Istituto GP II / Ecco perché i “pompieri del nuovo corso” non possono spegnere l’incendio

Cari amici di Duc in altum, oggi torniamo sulla vicenda del Pontificio istituto Giovanni Paolo II, sottoposto a un duro processo di “normalizzazione”. Dopo aver pubblicato un appello per la revoca dei licenziamenti, la lettera-appello degli studenti e un’esclusiva intervista al professor Stanislaw Grygiel (uno degli epurati eccellenti), oggi vi propongo un intervento che purtroppo non può essere firmato ma che, come capirete leggendolo, arriva da una persona ben informata sui fatti e sulla storia dell’istituto. Un contributo importante per inquadrare la questione, cogliere lo spessore della posta in gioco e conoscere meglio alcuni dei protagonisti della rivoluzione in atto.

A.M.V.

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Gentile dottor Valli, l’incredibile recente vicenda che riguarda il prestigioso “Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia” (già soppresso dal motu proprio Summa familiae cura di Papa Francesco dell’8 settembre 2017 e formalmente sostituito dallo stesso con il “Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia”) ha visto un violento sconvolgimento del corpo docente e un drastico stravolgimento del piano di studi e dell’orientamento della ricerca accademica. Quanto accaduto nelle scorse settimane sta generando, per un sussulto d’animo e di mente crescente di giorno in giorno, una reazione nel popolo di Dio e tra alcuni suoi pastori (quelli non preoccupati di fare “carriera ecclesiastica”, ma di servire con amore e abnegazione la Chiesa di Cristo e il bene dei fedeli) che non ha precedenti, per intensità e durata, nel pontificato di Papa Francesco. Una “mobilitazione della scienza e della coscienza” dell’amore, del matrimonio, della famiglia e della vita umana si allarga di giorno in giorno e i “pompieri del nuovo corso”, pur disponendo di potenti mezzi di contenimento massmediatico e di dissuasione minatoria (alcuni giornalisti sono stati costretti a rinunciare a scrivere pezzi sulla vicenda dai loro direttori di testata dopo che questi avevano ricevuto pressanti telefonate …), faticano a spegnere l’incendio.

Anche le preoccupazioni (e, in non pochi casi, perfino l’indignazione) per il licenziamento ”senza giusta causa” di alcuni officiali della Congregazione per la Dottrina della Fede e il “congedo prima del pensionamento” del Prefetto della medesima, il cardinale Gerhard Ludwig Müller (avvenuto il 1 luglio 2017), per l’umiliazione ingiustificata del Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il cardinale Robert Sarah (in occasione di una interpretazione “eccessivamente ortodossa” del motu proprio Magnum principium fatta dal porporato guineano) o per il commissariamento di alcuni istituti di vita consacrata “troppo fedeli” al loro carisma originario e ricchi di giovani vocazioni, non avevano generato una risposta intra- ed extra-ecclesiale, privata e pubblica, di così grande intensità e durata, la cui eco persiste tuttora grazie ad alcuni quotidiani e siti web italiani ed internazionali, tra cui Duc in altum

Sarebbe sufficiente rileggere con attenzione quanto dichiarato nelle interviste o scritto direttamente dai protagonisti (loro malgrado) di questa “epurazione” (la parola è uscita anche dalla bocca di un ex Preside dello stesso Istituto, il cardinale Angelo Scola, solitamente assai prudente nei giudizi sui contenziosi ecclesiali) dei docenti e degli insegnamenti, ma anzitutto dello stesso Magistero sulla famiglia e sulla vita umana del fondatore di questa istituzione accademica ecclesiale che ne porta il nome – San Giovanni Paolo II – per chiedersi come il Gran Cancelliere, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, il Preside mons. Pierangelo Sequeri, e i loro Superiori della Curia Romana non si siano ancora decisi a fare marcia indietro.

È da uomini veri, leali e coraggiosi, da animi grandi mossi dalla carità, dalla giustizia e dalla verità (per tacere dell’amore a Cristo e alla sua Chiesa) ritornare sui propri passi, con lodevole umiltà, ammettere il proprio errore e iniziare un dialogo con tutte le parti in gioco: il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, che è strettamente connesso all’Istituto Teologico Giovanni Paolo II, i docenti del medesimo, gli studenti e i vescovi diocesani e i Superiori generali di ogni parte della Chiesa che li hanno inviati a Roma non per iscriversi ai corsi di un qualunque università dove si trattano le questioni dell’amore, della sessualità, della vita e del matrimonio secondo l’antropologia e l’etica “laica”, ancorché in dialogo con quella “cattolica”, ma affinché possano apprendere ed approfondire la bellezza e la verità insita nel corpus del Magistero romano su questi fondamentali aspetti dell’esistenza credente, che ha trovato il suo vertice nell’insegnamento di San Giovanni Paolo II. E invece (almeno per ora) no: le due autorità accademiche sembra stiano preparando un testo di risposta alle critiche che, anziché valorizzare il vero e il bene che è presente in esse (al di là di alcuni toni astiosi e degli accenti polemici, inevitabili in chi è ferito nella sua carne e nel suo animo da provvedimenti unilaterali e coercitivi), denigra e squalifica le tesi avverse contro ogni evidenza e ragionevolezza in esse esibita e che è sotto gli occhi di chiunque: “Solo un cieco non riuscirebbe a vederla”, come ebbe a dire in altre circostanze il cardinale Carlo Caffarra.

Aggiungo solo tre considerazioni, peraltro non estranee alle argomentazioni sinora esibite, ma che mi auguro possano aiutare un ripensamento sull’Istituto Giovanni Paolo II da parte di chi di dovere (almeno questo: se non una ridecisione, che sarebbe giusta e doverosa).

  1. Ammesso (e non concesso, senza il beneficio del contradditorio di fronte all’autorità ecclesiastica superiore, sinora non avvenuto) che i docenti allontanati dall’Istituto abbiano espresso tesi e proposto insegnamenti che sollevano rilievi critici nei confronti dell’esortazione apostolica Amoris laetitia di Sua Santità Francesco, questo operato loro imputato (a) non costituisce, di per sé, un oltraggio né una disobbedienza, e neppure una mancanza di ossequio nei confronti della persona e del supremo ufficio ecclesiale del Papa (da sempre, nella Chiesa, il dissenso su alcune argomentazioni del Magistero non infallibile è distinguibile, e di fatto è stato in numerosi casi distinto, dalla disobbedienza o dall’incitamento alla disobbedienza verso l’autorità costituita, incompatibile con il ruolo di docente in una istituzione accademica pontificia); (b) fa parte riconosciuta e doverosa del lavoro di uno studioso e di un professore che lavora in una università o in un istituto superiore dove sono discipline fondamentali la teologia, la filosofia e le scienze affini (il quale è chiamato ad una intelligenza più profonda delle fonti della Divina Rivelazione e del Magistero) l’esercizio di un vaglio della ragione sulla coerenza interna ed esterna di quanto affermato nei testi magisteriali e sulla continuità nello sviluppo della dottrina in materia di fede e di morale; e (c) questo non ha mai rappresentato motivo di azione disciplinare così drastica e inappellabile nella misura in cui sia stato fatto salvo il rispetto dovuto alla persona del Santo Padre e l’accettazione di quanto concordemente affermato dalla dottrina cattolica nel suo complesso storico e sistematico, in particolare come si è espressa nella sintesi del Catechismo della Chiesa Cattolica, nei Concilii e nell’intero corpus dei testi magisteriali.
  2. Risulta ancor più stridente il fatto che i teologi che si sono fatti sostenitori di questa “censura” nei confronti dei loro colleghi dell’Istituto Giovanni Paolo II, rei di non aver ripensato radicalmente le loro ricerche e il loro insegnamento alla (sola) luce di Amoris laetitia, siano proprio quelli che – in un passato non remoto – non hanno degnato di attenzione valorizzatrice i documenti magisteriali in materia di morale fondamentale e speciale (in particolar modo quella sessuale, familiare e della vita umana). Addirittura, li hanno ferocemente criticati e messi in cattiva luce agli occhi dei loro studenti. Monsignor Sequeri potrebbe facilmente testimoniare come proprio nella Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (FTIS, Milano), di cui egli è stato Preside, venissero bollati come “Denzinger Theologie” (in riferimento alla nota edizione dei testi del Magistero originalmente curata da Heinrich Joseph Dominicus Denzinger e che porta il nome di “Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum”) gli studi, gli insegnamenti e le tesi di baccellierato, licenza o dottorato che assumevano come fondamento o approfondivano in modo sistematico i documenti magisteriali, ritenendo questo approccio non degno di una teologia scientifica, rigorosa, feconda e pastoralmente utile. Tra i critici più duri delle encicliche Veritatis splendor (sulla teologia morale fondamentale) ed Evangelium vitae (sull’etica della vita umana) e dell’esortazione apostolica Familiaris consortio (sulla teologia e la morale del matrimonio) di San Giovanni Paolo II, e dell’enciclica Humanae vitae di San Paolo VI, per tacere di altri documenti magisteriali usciti durante i loro pontificati e da essi approvati (come la dichiarazione Persona humana e l’istruzione Donum vitae della Congregazione per la Dottrina della Fede) figura proprio quel don Maurizio Chiodi che molti indicano come docente di punta della “nuova teologia morale” da approfondire e insegnare nel “nuovo Istituto” di cui è ora Gran Cancelliare monsignor Paglia. Il Preside Sequeri, rinnegando il suo passato recente ai vertici della FTIS in cui insegna don Chiodi e che si è distinta per un rigore metodologico-teologico che non ammetteva nessuna “Denzinger Theologie”, intende forse avvallare ora una “Amoris laetitia Theologie”, che dovrebbe apparire – nella stessa logica della teologia ftisiana – ancor più inaccettabile, in quanto assume come punto di partenza dell’intelligenza della fede e della morale sul matrimonio e la famiglia non l’intero corpus del Magistero, letto nella sua coerenza interna ed esterna e nel suo sviluppo organico, ma un solo documento pontificio, la cui nota teologica non è certo quella dell’infallibilità di un pronunciamento ex cathedra?
  3. Dal punto di vista della giustizia (che non è una prospettiva secondaria per la vita della Chiesa ed i rapporti tra i suoi membri e con la gerarchia dei Superiori), appare stridente il fatto che teologi i quali in passato (durante i pontificati da San Paolo VI a Benedetto XVI), pur essendo pubblicamente critici nei confronti del Magistero per i suoi interventi dottrinali, nei loro corsi hanno insegnato che alcuni suoi testi non sarebbero accettabili per presunta mancanza di coerenza e rigore teologico o di fondamento biblico, non hanno subito nessun provvedimento disciplinare né sono stati allontanati dalla docenza presso università, facoltà o istituti ecclesiastici, ora tacciano o addirittura tifino per le punizioni inflitte ad alcuni loro colleghi dell’Istituto Giovanni Paolo II. E risulta altresì incomprensibile come un Preside che è sempre stato paladino della libertà di ricerca e di insegnamento dei suoi professori alla FTIS si presti adesso ad una operazione di questo genere che coinvolge non pochi docenti delle cui legittime aspettative accademiche egli dovrebbe essere il primo garante. Come non dimenticare che tra i firmatari del famoso Documento di dissenso nei confronti del Magistero dei sessantatrè teologi italiani (15 maggio 1989) figurano Gianantonio Borgonovo, Tullio Citrini, Mario Serenthà, Roberto Dell’Oro e Franco Giulio Brambilla, tutti della FTIS e del Seminario Arcivescovile di Venegono, l’ultimo dei quali è addirittura divenuto vescovo di Novara ed il penultimo membro della Pontificia Accademia per la Vita? Due pesi e due misure per chi ha espresso posizioni critiche accademiche e pubbliche nei confronti del Magistero precedente a Papa Francesco e per coloro che leggono e insegnano Amoris laetitia alla luce dell’intero corpus del Magistero cattolico, incluso quello dell’attuale Santo Padre. Due istituzioni ecclesiastiche e due comunità di docenti, la FTIS di Milano e l’Istituto Giovanni Paolo II in Laterano, che, per accuse neppure comparabili quanto alla gravità della materia, sono state trattate disciplinarmente in maniera palesemente discriminatoria.

E mi fermo alla giustizia: se dovessimo guardare alla misericordia, non saprei proprio che cosa scrivere.

Grazie per l’attenzione e un cordiale saluto.

Lettera firmata

 

 

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