutti deboli. La nostra richiesta incessante è che si attuino le condizioni per cui i giovani possano lavorare, avere una missione nella vita. Mi scandalizzavo del trentacinque per cento di disoccupazione dell’Umbria e poi alcuni confratelli di altre regioni mi hanno detto che da loro si arriva al cinquanta per cento. Quando tutti gli sbattono la porta in faccia, un ragazzo diventa apatico. È terribile. La mancanza di lavoro toglie la dignità. Purtroppo, come ha detto il cardinale Bagnasco, il nostro grido su famiglia e giovani è stato spesso trascurato».

Chiesa povera e per i poveri, dice Francesco. Che ne pensa?

«Mi sembra che nel suo magistero papa Francesco abbia fatto un passo avanti rispetto al magistero precedente. Prima i poveri erano definiti gli ultimi. Francesco ha introdotto un altro termine: scarto. Questa è una società che emargina e produce scarti. Scarto significa spazzatura. C’è da riflettere. L’ultimo, in una comunità, fa comunque parte del gruppo. Invece lo scarto non ha dignità, non è più considerato persona, è un rifiuto. Ecco perché il papa dice di stare attenti agli ingranaggi che producono questa cultura dello scarto».

Eminenza, ultima domanda. Come si definisce? Progressista o conservatore?

«Mah… io non mi sono mai posto questo problema, se progressista o conservatore. Forse, per la vita che ho fatto, sono un po’ anticonformista».

 

Aldo Maria Valli

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