In ricordo del cardinale Husar, testimone della fede

Il 31 maggio è morto il cardinale Lubomyr Husar, arcivescovo emerito della Chiesa greco-cattolica ucraina. Era nato il 26 febbraio 1933 a Leopoli, la città dalla quale fu costretto a fuggire con i genitori nel 1944, a causa dell’avanzata delle armate russe. Dopo la guerra lavorò tra i connazionali rifugiati in Austria, poi emigrò con la famiglia negli Stati Uniti. Divenuto sacerdote nel 1958, studiò in America e in seguito alla Pontificia Università Urbaniana di Roma. Divenuto vescovo in forma privata nel 1977 (per consacrazione del leggendario cardinale Josyf Sliypi), dopo il crollo dell’Unione Sovietica tornò in patria come direttore spirituale del  seminario dello Spirito Santo, rinato in seguito alla riacquistata libertà. Fu riconfermato pubblicamente vescovo e nel 2001 Giovanni Paolo II lo nominò arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica in Ucraina,  lo fece cardinale e nello stesso anno gli rese visita nel corso della storico viaggio in Ucraina. Nel 2005, alla morte di Giovanni Paolo II, il nome del cardinale Husar venne fatto tra quelli dei possibili papabili. Nel 2011 Benedetto XVI ne accettò la rinuncia per raggiunti limiti di età, ma il cardinale Husar mantenne un ruolo attivo nella vita sociale e religiosa dell’Ucraina. Suo grande merito è di aver gestito la Chiesa greco-cattolica ucraina dopo la caduta dell’Urss, curando le ferite causate dalla lunga persecuzione e continuando a lavorare per l’unità dei cristiani.

Lo intervistai nel giugno del 2001 a Leopoli, in occasione del viaggio di papa Wojtyła, e conservo il ricordo di un uomo sorridente, amichevole, paziente, coraggioso, un autentico testimone della fede. Quando gli chiesi se e come considerasse possibile il ritorno all’unità dei cristiani, rispose con semplicità e insieme con fermezza. Disse che per ristabilire la comunione le Chiese orientali ortodosse non avrebbero dovuto cambiare nulla, ma aprirsi alla piena comunione col successore di Pietro. A quel punto, spiegò, le Chiese cattoliche d’Oriente avrebbero potuto considerare conclusa la propria funzione storica. Erano quelli gli anni in cui i greco-cattolici dell’Ucraina (i cosiddetti «uniati») potevano finalmente tornare a professare il proprio credo alla luce del sole e Husar era il loro indiscusso punto di riferimento.

Leopoli, la bellissima Leopoli di stampo asburgico, così lontana dallo stile sovietico (per storia, architettura, cultura) era una città in fiore. Arrivato da Kiev in treno, su un convoglio che ricordava l’Orient Express, andai in visita alla cattedrale di San Giorgio, dove squadre di operai erano al lavoro per renderla ancora più splendente prima dell’arrivo del pontefice.

Passata ai sovietici nel 1939 in seguito agli accordi con i nazisti per la spartizione della Polonia, Leopoli fu teatro di terribili repressioni, con lo sterminio della comunità ebraica. Liberata nel 1944, fu subito inglobata nell’Urss e soltanto nel 1991 ritrovò la libertà con l’indipendenza dell’Ucraina. In quel 2001, mentre aspettavamo l’arrivo del papa, in piazza Ploshcha Rynok, la vecchia piazza del mercato, contornata da splendidi edifici, intere famiglie passeggiavano godendosi l’estate. Andai anche al seminario greco-cattolico e toccai con mano il fervore e la gioia di una Chiesa che, uscita dalle catacombe, era chiamata alla sfida di affrontare i tempi nuovi senza venir meno alla propria identità. L’arcivescovo Husar  fece capire di essere perfettamente consapevole delle difficoltà, specie per quanto riguardava le profonde divisioni in Ucraina.  Anche di recente, il cardinale aveva fatto sentire la sua voce, sostenendo che la processione pan-ucraina della croce, svoltasi nel luglio 2016 riunendo fedeli in marcia dall’Est all’Ovest del paese, aveva di fatto un significato politico, in funzione pro-russa.  «Il patriarcato di Mosca è stato spesso usato come uno strumento nelle mani degli aggressori», dichiarò  in quei giorni l’arcivescovo Shevchuk, successore di Husar, facendo riferimento alla presenza russa nelle regioni ucraine dell’Est, segnate dagli scontri tra l’esercito governativo e i ribelli filo-russi. È stata un’operazione cinica, disse Husar in merito alla processione e scatenando così la dura reazione della Chiesa ortodossa russa, che parlò di atteggiamento politicizzato e aggressivo dei leader greco-cattolici in Ucraina.

L’Ucraina è paese di antichissima cristianità, ma è anche uno dei loghi in cui i cristiani sono più divisi. La sua tradizione bizantino-ortodossa è frammentata. Oltre ai greco-cattolici ci sono tre grandi «famiglie» ortodosse, che rispondono a Mosca (Chiesa ortodossa ucraina – Patriarcato di Mosca), a Kiev (Chiesa ortodossa ucraina – Patriarcato di Kiev, non riconosciuta canonicamente) e a Costantinopoli (Chiesa ortodossa autocefala ucraina).

Di rito orientale e lingua liturgica ucraina, la Chiesa greco-cattolica mantiene la comunione con la Chiesa di Roma e dal 2005 ha spostato la sua sede da Leopoli a Kiev. Perseguitati prima sotto lo zar di tutte le Russie e poi sotto l’Unione Sovietica, gli uniati hanno sempre opposto una resistenza eroica. Nonostante le deportazioni in Siberia e le pesanti discriminazioni, hanno mantenuto accesa la fiammella della fede, fino a quando, all’epoca di Giovanni XXIII, in seguito alle nuove relazioni tra Mosca e Santa Sede, fu possibile ottenere il rilascio dai gulag siberiani di membri della gerarchia cattolica uniate, come nel caso di monsignor Josyp Slipyi, nominato cardinale «in pectore», cioè in segreto, da papa Roncalli e poi pubblicamente nel 1965 da Paolo VI.

Nel 2001, nello storico viaggio in Ucraina, Giovanni Paolo II chiese e offrì il perdono agli ortodossi, specie a quelli del Patriarcato di Mosca, i più ostili a Roma, sottolineando il comune passato di martirio sotto nazisti e comunisti. Al suo arrivo il papa polacco disse: «Quale carico immane di sofferenze avete dovuto sopportare negli anni trascorsi! Ma ora state reagendo con entusiasmo e vi riorganizzate cercando luce e conforto nel vostro glorioso passato. Il vostro intendimento è di proseguire con coraggio nell’impegno di diffondere il Vangelo, luce di verità e di amore per ogni essere umano. Coraggio! È un proposito che vi onora, e certo il Signore non vi lascerà mancare la grazia per portarlo a compimento[…].Nel corso dei secoli questo paese è stato crocevia privilegiato di culture diverse, punto di incontro tra le ricchezze spirituali dell’Oriente e dell’Occidente. C’è nell’Ucraina un’evidente vocazione europea, sottolineata anche dalle radici cristiane della vostra cultura. Il mio augurio è che queste radici possano rinsaldare la vostra unità nazionale, assicurando alle riforme che state attuando la linfa vitale di valori autentici e condivisi!».

Ricordo che seguii gli interventi del papa mescolato a fedeli ortodossi e greco-cattolici. Comune era la speranza che si potesse aprire una pagina nuova.  Ricordo anche che le persone, tra le quali tanti bambini, alla messa del papa ricevevano la comunione in ginocchio e sulla bocca. Fu un momento di grande speranza.

Purtroppo a partire dal 2014 nell’Ucraina orientale la parola sarebbe tornata alle armi.

Aldo Maria Valli

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