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Il valore corredentivo della “compassio” di Maria

Cari amici di Duc in altum, dopo l’omelia del 12 dicembre, quando, durante la Santa Messa nella festa della Madonna di Guadalupe, papa Francesco ha parlato di Maria come di una semplice “donna-discepola” e ha voluto prendere le distanze da un eventuale quinto dogma mariano che riconosca Maria il titolo di corredentrice, il dibattito sulla questione non si è mai arrestato. Ho pubblicato in proposito un contributo del professor Mark Miravalle, mariologo statunitense che si è a lungo occupato del tema, e oggi vi propongo un intervento che mi è stato gentilmente inviato da Silvio Brachetta, redattore dell’Osservatorio cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa. Un testo nel quale lo studioso, illustrando come e in quale misura la qualifica di corredentrice sia applicabile alla Madre di Gesù secondo il grande filosofo e teologo francescano san Bonaventura, aiuta a meglio inquadrare l’argomento, sottraendolo a dispute superficiali.

A.M.V.

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Maria Corredentrice in san Bonaventura da Bagnoregio

Tra gli autori che hanno trattato della mediazione e della corredenzione alla salvezza di Maria Santissima, san Bonaventura è da menzionare in modo speciale, non solo in quanto dottore serafico della Chiesa, ma perché è stato capace di dare la soluzione più elegante, profonda e semplice alla questione. Il serafico è noto non solo per il suo cristocentrismo, ma per la delicata mariologia, al punto da occuparsi «circa tremila volte della Madonna»[1] nelle sue opere.

Bonaventura, in particolare, dedica tutta la sesta conferenza delle sue Collazioni sui sette doni dello Spirito Santo[2] al dono della fortezza in Maria Vergine. Già dall’inizio insiste su un «prezzo» – un «pretium» – che la Vergine avrebbe pagato assieme al Figlio suo, secondo le parole arcane di Proverbi 31, 10: «Il suo prezzo supera quanto viene da lontano e dagli ultimi confini»[3]. Il testo è un crescendo stupefacente d’introspezione nel mistero e può essere paragonato ad uno degli inni mistici e speculativi più elevati in onore della Madre di Dio. Va anche osservato che Bonaventura parla in pubblico[4] nel pieno della sua maturità teologica, sei anni prima dell’anno della morte (1274) e, su questo presupposto, è fondata una maggiore autorevolezza di pensiero.

Antefatti

Il vocabolo «corredentrice» è moderno e non appartiene né all’età patristica, né al Medioevo, fino a tutta la Scolastica e oltre: secondo Manfred Hauke, il vocabolo fa la sua prima comparsa «nel secolo XV, in un inno conservato a Salisburgo»[5]. Il concetto, invece, che sottende a «corredentrice» è presente tra i Padri del primo millennio, seppure in consistenza marginale, rispetto alla ben più poderosa disciplina cristologica e trinitaria. I motivi sono evidenti: la mariologia, come scienza teologica, si è sviluppata attorno e in conseguenza alle dispute accese tra eterodossi e ortodossi sulla realtà di Dio, del Cristo e della sua missione salvifica.

È comunque evidente, fin dal principio del cristianesimo, che vi è – in Maria – un’evidente e singolare complicità o cooperazione alla redenzione di Gesù Cristo. Anzi, l’evento dell’Incarnazione del Verbo altro non è che «l’inizio della redenzione che culmina sul Calvario»[6]. Di certo il suo fiat all’angelo Gabriele non è mai stato considerato qualcosa di neutro rispetto alla redenzione cristica e prende corpo, nel primo millennio, la devozione mariana, legata specialmente ai fatti di Betlemme (Natale) e alla Dormitio Mariae (Assunzione).

In ogni caso – come sostiene Hauke – «nell’epoca patristica, Maria appare come collaboratrice dell’Incarnazione, ma il coinvolgimento attivo sotto la Croce rimane ancora nell’ombra»[7]. E non è un’assenza da poco, poiché la redenzione di Cristo è massimamente riconducibile alla passione e alla morte di Croce. Se, dunque, Maria ebbe un qualche ruolo corredentivo, è soprattutto ai piedi della Croce che andrebbe cercato.

Con il Medioevo la sensibilità religiosa cambia e «si nota un’attenzione maggiore alla compassione di Maria sotto la Croce»[8]. Nelle sacre rappresentazioni, la Vergine è sempre più rappresentata come “donna dei dolori”, mentre autori come Arnaldo di Bonneval, san Bernardo, Giorgio di Nicomedia o Ruperto di Deutz iniziano presentare Maria come «mediatrice» di tutte le grazie di Cristo, oppure come «cooperatrice», per cui «Cristo immolava la sua carne, Maria la sua anima»[9]. E, tuttavia, nonostante alcune eccezioni, «l’associazione di Maria al sacrificio redentore non fa parte della dottrina trasmessa nelle grandi opere sistematiche della Scolastica»[10].

La Vergine «restauratrice» dell’onore sottratto a Dio

L’eccezione summenzionata è, ad esempio, quella di san Bonaventura, che esprime però la sua esegesi mediante un’opera non sistematica – il De Donis, appunto. Uno tra gli autori, che con più chiarezza ha interpretato la dottrina di Bonaventura sulla corredenzione mariana, è stato Vincenzo Cherubino Bigi (1921-2003), padre francescano e studioso tra i più acuti. In una delle sue pubblicazioni[11], sulla teologia del santo di Bagnoregio, Cherubino Bigi scrive proprio sulla sesta conferenza del De Donis e ne coglie l’aspetto mariano corredentivo, fermo restando – come già spiegato – che in Bonaventura (e nei medievali, in generale) non è presente la parola «corredenzione», se non in concetto.

Bonaventura, dunque, nella sesta collazione, accenna subito ad un «prezzo», che è quello di cui parla san Paolo: «Voi siete stati comprati a caro prezzo»[12], mediante il sangue di Cristo. Il vocabolo «prezzo», quindi, sottintende il «prezzo da pagare», da parte di Dio, per l’umana redenzione, dato che «l’uomo da sé non avrebbe potuto rendere soddisfazione»[13]. Dove però – domanda subito il Dottore – si trova tale prezzo? E risponde: «nell’utero della Vergine gloriosa». E ancora: «Il prezzo è di questa donna, […] cioè da lei è stato assunto e da lei è stato pagato e posseduto»[14].

Già da queste prime battute si desume che il ruolo della Vergine, nella redenzione del Figlio, non è solo passivo, ma in qualche modo attivo, poiché non si è limitata ad assumere e possedere il «prezzo» (Gesù Cristo), ma «da lei è stato pagato». Quindi non solo pagato da Cristo, ma anche dalla Madre. E più avanti il serafico conferma: «Essa stessa ha portato, pagato e posseduto quel prezzo»[15]. Ma Bonaventura non si ferma e segue spiegare come la Madre abbia «pagato»: Ella «lo paga da forte e pia». Di seguito, la parte centrale della sua speculazione: «Primo, ella pagò quel prezzo da forte e pia con la pietà della venerazione divina. […] Non vi è alcuno che possa rendere l’onore sottratto a Dio al di fuori di Cristo. E la beata Vergine è veneratrice e restauratrice [venerativa et restaurativa] dell’onore sottratto a Dio, poiché consente, da madre, che Cristo venga offerto in riscatto. […] Anna fu lodata perché offrì Samuele; […] Ella offrì il figlio per servire; la beata Vergine offrì invece il figlio suo per essere sacrificato. […] Viene lodata la vedova povera, perché offrì tutto quello che aveva; quest’altra donna, però, cioè la Vergine gloriosa, misericordiosissima, pia e devota a Dio, offrì tutta la propria sostanza»[16].

È qui evidente – scrive Cherubino Bigi – «la ragione di soddisfazione insita nell’oblazione di Maria», per via del fatto che solo Cristo poteva restituire a Dio l’onore sottrattogli dal peccato; poi però «subito dimostra come la beata Vergine è restaurativa di quell’onore in quanto acconsentì, come madre, che il Figlio fosse offerto come prezzo soddisfattorio a Dio»[17]. Ancora più che nel concetto di «prezzo», appare qui la vocazione peculiare di Maria, che non si limita ad assistere e venerare, ma pure a «restaurare» – in modo del tutto subordinato al Figlio, sebbene attivo – l’onore sottratto a Dio.

«Donna, che c’è tra me e te?»

La Beata Vergine Maria fu «compaziente» agli «stessi dolori di Cristo e con Cristo (compassio ad Christum) per la salvezza delle anime», laddove la compassione non ha qui «solo il senso di avere pietà, ma anche quello più forte di patire insieme o con altri»[18]cum patior (patire con). C’è un doppio carattere – sostiene Cherubino Bigi – della partecipazione di Maria all’immolazione del Figlio: nell’oblazione dolorosa vi è il «carattere soddisfattorio», mentre il «carattere sacrificale» è presente nelle stesse parole di Bonaventura («la beata Vergine offrì il figlio suo per essere sacrificato»); cosicché il «Cristo, oltre che prezzo soddisfattorio pagato da Maria, è anche ostia e vittima offerta da Maria»[19].

In nessun caso, al contrario, alla Vergine – pur avendo un ruolo corredentivo – può essere associata una «soddisfazione de condigno», applicabile solo al Cristo, quanto piuttosto una «soddisfazione de congruo cum dignitate», secondo l’espressione dello stesso serafico[20]. La creatura, insomma, resta creatura e Dio rimane Dio: la «compassio di Maria ha solo valore partecipativo e dipendente». Oltre ciò, solo Gesù è morto fisicamente, non la Madre. Nondimeno, pur essendo la compassio di Maria subordinata alla passio del Figlio, essa ha un autentico valore soddisfattorio e restaurativo dell’onore sottratto a Dio[21], secondo la profezia di Simeone: «E anche a te una spada trafiggerà l’anima»[22].

Il «prezzo pagato» da Maria è un prezzo doloroso e peculiare e, per questo motivo, non può esservi una separazione totale tra compassio mariana e passio Christi. Cherubino Bigi è del tutto esplicito su questo punto: Bonaventura dimostra «come la compassio soddisfattoria [di Maria, ndr] abbia anche il carattere ed il valore di vera corredenzione», poiché egli «vede una stretta relazione tra Maria ed il prezzo della redenzione, in quanto ella lo offrì, lo pagò e lo possedette»[23].

Seppure, inoltre, «la prima azione corredentiva posta da Maria fu la libera accettazione della divina maternità […], l’atto redentivo vero e proprio non fu l’incarnazione, ma bensì la passione e morte di Cristo». E la partecipazione alla Croce fu proprio il prezzo pagato da Maria, come afferma Bonaventura nella medesima sesta collazione:

«[La Vergine] pagò questo prezzo da donna forte e pia, proprio quando Cristo patì sulla Croce per pagare tale prezzo, al fine di purificarci, lavarci e redimerci. In quell’ora la beata Vergine fu presente, accettante e concordante con il volere divino. E piacque a lui che il prezzo del suo seno fosse offerto sulla Croce per noi. […] Gesù dunque vedendo sua madre e lì presente il discepolo che egli amava, disse a sua madre: ecco tuo figlio, cioè: colui che viene dato in prezzo della redenzione del genere umano; quasi volesse dire: È necessario che tu ti privi di me, e che io mi privi di te – e tu che da santa concepisti, offrilo da pia – e ti piaccia, o Vergine, che io redima il genere umano e plachi Dio»[24].

Il serafico applica qui a Maria la categoria della «redenzione», propria del Cristo. E si applica per via di volontà – «In quell’ora la beata Vergine fu presente, accettante e concordante con il volere divino», così come si legge sopra. Il tutto ha una logica immediata, poiché se la Vergine non avesse pronunciato il suo fiat, la redenzione umana, per i meriti del Cristo, non si sarebbe compiuta nella modalità in cui avvenne.

Dio, però, nella sua provvidenza presciente, pur avendo avuto infinite modalità d’incarnazione (a motivo dell’onnipotenza), scelse proprio quella che passava dall’utero della Vergine Benedetta. Non avendo avuto alcuna necessità di condividere i meriti della sua passione e morte con una creatura, il Cristo volle comunque condividerli liberamente con la Madre, perché così convenne al volere eterno e divino del Padre.

Ai piedi della Croce si ha pure la risposta alla domanda di Gesù a Maria, durante le nozze di Cana: «Donna, che c’è tra me e te? Non è ancora giunta la mia ora»[25]. E Bonaventura risponde con Gesù: ora che è giunta l’ora comprendi, Donna, che tra me e te c’è il dolore della Croce e della morte, c’è separazione, ma anche il merito infinito delle mie piaghe, ovvero unione eterna; tra me e te c’è l’abisso tra Dio e la creatura, tra l’infinito e il finito, tra l’immortalità e la corruzione, ma c’è pure l’incarnazione del Verbo e l’unione delle due nature, tra me e te c’è l’amore – «È necessario che tu ti privi di me, e che io mi privi di te», solo per un tempo di pianto, doloroso e limitato.

A Cana non ci fu, allora, un rimprovero di Gesù alla Madre, ma l’anticipazione misterica del sacrificio cruento della Croce.

Vittime innocenti

A parere del teologo Peter D. Fehlner, Maria «gode di una partecipazione unica alle cosiddette operazioni “teandriche” del Figlio suo come Maestro, Re e Sacerdote»[26]. Pertanto, Ella è «come nessun altro, Magistra, Regina, Coredemptrix, ma in un modo tale che il fedele, liberato dal peccato, può partecipare, attraverso di Lei, in vari modi, alla regalità, al magistero e al sacerdozio di Cristo»[27].

È lo stesso Cherubino Bigi che sostiene come in Maria si raggiunga l’eccellenza della sequela e dell’imitazione di Cristo, in particolare in ordine alle sue sofferenze[28]. Eccellenza rivelata anche nelle parole del Crocifisso «Ecce filius tuus» («Ecco tuo figlio», Gv 19, 26): san Bonaventura riferisce quelle parole Gesù, non al discepolo Giovanni, «per mettere in evidenza la partecipazione della Vergine all’azione redentiva di Cristo»[29].

Il teologo francescano precisa che «il vero redentore è solo Cristo» e «Maria invece pagò un prezzo di altri, cioè attraverso la persona del Figlio; pertanto essa è solo corredentrice», avendo però, «come madre, un diritto sul prezzo della redenzione»[30].

Il dottore serafico, quanto al prezzo di Maria, è chiaro: «La donna sente dolore a causa del parto, cioè prima del parto. Ma la Vergine beata non soffrì dolore prima del parto, perché non concepì nel peccato, come Eva […], ma sentì dolore dopo il parto. Onde essa generò prima di partorire, in quanto essa partorì nella Croce […]»[31].

Quanto alla redenzione, c’è un unico elemento che rende la Madre uguale al Figlio: l’assenza di peccato. Entrambi pagarono un prezzo enorme a causa del peccato commesso da altri.

Silvio Brachetta

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Note

[1] Bernardo Commodi, Canto francescano a Maria, San Paolo, 2011, p.75.

[2] Bonaventura da Bagnoregio, Collationes [Conferenze] de septem donis Spiritus Sancti, 1268. Abbr. De Donis. Qua nella traduzione di Pietro Maranesi, Renato Russo e Attilio Stendardi in: Opere di san Bonaventura, Sermoni teologici/2, Città Nuova, 1995.

[3] «Procul et de ultimis finibus pretium eius». De Donis, VI, 3.

[4] Le collazioni sono delle conferenze pubbliche nelle quali le parole del relatore vengono trascritte da uno o più studenti uditori e risistemate in bella copia.

[5] Manfred Hauke, “La cooperazione attiva di Maria alla Redenzione. Prospettiva storica (patristica, medievale, moderna, contemporanea)”, in Telesphore cardinale Toppo et al. (edd.), Maria, “unica cooperatrice alla Redenzione”. Atti del Simposio sul Mistero della Corredenzione Mariana, Fatima, Portogallo, 3-7 Maggio 2005, New Bedford, MA 2005, pp. 171-219. Immaculata Mediatrix 6 (2/2006), pp. 157-189.

[6] Ivi. Cit. da Lumen gentium n. 26.

[7] Ivi.

[8] Ivi.

[9] Cf. ivi.

[10] Ivi.

[11] Vincenzo Cherubino Bigi, Studi sul pensiero di san Bonaventura, Edizioni Porziuncola, 1988, cap. “La compassione corredentiva di Maria Santissima”, pp. 310-318.

[12] 1Cor 6, 20.

[13] De Donis, VI, 3.

[14] Ibidem, 5.

[15] Ivi.

[16] Ibidem, 17.

[17] Cherubino Bigi, Studi sul pensiero di San Bonaventura, op. cit., p. 311. I corsivi sono dell’autore.

[18] Ivi.

[19] Ibidem, pp. 311-312.

[20] Cf. ibidem, p. 312.

[21] Cf. ivi.

[22] Lc 2, 35.

[23] Cherubino Bigi, Studi sul pensiero di San Bonaventura, op. cit., pp. 312-313.

[24] De Donis, VI, 15.

[25] Gv 2, 4.

[26] Peter D. Fehlner, “De metaphisica mariana quaedam”, in Immaculata Mediatrix, 2 (2001), pp. 13-42.

[27] Ivi.

[28] Cf. Cherubino Bigi, Studi sul pensiero di San Bonaventura, op. cit., p. 310.

[29] Ibidem, p. 315.

[30] Ivi.

[31] De Donis, VI, 18.

Aldo Maria Valli:
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