Lettera da Lund

Il cielo sopra Lund è una poltiglia biancastra. La pioggia cade finissima e insistente. La cattedrale, costruita cinquecento anni prima che i cristiani si separassero, ha la facciata severa, ma dentro si respira aria di festa. Il Papa è accolto dai reali di Svezia, Carl Gustaf e Silvia, e dal presidente della Federazione luterana mondiale, Munib Younan, nato a Gerusalemme e studi a Chicago. Le note dell’organo regalano solennità, ma la cerimonia è semplice e un applauso nasce spontaneo quando Francesco e il rappresentante luterano firmano la dichiarazione comune. Nel testo si legge: «Mentre siamo profondamente grati per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma, confessiamo e deploriamo davanti a Cristo il fatto che luterani e cattolici hanno ferito l’unità visibile della Chiesa. Differenze teologiche sono state accompagnate da pregiudizi e conflitti e la religione è stata strumentalizzata per fini politici».

Mettersi alle spalle un passato di contrapposizioni, incomprensioni e ferite per costruire una pagina nuova. Questo l’intento dell’iniziativa e del viaggio, che Francesco ha voluto con determinazione. Sono più le cose che ci uniscono di quelle che ci dividono: così ripete spesso Bergoglio, che crede nell’ecumenismo dell’amicizia e dell’incontro personale. I teologi avranno tempo e modo di perfezionare gli aspetti più delicati: intanto conosciamoci meglio e facciamo insieme qualcosa che ci qualifichi come fratelli cristiani. Proteggere l’ambiente naturale, aiutare i poveri, accogliere i profughi: ecco i fronti sui quali si può lavorare di comune accordo. Ma, senza un’adeguata base teologica, tutto ciò non rischia di ridurre le rispettive chiese ad agenzie di assistenza sociale e il dialogo a una forma di cooperativismo? La domanda resta inespressa, e forse è questo il motivo per cui l’incontro non riesce a convincere fino in fondo.

Ma perché lasciarsi prendere sempre dai dubbi e dalle perplessità? Perché pensare alle statue dei santi, ai reliquari e agli altari laterali di cui la cattedrale è stata spogliata a causa della Riforma? Perché pensare all’ultimo vescovo cattolico, Torben Bille, che nel 1536 si arrese ai luterani e fu incarcerato? Perché tornare indietro nella storia fino alla cacciata dei francescani di Lund?  Perché non prendere il buono che c’è in questa giornata? Cinque bambini accendono altrettanti ceri, a sottolineare gli impegni presi. Da cinquecento anni cattolici e luterani sono divisi, da cinquanta hanno ripreso a parlarsi, e ora questi cinque ragazzini vogliono essere il segno di una fase nuova. Come si legge nella dichiarazione: «Mentre superiamo quegli episodi della storia che pesano su di noi, ci impegniamo a testimoniare insieme la grazia misericordiosa di Dio, rivelata in Cristo crocifisso e risorto».

Per capire che luterani e cattolici avrebbero molto da fare, per annunciare il Vangelo in una realtà profondamente secolarizzata, basta guardarsi un po’ in giro. Questo, oltre che il regno di Svezia, è il regno dell’ateismo o dell’indifferenza religiosa. Ad accogliere il Papa non c’è quasi nessuno, se si esclude un gruppo di indomiti neocatecumenali, qualche curioso e tre sparuti manipoli di contestatori: due di cattolici decisamente poco ecumenici, uno di giovani luterani tenacemente antipapisti. Va bene che è un giorno feriale, che fa freddo e piove, ma non si può proprio dire che la piccola ed elegante Lund si sia scomodata per salutare il Papa arrivato da Roma. La città, che è un po’ la Cambridge svedese, non ha modificato i suoi soliti ritmi compassati. Gli studenti filano in bici tra le case dai tetti a punta. I poliziotti controllano la situazione a distanza, ma non riescono a essere molto credibili perché hanno in mano il sacchetto con la colazione. Un po’ di scompiglio si registra soltanto quando arrivano i quattro pullman con i giornalisti al seguito di Francesco, perché i vigili non sanno dove farli posteggiare.

Anche alla Malmö Arena, lo stadio del ghiaccio dove giocano i Malmö Redhawks, tutto si svolge all’insegna della sobrietà e di un certo understatement tipicamente scandinavo. Alcuni canti, quattro testimonianze, il discorso del vescovo Younan, poi quello del Papa. Questo è ciò che nel programma ufficiale è etichettato come «evento ecumenico». I partecipanti sono più dei tredicimila preventivati, tanto che si è provveduto a mettere in vendita altri biglietti, a cento corone svedesi l’uno, circa dieci euro. Soldi ben spesi, perché finiranno in Siria, per finanziare, in collaborazione con la Caritas cattolica, progetti di aiuto alla popolazione, rappresentata qui dal vescovo di Aleppo, Antoine Audo.

Sul rapporto con i luterani Francesco dice: «Il dialogo tra di noi ha permesso di approfondire la comprensione reciproca, di generare mutua fiducia e confermare il desiderio di camminare verso la comunione piena». Inevitabilmente in queste circostanze si sta sulle generali e trionfano i buoni propositi. Non potrebbe essere diversamente. Se si entrasse nei dettagli, ecco subito i problemi. Per farsene un’idea, basta guardare il volto sorridente di Antje Jackelen: capigliatura grigia ma molto curata, elegante tonaca nera vagamente civettuola, crocifisso d’oro, scarpe con un po’ di tacco. Arcivescova luterana, la signora, o monsignora, Antje è uno dei segni viventi di ciò che divide.  E se poi si pensa che Evra Brunne, vescova a Stoccolma, è lesbica e sposata con una pastora, e la coppia ha un bambino, ecco che si aprono tante domande: quali i margini per un cammino comune? Questi due mondi non saranno, ormai, troppo distanti?

Francesco evidentemente pensa di no. Di qui l’idea di venire a Lund, dove la Federazione luterana mondiale è nata nel 1947 radunando centoquarantacinque chiese di novantotto paesi, per un  totale di oltre settanta milioni di fedeli. Con sede centrale a Ginevra, l’organismo si occupa di teologia, dialogo, evangelizzazione e impegno umanitario. Una macchina ben oliata, con grandi disponibilità, guidata da un segretario generale cileno di cinquantaquattro anni, il reverendo Martín Junge, che resterà in carica (secondo mandato) fino al 2024. Per quella data ci saranno stati progressi nel confronto ecumenico con Roma?

In attesa di risposte, Francesco va avanti con l’ecumenismo dell’amicizia e della conoscenza personale, l’unica via che, a suo giudizio, può dare qualche frutto. Come ha spiegato, prima del viaggio, nell’intervista alla «Civiltà cattolica» (28 ottobre 2016), quando ha raccontato che a Buenos Aires conobbe alcuni luterani ed ebbe un buon rapporto con loro, tanto che a un certo punto, da insegnante di teologia spirituale, invitò un professore della facoltà luterana, Anders Ruuth, svedese, a tenere lezioni con lui. Poi ci furono le amicizie con il pastore della Chiesa luterana di Danimarca, e poi ancora con il pastore argentino David Calvo e con Mercedes García Bachmann, teologa luterana, la cui madre, Ingrid, fu per qualche tempo collega di Jorge Mario nel laboratorio di chimica in cui lavorava il giovane Bergoglio. Insomma, un retroterra significativo, che ora rispunta sotto forma di spinta ecumenica e chissà: dove i dottori sottili della teologia hanno fallito potrà riuscire un Papa dal pensiero non sistematico?

«Una sola parola: avvicinarmi». Francesco riassume così, in modo disarmante, il significato del suo viaggio in terra svedese. «La vicinanza fa bene a tutti. La distanza invece fa ammalare». E quanto sia problematico il concetto di vicinanza la Svezia di oggi lo sa bene. Anche qui, e la cosa ha dell’incredibile conoscendo questo modello sociale, si sono avuti i primi scontri e i primi segnali di insofferenza verso gli immigrati. Perché di fatto, in questo paese di poco meno di dieci milioni di abitanti, primo in Europa per numero di rifugiati rispetto alla popolazione, è in corso un’invasione, come si vede bene a Malmö, la più cosmopolita delle città svedesi, anche durante la messa celebrata allo stadio nel giorno di Ognissanti: messa aggiunta al programma in un secondo tempo, dietro sollecitazione della piccola comunità cattolica svedese (poco più dell’uno per cento della popolazione) perché il papa non l’aveva prevista ma poi, come ha candidamente confessato lui stesso, pensandoci meglio ha capito che in fondo il primo dovere di Pietro è confermare i fratelli nella fede, specie se sono pochi e, come in questo caso, compongono un arcobaleno di culture ed etnie, visto che i cattolici di Svezia sono per la maggior parte immigrati.

La nuova Svezia, l’accoglienza, l’integrazione. Questioni che Francesco, rispondendo ai giornalisti, affronta durante il volo di ritorno, quando, per la prima volta, parla della necessità, nel gestire il fenomeno, di coniugare l’accoglienza con la prudenza. Se i numeri sono troppo alti, spiega, non c’è più il modo di integrare, ma si creano ghetti. Dunque, cara Europa, se da un lato non devi spaventarti e ricordare sempre che sei nata e cresciuta nell’integrazione di culture diverse, dall’altro procedi con attenzione. E voi, governanti, fate bene i calcoli. Da parte di Francesco, un piccolo cambio di rotta rispetto ad altre prese di posizione sul tema.

 

Aldo Maria Valli

 

 

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