Un antropologo alla Messa

Lo ammetto. Durante la Messa mi distraggo. Molto. Ma non è colpa del celebrante. La colpa è tutta mia. O meglio, della mia passione segreta: l’antropologia della religione.

Che cosa fa l’antropologo a Messa? Osserva i suoi simili. E perché? Per vedere come si comportano. E così ogni celebrazione diventa occasione di studio.

Prendiamo il Credo. Avete presente quando si recita «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo.…». Ebbene, in quel momento bisognerebbe chinare il capo. Ma quanti lo fanno?

L’antropologo, mentre china il capo, sbircia a destra e a sinistra (rischiando il torcicollo), per vedere se altri si ricordano di rendere omaggio all’incarnatus est.  E prende appunti mentali e traccia diagrammi e fa le percentuali. E così verifica che quanti chinano il capo sono una sparuta minoranza.

E che dire della comunione? Quanti la prendono sulla mano? Quanti sulla bocca? Quanti si fanno il segno della croce prima di prenderla? Quanti se lo fanno dopo? Quanti non se lo fanno? Quanti chinano il capo prima? Quanti dopo? Quanti mai? Quanti si inginocchiano? (Ma in tal caso rischiano grosso, perché molti preti accettano tutto, ma non che ci si inginocchi per riverere la santa comunione). Quanti si avviano alla comunione con le mani giunte? Quanti con le mani in tasca? Quanti con le braccia penzoloni lungo il corpo? Quanti con il chewingum in bocca? Quanti senza chewingum?

E come la mettiamo con il sonno? Quanti fedeli, nonostante certe omelie,  stanno svegli? Quanti, a causa di certe omelie, dormono? Quanti dormono fingendo di essere svegli? Quanti sono svegli ma, per motivi loro, fingono di dormire?

E il Padre nostro? Come viene recitato? All’antica o alla moderna? Quanti dicono «e non ci indurre in tentazione» e quanti «e non ci abbandonare alla tentazione»? Per l’antropologo della religione il Padre nostro è ormai un test impegnativo. Perché non basta più sbirciare a destra e sinistra: bisogna pure leggere il labiale, e farlo in fretta! E leggere anche quello dei celebranti, tenendo conto, fra l’altro, che in caso di concelebrazioni possiamo avere un prete che prega alla moderna e un altro all’antica.

E le braccia, durante il Padre nostro, come e dove stanno? Allargate? E quanto allargate? E orientate  verso dove? Verso l’alto o verso il davanti? E le mani? Quanti afferrano la mano del vicino? E quanti non l’afferrano? E quanti fanno per afferrarla ma, accorgendosi che l’altro non gradisce, ritirano in tutta fretta la propria?

E durante la consacrazione quanti stanno in pedi, quanti si inchinano e quanti si inginocchiano? E quanti abbassano lo guardo e quanti invece guardano verso l’altare? E fra quelli che si inginocchiano quanti restano così  fino all’elevazione del calice e quanti invece più a lungo?

E lo scambio della pace? Qui l’antropologo della religione non sa letteralmente dove guardare: dovrebbe avere mille occhi per registrare tutto e tutto catalogare. C’è chi saluta solo il vicino di fianco. Chi saluta anche quello davanti ma non quello dietro. Chi quello dietro ma non quello davanti. Chi quello davanti e quello dietro. Chi si sporge per arrivare due banchi più in là. Chi esce dal banco e va a trovare l’amico o l’amica. Chi esce dal banco, va a trovare l’amico, si accorge di aver sbagliato persona ma ormai è troppo tardi e dunque saluta ma con poca convinzione. Chi esce dal banco, fa per andare a trovare l’amico ma poi ci ripensa. Chi si limita a dare la mano e chi dà la mano e bacia sulla guancia. Chi dà la mano, bacia e abbraccia. Chi non dà la mano ma bacia e abbraccia. Chi non dà la mano, non bacia ma abbraccia.

E il prete come saluta prima dell’omelia? Dice «buongiorno» o «sia lodato Gesù Cristo»? Oppure non dice niente? E alla fine dell’omelia? Dice «amen»? Dice «e così sia»? Dice «Sia lodato Gesù Cristo»? Dice «grazie per l’attenzione e alla prossima». O non dice niente?

E al termine della Messa, dopo l’«andate in pace», il celebrante come si congeda? Con un «buona domenica e buona settimana»? Con un «buon pranzo»? Con un «arrivederci e grazie»? O con un bel niente?

Insomma, dedicarsi all’antropologia della religione nel corso di una santa Messa cattolica  è una faccenda abbastanza complicata.

Verificare i diversi comportamenti permette anche di ipotizzare a quale tribù appartiene il singolo fedele e il celebrante stesso, esercizio a sua volta alquanto impegnativo.

Ormai dire «cattolico» in effetti non vuol dire quasi nulla. Bisogna vedere di quale cattolico parliamo. Bisogna vedere se trattasi di cattolico sciolto o cattolico appartenente a un movimento, a un gruppo, a un’associazione, e a quale movimento, quale gruppo, quale associazione. Se è una cum Benedicto, una cum Francisco o incerto o metà e metà. Se novus ordo o vetus ordo… Senza contare il rischio che ti possa capitare accanto un ambrosiano con le relative stranezze.

Voi capite che alla fine della Messa l’antropologo delle religioni può essere comprensibilmente esausto. Ma la tentazione di misurare e catalogare è troppo forte. D’altra parte, come resistere? La Santa Messa cattolica riserva sempre qualche sorpresa.

L’antropologo, poi, pregusta già gli effetti del prossimo sinodo amazzonico. Tanto per dire, avremo le cerbottane sacre? E quanti le useranno? E quanti intingeranno il dardo nell’acqua santa e quanti nel curaro?

Per l’antropologo delle religioni nuove sfide e nuovi orizzonti. Tutti da esplorare.

Aldo Maria Valli 

 

 

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