Cardinali, vescovi e “Amoris laetitia”. Qualche conteggio

Per chi si occupa di sport questa è stagione di cifre, tabelle, consuntivi, classifiche. Anche nella Chiesa, comunque, c’è da fare qualche conto.

Parlo di cardinali, vescovi e «Amoris laetitia». E parto dalla Conferenza episcopale polacca, che a Zakopane ha concluso la sua assemblea generale con una dichiarazione del presidente, monsignor Pawel Rytel-Andrianik, secondo il quale l’insegnamento della Chiesa, per quanto riguarda la Santa Comunione per quelle persone che vivono in relazioni non sacramentali,  «non è cambiato dopo “Amoris Laetitia”».

Nella loro dichiarazione pubblica, i vescovi polacchi spiegano che i cattolici che vivono tali relazioni dovrebbero essere portati «ad una vera conversione» e, facendo riferimento alla «Familiaris consortio» di Giovanni Paolo II, ribadiscono che l’accesso ai sacramenti per i risposati è possibile solo se essi vivono in un rapporto fedele e casto.

Dunque, dopo che monsignor Jan Watroba, presidente del Consiglio per la famiglia della Conferenza episcopale polacca, aveva già espresso la sua posizione a favore dell’insegnamento di Giovanni Paolo II, e dopo che l’ausiliare di Lublino, Józef Wróbel, aveva sostenuto la scelta dei quattro cardinali che hanno inviato a Francesco i loro «dubia» su «Amoris laetitia», ora i vescovi polacchi si sono ufficialmente pronunciati anche in forma comune e, a quel che ci risulta, si tratta della prima presa di posizione sostanzialmente critica verso «Amoris laetitia»  da parte di una Conferenza episcopale.

In precedenza tre vescovi del Kazakistan (Tomash Peta, Jan Pawel Lenga e Atanasius Schneider) avevano diffuso, nel gennaio di quest’anno, una dichiarazione congiunta con la quale chiedevano a papa Francesco di «confermare la prassi immutabile della Chiesa per quanto riguarda la verità dell’indissolubilità del matrimonio». E sulla stessa linea era stata una presa di posizione di sei vescovi canadesi dell’Alberta e dei Territori del Nord Ovest, guidati dall’arcivescovo di Edmonton Richard Smith.

Se è vero che alcune conferenze episcopali (Malta, Germania e Belgio), così come nel caso dei vescovi della regione pastorale di Buenos Aires,  hanno pubblicato linee guida in cui si prevede, a determinate condizioni, l’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati, è anche vero che altri singoli vescovi in varie parti del mondo hanno detto che non permetteranno un cambiamento della dottrina cattolica sul matrimonio. Si tratta per esempio di Charles Chaput di Philadelphia, Vitus Huonder di Chur (Svizzera), Wolfgang Haas di Vaduz (Liechtenstein).

Ma è possibile avere un quadro un po’ più completo?

È quello che cerca di fare Maike Hickson, che nel sito «Onepeterfive», riprendendo un conteggio di «Lifesitenews», propone una tabella sulla base delle dichiarazioni pubbliche di cardinali e vescovi.

Eccola.

A favore dei «dubia»

Walter Brandmüller, Raymond Burke, Carlo Caffarra, Joachim Meisner (ovvero i quattro cardinali che hanno firmato i «dubia»), arcivescovo Luigi Negri (emerito di Ferrara – Comacchio), vescovo Charles J. Chaput, cardinale Joseph Zen (emerito di Hong Kong), vescovo Rene Henry Gracida (emerito di Corpus Christi, Texas), arcivescovo Tomash Peta, arcivescovo Jan Pawel Lenga, cardinale Wim Eijk (arcivescovo di Utrecht), vescovo Andreas Laun (Salisburgo, Austria), cardinale Renato Raffaele Martino, cardinale Paul Josef Cordes, vescovo James D. Conley (Lincoln, Nebraska), cardinale George Pell, vescovo Athanasius Schneider,  vescovo Jan Watroba, vescovo Józef Wróbel.

Vescovi e cardinali che si oppongono ai «dubia»

Arcivescovo Bruno Forte (Chieti – Vasto), cardinale Vincent Nichols (arcivescovo di Westminster),  cardinale Donald Wuerl (arcivescovo di Washington), cardinale Orlando Quevedo (arcivescovo di Cotabato, Filippine), cardinale Gerhard Müller (ma, sembra di capire, più per quanto riguarda la forma che la sostanza), cardinale Walter Kasper, cardinale Reinhard Marx, cardinale Fernando Sebastian Aguilar (emerito di Pamplona, Spagna), arcivescovo Mark Coleridge (Brisbane, Australia), monsignor Pio Vito Pinto, cardinale Wilfrid Fox Napier (arcivescovo di Durban, Sudafrica), cardinale Claudio Hummes, monsignor Frangiskos Papamanolis (emerito di Santorini, Grecia), cardinale Blase Cupich (arcivescovo di Chicago), cardinale Joseph Tobin (arcivescovo di Newark), cardinale Christoph Schönborn.

Stando alla tabella, c’è poi un cardinale in posizione intermedia, Angelo Amato, secondo il quale «il dibattito deve proseguire nel rispetto reciproco».

Come si vede, prima del pronunciamento dei vescovi polacchi il confronto era punto a punto, ma ora coloro che si sono dichiarati favorevoli ai «dubia» prevalgono. È chiaro comunque che la questione non è soltanto numerica. Per tanti motivi, la Chiesa polacca ha oggettivamente un peso notevole e il fatto che una Conferenza episcopale come quella abbia deciso di uscire allo scoperto apre una fase nuova.

Aldo Maria Valli

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