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Replica di monsignor Bux ai sacerdoti della Fraternità San Pio X

Cari amici di Duc in altum, dopo che, il 20 febbraio scorso, monsignor Nicola Bux ha risposto, su mia richiesta, a un lettore che chiedeva lumi in merito alla partecipazione alla Messa tridentina, i sacerdoti del Distretto italiano della Fraternità San Pio X hanno scritto a monsignor Bux una lettera, che vi ho proposto ieri, con alcune osservazioni critiche. E oggi monsignor Bux replica.

A.M.V.

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Ringrazio don Emanuele du Chalard e la Fraternità San Pio X di avermi voluto far pervenire una replica alla mia risposta all’interrogativo posto da un lettore del blog di Aldo Maria Valli.

Innanzitutto, mi pare doveroso scusarmi per la prima versione del testo. Esso era dovuto a una mia svista, peraltro scritta a tarda ora. Quando l’indomani mattina mi son reso conto dell’errore commesso, ho subitaneamente chiesto all’amico Valli di volerla rettificare.

Al di là di ciò, uno dei problemi concernente la Fraternità è il suo status canonico.

Una questione a cui obiettivamente è difficile dare una risposta che sia pienamente convincente.

Non si deve offendere la Fraternità del mio parallelo e dell’analogia con la Chiesa cosiddetta ortodossa. Tutti ricordano che Paolo VI, ad esempio, decise di revocare la scomunica che aveva colpito, nel 1054, i cristiani orientali con la lettera apostolica o breve apostolico Ambulate in dilectione del 1965. Però ciò non vuol dire che i cristiani d’Oriente siano tornati nella “piena comunione” con Roma. Certo, vi sono delle differenze con la Fraternità, che, forse, a rigore, non potrebbe per alcuni neppure definirsi scismatica, perché la normativa canonica (can. 751) definisce lo scismatico come colui che rifiuta la sottomissione al papa, mentre per la Fraternità probabilmente dovrebbe parlarsi di semplice disobbedienza. Si tratta di sottigliezze giuridico-canoniche. Personalmente, ma – ripeto – questa è una mia personale opinione, reputo che il loro stato, se non è proprio di scisma, vi si avvicina molto. Significativamente, del resto, nel 2009 lo stesso papa Benedetto XVI parlava, nella lettera ai vescovi che accompagnava la revoca della scomunica, di «pericolo di scisma», sebbene non di «scisma». Magari, dunque, lo status della Fraternità non sarà di scisma, ma neppure di “piena comunione”.

Scriveva sempre Benedetto XVI: «Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa. Bisogna quindi distinguere tra il livello disciplinare, che concerne le persone come tali, e il livello dottrinale in cui sono in questione il ministero e l’istituzione. Per precisarlo ancora una volta: finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri — anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica — non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa».

Si può condividere o meno questa dichiarazione di Benedetto XVI, ma allo stato è ancora attuale. Non mi risulta che sia stata rivista e modificata. La mancanza di uno stato canonico nella Chiesa alla Fraternità impediva (e impedisce) ai suoi membri di esercitare legittimamente qualsiasi ministero. Certo, a seguito degli interventi di Francesco nel 2015 e poi con la lettera apostolica Misericordia et misera del 2016 è stata accordata ai sacerdoti della Fraternità la facoltà di assolvere e, con lettera del 2017, la licenza per la celebrazione dei matrimoni e persino per le ordinazioni: nell’omelia della messa di ordinazione nel 2016, mons. de Galarreta affermò: «J’ai avec moi la lettre – qui m’a été donnée par Son Excellence Mgr Fellay – , où la Congrégation de la doctrine de la Foi nous dit que nous pouvons procéder aux ordinations sans demander la permission des Ordinaires du lieu ; qu’il suffit de leur donner les noms des ordonnés». E concludeva: «Alors nous ne sommes ni schismatiques, ni des illégaux».

E non vorrei errare, ma la stessa Santa Sede, sin dal 2005 e poi ancora nel 2009, aveva accordato alla Fraternità il mandato per giudicare alcuni casi di abusi sessuali verificatisi all’interno della stessa. Addirittura, il 10 maggio 2015 mons. Fellay annunciava di aver ricevuto un mandato dalla Santa Sede per giudicare, in prima istanza, un sacerdote della Fraternità accusato di uno dei delicta graviora. Stranamente, questo annuncio era fatto durante un’omelia, nella chiesa della Fraternità, in Arcadia, vicino Los Angeles, in California. E sempre mons. Fellay, in un’intervista sulle colonne di Présent (v. anche qui), nel giugno di quell’anno, ammetteva che non si trattava di una concessione eccezionale, ma di una prassi – quella della delega al superiore della Fraternità da parte della Congregazione per la dottrina della fede per giudicare, in prima istanza, i membri che si rendano colpevoli, all’interno della Fraternità, di particolari delitti – in uso da oltre dieci anni prima.

Si tratta indubbiamente di passi notevoli, che tuttavia non mutano nella sostanza lo stato canonico della Fraternità, sebbene lo rendano – diciamo così – ambiguo e in una certa qual zona grigia della legittimità canonica.

Con riferimento alla Comunione, è ben vero che con diverse missive del 2002, del 2003 e del 2005 – quando ancora vigeva la scomunica – la Pontificia commissione Ecclesia Dei osservava che si potesse assolvere all’obbligo domenicale «assistendo ad una messa celebrata da un prete della Fraternità San Pio X». Tuttavia, in una lettera nel 2012, a firma di mons. Pozzo, la stessa Commissione si pronunciava in senso opposto.

Per cui, una risposta definitiva e certa, al momento, sembra assai difficile da poter dare. L’autorità della Chiesa, al momento, non ha ancora sciolto il nodo circa lo status canonico della Fraternità. Ecco perché – con riguardo alla Messa –viene indicata una soluzione pratica di carattere prudenziale, vedendo il loro attuale stato un po’ simile (simile non vuol dire identico!) a quello degli orientali. Ciò non toglie, ovviamente, il merito di un apostolato schietto e sincero svolto dal clero della Fraternità, attraverso anche le opere benemerite come la scuola parentale San Pancrazio di Albano Laziale.

Con riferimento alle altre questioni, segnatamente allo stato di crisi della Chiesa attuale e al tema dei documenti del Concilio Vaticano II, ricordo che esse sono state oggetto di vari colloqui ai quali mi è capitato di partecipare. Si tratta di questioni difficili, ma certamente non insuperabili, con un po’ di buona volontà da entrambe le parti. Ricordo però soltanto un dato: lo stesso Pio XII pensava a un Concilio in vista di rinnovare la vita della Chiesa. Del resto, la sua riforma dei riti della Settimana Santa manifestava questo intendimento. Una riforma che all’epoca si avvertiva da più parti. Riferisco solo un aneddoto: un tempo, il martirologio romano, secondo le ricerche storiche, venerava il 27 novembre di ogni anno un santo eremita, tal san Ioasaf (insieme a un altro strano santo chiamato Barlaam), che altri non sarebbe che Buddha, come ci racconta l’ottimo testo degli storici Silvia Ronchey e Paolo Cesaretti Storia di Barlaam e Ioasaf. La Vita bizantina del Buddha (Einaudi). Oggi, l’odierno martirologio, come logico che fosse, non contempla più questo “santo”. Questo per dire che, nel corso di due millenni, si era accumulata una serie di orpelli, non sempre coerenti e logici. Era giusto, diciamo così, rimuovere quelle foglie secche. Che poi ciò sia stato preso a pretesto per rimuovere anche i rami verdi e venire a intaccare persino lo stesso albero della fede, questo è un altro discorso. Certo, la crisi attuale della fede è innegabile. Penso però che sia un errore far risalire tutto al Concilio, ma soprattutto all’interpretazione che di questo è stata data. Mi sento di suggerire, per questo, il libro di Agostino Marchetto Il Concilio ecumenico Vaticano II. Per la sua corretta ermeneutica (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2012). E anche il sintetico: W.Brandmueller – A.Marchetto – N.Bux, Le “chiavi” di Benedetto XVI per interpretare il Vaticano II (Cantagalli, Siena 2012).

Un ultimo appunto, senza polemica: mi viene detto che io contesterei «volentieri il Papa regnante, ma non ne assume[rei] alcuna conseguenza». E ancora che, per me, «gravissime eresie possono essere diffuse nella Chiesa senza che questo renda lecita e necessaria una resistenza come quella che, coraggiosamente, intraprese monsignor Lefebvre». A ben vedere, mi verrebbe contestata una mancanza di coerenza, quando, a onor del vero, anche alla Fraternità potrebbe muoversi analoga obiezione, visto che si sono accettati i vari riconoscimenti – che ho ricordato sopra – da chi diffonderebbe «gravissime eresie […] nella Chiesa». Logica e coerenza vorrebbero che non si accettassero “riconoscimenti” da chi diffonde gravissime eresie. Invece, a quanto mi risulta, quei riconoscimenti, sia pur parziali e limitati, non sono stati, diciamo così, “rispediti al mittente”. E questo lo dico, ripeto, senza alcuna vena polemica, ma per ribadire che l’attuale crisi della Chiesa è inedita. Forse la stessa crisi ariana del IV-V secolo d.C. è solo lontanamente assimilabile a quella odierna. Che dire? Per quanto mi riguarda cerco – nei limiti delle mie possibilità – di tenere ferma la mia professione di fede e, con diversi amici, cerchiamo di studiare eventuali soluzioni, invocando comunque l’aiuto divino, affinché il Signore voglia intervenire per far cessare questa tempesta nella sua Chiesa.

La disobbedienza, o che dir si voglia, porta in sé come conseguenza ulteriori frammentazioni, dai quali nessuno può sentirsi esentato; chiunque pratica questa via, ne sperimenta poi le conseguenze con ulteriori distacchi di parti al suo interno. Se invece si rimane nell’unità del tutto, nella comunione della Chiesa, come hanno fatto i santi, si può sperimentare come essa pian piano si autorigeneri. Nessuno di noi è senza peccato, perciò non bisogna prendersela con gli uomini di Chiesa, ma con sé stessi e perorare ogni giorno la conversione del cuore. Se amiamo la Chiesa come nostra madre, proclameremo sempre la verità con umiltà, ma preferiremo la persecuzione pur di evitare ogni divisione. Bisogna custodire il bene prezioso dell’unità, scrive san Giovanni Crisostomo.

In Domino Iesu

Nicola Bux

 

 

 

Aldo Maria Valli:
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