I cattolici al tempo del coronavirus / 9

Cari amici di Duc in altum, ecco altre testimonianze, dall’Italia e dall’estero, per la serie I cattolici al tempo del coronavirus. Invito di nuovo a scrivermi utilizzando la mia pagina Facebook e indicando la località. Grazie.

A.M.V.

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Qui Castellammare di Stabia (Napoli)

Rivolgo un appello a tutta la grande famiglia del blog Duc in altum. Come atto di riparazione da vivere tutti insieme, anche se abitiamo in città diverse della nostra amata Italia, invito tutti il giorno 5 marzo, primo giovedì del mese, a partecipare con devozione (chi può) alla Santa Messa e a sostare almeno mezz’ora in adorazione davanti al tabernacolo per riparare le offese che tanti pastori hanno arrecato al Signore Gesù chiudendo le chiese e non celebrando l’Eucarestia! Invece di confermarci nella fede hanno mostrato il volto di una Chiesa priva non solo di fede, ma anche di amore e rispetto per tanti fedeli lasciati senza l’Eucarestia. Coraggio! Vi chiedo, se potete, di diffondere questo appello. Sarebbe bello vivere l’adorazione contemporaneamente tutti insieme.

Vi saluto con affetto e grazie di cuore a lei, caro Valli, per Duc in altum, blog sempre più seguito. Vi lascio una frase meravigliosa di Nostra Signora di Anguera: “Non c’è vittoria senza croce”. E una della beata Alexandrina Maria da Costa: “L’Eucarestia è la soluzione a tutto!”.

Piergiorgio Cesario

Castellamare di Stabia (Napoli)

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Qui Pachino (Siracusa)

Caro Valli, voglio segnalarle che mentre tanti nostri fratelli del Nord Italia soffrono a causa dell’abolizione delle Sante Messe causa coronavirus, altrove c’è chi abolisce la Messa per un altro virus, che si chiama catto-progressismo. Come a Pachino (Siracusa), dove nella parrocchia di San Corrado Confalonieri il 2 marzo non è stata celebrata le Messa delle ore diciotto perché, “secondo la disposizione della nostra diocesi – così scrivono i padri canossiani che reggono la parrocchia – saremo impegnati nella basilica cattedrale di Noto all’incontro diocesano unitario con la presenza di don Luigi Ciotti”. Capito?

Lettera firmata

Pachino (Siracusa)

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Qui Ungheria

Una città ungherese, prima domenica di Quaresima. La chiesa è sufficientemente piena, ma con la mia famiglia siamo arrivati un po’ in anticipo e troviamo ancora qualche posto libero. Mi siedo avanti con la seconda e la quarta figlia, mentre mia moglie resta in fondo con la terza, oggi piuttosto irrequieta.

Gli echi del coronavirus sono lontani. Il caso più vicino è a Vienna, e grazie a Dio noi a Messa ci possiamo andare.

Leggendo, in Duc in altum, le testimonianze di chi domenica è andato a Messa in Svizzera o ha partecipato a Messe clandestine, ho ripensato a certi racconti dei miei suoceri sui cattolici durante il comunismo oltrecortina. Erano costretti ad andare a Messa di rado, lontano da casa, dove nessuno li conosceva, nella paura di perdere il posto di lavoro o di altre ritorsioni. Mi sono ricordato in particolare del racconto della prima comunione di mia suocera e delle sue sorelle. Furono portate in una città a quaranta chilometri da casa, senza altra preparazione al di fuori di quella ricevuta dai genitori, badando bene che alle bambine non uscisse nulla di bocca su Gesù e la Chiesa, nemmeno quando, il giorno dopo, le maestre avrebbero fatto le solite domande trabocchetto.

Certo, posso capire che qualche vescovo italiano abbia voluto evitare alla Chiesa l’onta di essere accusata di insensibilità verso la salute pubblica. Però le domeniche con le chiese vuote non sono un buon segno. Per niente. Speriamo che duri poco.

Carlo Volpe

Mosonmagyaróvár (Ungheria)

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Qui Pesaro

Caro Aldo Maria, nella prima domenica di quaresima ho potuto recarmi a Messa perché, dopo alcuni giorni di sottomissione dei vescovi ai dettami della politica regionale, il popolo è stato nuovamente ammesso alle celebrazioni. Non c’era tanta gente e ho pensato: forse sarà la paura del contagio, o forse saranno rimasti a casa a seguire la Messa in streaming, molto pubblicizzata.

Durante la celebrazione nessun accenno, nemmeno nella preghiera dei fedeli, alla situazione che stiamo vivendo. Non mi aspettavo certamente preghiere del tipo “liberaci dal virus” o “liberaci dal panico”, ma speravo almeno in una carezza, nel nome di quella tenerezza di cui tanti prelati parlano così spesso. Invece niente.

Al momento della comunione sono state ricordate le norme igieniche, compresa la necessità di ricevere l’Eucarestia sulla mano, cosa che ha suscitato perplessità perfino in mia figlia, undici anni: “Ma scusa, mamma, non sarebbe più igienico ricevere l’ostia sulla bocca, senza toccarla con le mani?”. Eh sì, “hai nascosto queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli”.

Alla fine, prima della benedizione, il sacerdote ha chiesto un attimo di attenzione. Ho pensato: proporrà di intensificare la preghiera e di dare la propria testimonianza cristiana in una situazione così delicata. Invece no!  Il suo è stato un attacco in tono sprezzante a “certi gruppi di preghiera” che starebbero diffondendo l’idea che il virus è una punizione divina per noi peccatori.

Ora, posto che non ho avuto modo di leggere ciò che avrebbero sostenuto “certi gruppi di preghiera”, e che è di cattivo gusto chiamare in causa polemicamente chi non può replicare, a me sembra che non ci sia niente di sbagliato nel concetto di “punizione” divina, personale o comunitaria, intesa come opera di educazione di un Padre verso i figli. E allora la strage degli innocenti, il diluvio universale, le sette piaghe d’Egitto, i numerosi avvertimenti di Gesù nel Vangelo sulla necessità di convertirsi per evitare il fuoco eterno?

Quel prete alla fine della Messa ha citato sant’Anselmo sostenendo che il grande teologo invita la fede a seguire la ragione, ma Anselmo dice che la fede, pur avendo bisogno di dimostrazioni razionali, resta a fondamento della ricerca della verità. È la fede che illumina la ragione ed è proprio perché abbiamo fede che noi cristiani possiamo, anzi dobbiamo, comprendere tutto con un’intelligenza più profonda e luminosa, che arrivi a vedere l’eternità dentro il contingente e a riconoscere la mano paterna di Dio che accarezza, educa e corregge i suoi figli anche dentro la realtà di un minuscolo virus.

Lettera firmata

Pesaro

 

 

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