“Ecco perché crediamo a Viganò”

L’arcivescovo Carlo Maria Viganò è un uomo integro che nutre un «sincero amore per la Chiesa», da lui servita con «dedizione disinteressata». Parola dell’arcivescovo di San Francisco, Salvatore Cordileone, che così scrive in una lettera ai fedeli della sua diocesi dopo la pubblicazione del memoriale di monsignor Viganò.
«Ho conosciuto bene l’arcivescovo Viganò durante gli anni in cui ha prestato servizio come nunzio apostolico qui negli Stati Uniti», scrive Cordileone. «Posso attestare che ha svolto la sua missione con dedizione altruistica, che ha realizzato bene il mandato petrino affidatogli dal Santo Padre per confermare i fratelli nella fede e che lo ha fatto con grande sacrificio personale, senza alcuna considerazione motivata dal promuovere la sua carriera. Tutto ciò parla della sua integrità e dl suo sincero amore per la Chiesa».
«Inoltre – continua Cordileone –, pur non avendo informazioni privilegiate sulla situazione dell’arcivescovo McCarrick, dalle informazioni che ho in merito a pochissime altre dichiarazioni rilasciate dall’arcivescovo Viganò posso confermare che sono vere. Le sue dichiarazioni, quindi, devono essere prese sul serio. Lasciarle perdere con leggerezza darebbe continuità a una cultura di negazione e offuscamento. Ovviamente, per convalidare le sue dichiarazioni nel dettaglio dovrà essere condotta un’indagine formale, completa e obiettiva».
Ma Cordileone non è l’unico vescovo statunitense a prendere posizione a favore di Viganò e del suo memoriale. C’è infatti da registrare anche una dichiarazione del vescovo di Phoenix, in Arizona, Thomas J. Olmsted che definisce Viganò «un uomo sincero».
«Sebbene non abbia conoscenza delle informazioni che rivela nella sua testimonianza scritta del 22 agosto 2018, e quindi non mi sia possibile verificarne personalmente la veridicità, l’ho sempre conosciuto e rispettato come un uomo di verità, fede e integrità», scrive il vescovo. Questo il motivo per cui Olmsted ritiene che la recente testimonianza di Viganò debba essere presa sul serio.
«Molte persone innocenti sono state seriamente danneggiate da religiosi come l’arcivescovo McCarrick», conclude Olmsted. «Chiunque abbia nascosto questi atti vergognosi deve essere portato alla luce del giorno».
La dichiarazione di Olmsted è significativa anche perché l’attuale vescovo di Phoenix conosce Viganò da molti anni, fin dal 1979, ai tempi in cui Olmsted entrò al servizio della Segreteria di Stato della Santa Sede.
Di accuse «credibili» contenute nel memoriale di Viganò parla anche il vescovo Joseph Edward Strickland, vescovo di Tyler nel Texas, mentre il vescovo di Tusla, David Austin Konderla, in un tweet dice: «Le accuse da lui [Viganò, ndr] dettagliate costituiscono un buon punto di partenza per le indagini, che devono svolgersi in modo da poter ripristinare la santità e la responsabilità nella gerarchia della Chiesa».
Importante poi il sostegno espresso a monsignor Viganò dall’ex primo consigliere della nunziatura apostolica a Washington, Jean-François Lantheaume, secondo il quale «Viganò ha detto la verità. Questo è tutto».
Anche l’arcivescovo di Filadelfia, Charles J. Chaput, pur dichiarando di «non essere a conoscenza» di elementi che gli permettano di giudicare il grado di veridicità delle dichiarazioni di Viganò, ha tenuto a far conoscere il suo giudizio positivo sul lavoro dell’ex nunzio, «caratterizzato da integrità nei confronti della Chiesa».
Come abbiamo già riferito, stima per Viganò è stata espressa senza mezzi termini dal vescovo di Madison, Robert Morlino, che ha definito «reali e concrete» le affermazioni dell’arcivescovo italiano.
Da non dimenticare poi il sostegno subito espresso a Viganò dal cardinale Raymond Burke e dal vescovo Athanasius Schneider di Astana.
Ed ora il giudizio di George Weigel, docente all’Ethics and Public Policy Center di Washington, nonché celebre biografo di san Giovanni Paolo II (suo è il best seller mondiale Testimone della speranza), secondo il quale Viganò ha dimostrato coraggio, onestà e lealtà verso la Chiesa e il papato.
Scrive Weigel su First Things (https://www.firstthings.com/web-exclusives/2018/08/why-we-stay-and-the-vigan-testimony): «Subito dopo la pubblicazione del memoriale, le polemiche all’interno della Chiesa si sono immediatamente intensificate, rimbalzando attraverso i media. In questa atmosfera febbrile è praticamente impossibile per chiunque dire qualcosa senza destare sospetti e accuse. Ma poiché ho conosciuto bene l’arcivescovo Viganò durante il suo servizio come rappresentante diplomatico pontificio a Washington, mi sento obbligato a parlare di lui, in modo tale, spero, da poter aiutare gli altri a riflettere attentamente sulle sue affermazioni molto, molto serie».
«In primo luogo, l’arcivescovo Viganò è un coraggioso riformatore, che fu allontanato dal Vaticano dai suoi diretti superiori perché si dimostrò deciso a fronteggiare la corruzione finanziaria nel Governatorato, l’amministrazione dello Stato della Città del Vaticano».
In secondo luogo, continua Weigel, «l’arcivescovo Viganò è, in base alla mia esperienza, un uomo onesto». Infatti «abbiamo parlato spesso di molte cose, grandi e piccole, e non ho mai avuto l’impressione che mi dicesse qualcosa di diverso da quello che in coscienza riteneva essere la verità».
«Ciò non significa – continua il professor Weigel – che egli abbia fatto tutto bene; uomo di umiltà e di preghiera, sarebbe il primo ad ammetterlo. Ma lascia pensare che i tentativi di ritrarlo come qualcuno che fa deliberatamente false accuse, qualcuno che non è onesto testimone di ciò che egli crede essere la verità, non sono convincenti. Quando nella sua testimonianza dice che è “pronto a sostenere [queste accuse] sotto giuramento chiamando Dio come testimone”, parla sul serio. L’arcivescovo Viganò sa che, prestando un tale giuramento, se dicesse il falso perderebbe la sua anima».
Non bisogna infine dimenticare, scrive Weigel, che l’arcivescovo Viganò è un leale ecclesiastico che appartiene a una generazione cresciuta per mettersi al servizio del papa. «La sua formazione nel servizio diplomatico pontificio lo porta istintivamente a fare della difesa del papa la sua prima, seconda, terza e centesima priorità». Dunque se egli adesso crede che dare questa testimonianza sia il modo migliore di difendere la Chiesa e il papa, significa che ha motivi davvero molto seri per comportarsi così.
«Ciò che l’arcivescovo Viganò testimonia di conoscere sulla base di esperienze dirette, personali e in molti casi documentabili, a Roma e Washington, merita di essere preso sul serio, non perentoriamente respinto o ignorato. Evidentemente il cardinale Daniel DiNardo, presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, è d’accordo, come chiarisce la sua dichiarazione del 27 agosto. Questo è un altro passo verso la purificazione e la riforma di cui abbiamo bisogno».
Da George Weigel, in un articolo per il Wall Street Journal (A Crisis, but not of Faith, Una crisi, ma non di fede) arriva anche un’analisi a più vasto raggio sul momento attraversato dalla Chiesa cattolica.
Durante la messa, dice Weigel, i cattolici affermano di credere alla Chiesa «una, santa, cattolica e apostolica», ma certamente da alcuni mesi un bel po’ di fedeli, specie negli Stati Uniti, si interrogano su quell’aggettivo «santa». Ciò che abbiamo visto in Cile, Honduras, Irlanda, Gran Bretagna, Australia e Usa, senza contare le polemiche a Roma, ci fa porre una domanda: dov’è la santità in tutto questo?
Non c’è da stupirsi, dunque, se in qualcuno c’è una crisi di rigetto. Tuttavia, annota Weigel, sbaglieremmo se parlassimo di crisi di fede. «La Chiesa cattolica è un’istituzione così grande, affascinante, complessa e leggendaria, e la vita cattolica è così focalizzata su istituzioni come parrocchie, scuole e ospedali, che è facile per i cattolici seri perdere di vista qualcosa di piuttosto semplice: i cattolici non vanno, e non dovrebbero andare, alla messa domenicale perché ammirano il papa del momento, o il loro vescovo locale, o il loro pastore. I cattolici vanno a messa la domenica per ascoltare ciò che crediamo essere la Parola di Dio nella Scrittura e per entrare in ciò che crediamo essere la comunione con Dio mediante Gesù Cristo».
Insomma, per quanto si possano condividere «rabbia e disgusto per ciò che è emerso in questi ultimi mesi», Weigel suggerisce a coloro che presuppongono una crisi di fede di pensare che siamo di fronte a qualcosa di diverso: «Una sfida per capire che cosa è davvero la Chiesa».
La Chiesa è fondata su Gesù Cristo, e da questo fondamento deriva la fiducia nei suoi confronti e nelle sue istituzioni. Quando questa fiducia si spezza, come è avvenuto tante volte nel corso di due millenni, «è importante rifocalizzarsi su quella che è la base della fede cattolica, la fede in Gesù Cristo».
Ecco il motivo, scrive Weigel, che sta alla radice dell’essere cattolici nella Chiesa. Il motivo che porta «a fare ogni sforzo perché la Chiesa possa essere una testimonianza credibile del Signore che offre la comunione con Dio e le parole di vita eterna».
Weigel ricorda che quindici anni fu molto colpito da una coppia di giovani contadini che, mentre lui firmava copie del suo libro, gli dissero che la lettura della sua descrizione della corruzione ecclesiastica, anche allora era al centro dell’attenzione, li aveva spinti a entrare, dopo due anni di indecisione, nella Chiesa cattolica. Ma come, replicò lo scrittore, proprio ora? E quelli risposero: una Chiesa che riesce a essere onesta, ammettendo ciò che è sbagliato al suo interno, dev’essere certamente fondata sulla verità e su Gesù Cristo.
Dunque, non crisi di fede, ma occasione per riflettere su che cosa è veramente la Chiesa. Ed ecco perché chi crede nella guida provvidenziale di Dio deve chiedersi seriamente: perché avvengono queste cose orribili e che cosa dovremmo fare al riguardo?
«La mia risposta, ispirata in parte da quegli agricoltori dell’Indiana nel 2003, è che la Chiesa è chiamata a una grande purificazione attraverso una fedeltà molto più radicale a Cristo, all’insegnamento cattolico e alla missione cattolica. I vescovi che hanno fallito nelle loro responsabilità di insegnanti, pastori e amministratori in genere lo hanno fatto perché hanno messo il mantenimento istituzionale davanti alla missione evangelica. Lasciare che il meccanismo istituzionale cattolico filasse nel modo più liscio possibile, se necessario giungendo a compromessi con la verità e la disciplina, è stato ritenuto più importante dell’offrire agli altri il dono ricevuto: l’amicizia con Gesù Cristo».
Tutto questo cattolicesimo che vive all’insegna del «mantenimento istituzionale», sostiene Weigel, «ora deve finire». Perché «lì c’è poca santità».
La riforma di cui la Chiesa ha bisogno sarà dunque attuata dai veri fedeli, da coloro che, pur stimolati a protestare per la situazione della Chiesa, «non sono stati scossi nella loro fede». Di questa schiera fanno parte vescovi, sacerdoti, laici, uomini, donne, tutti accomunati dal fatto che non si accontentano di quella forma di manutenzione istituzionale chiamata stonewalling [ostruzionismo, tergiversare], sia che provenga dal loro vescovo locale negli Stati Uniti o da Roma».
«Fortunatamente – conclude Weigel – questi cattolici esistono e sono tanti. E questo è il loro momento».
Aldo Maria Valli

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