In ricordo di Antonio Livi (1938 – 2020)

Cari amici di Duc in altum, è morto ieri, dopo molti mesi di malattia, monsignor Antonio Livi, il grande teologo cattolico. Era nato a Prato il 25 agosto 1938 e il Signore lo ha chiamato a sé nel giorno del quindicesimo anniversario della morte di san Giovanni Paolo II, il cui insegnamento fu studiato e apprezzato da don Antonio con tanta passione.

Conobbi don Antonio alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, quando, giovanissimo, lavoravo alle edizioni Ares di Milano e don Antonio, che ne era un collaboratore, passava di tanto in tanto a salutarci. Ricordo la sua arguzia da toscano, la cura per l’esattezza dei termini, la difesa della metafisica, l’avversione per un certo pensiero di matrice rahneriana che già allora imperversava in campo teologico. Io ero solo un “ragazzo di bottega”, se così si può dire, e don Antonio certamente non si impegnava con me in discussioni di argomento filosofico e teologico. Però ricordo il suo stile, il gusto per la battuta mordace. E ricordo che, quando passava per una visita, non mancava di benedire i locali della redazione.

L’eterno riposo dona a lui, o Signore, e splenda a lui la luce perpetua. Riposi in pace. Amen.

Da amici comuni ho ricevuto un bel ricordo di don Antonio che desidero proporvi.

A.M.V.

***

Incontrai per la prima volta monsignor Antonio Livi durante un convegno a Foligno sul tema La metafisica della mistica. La prima impressione è stata quella di ascoltare non solo un professore di filosofia e di teologia, ma un uomo e un sacerdote innamorato della sapienza. Parlava sempre del gusto della sapienza.

Questa prima impressione è stata poi confermata nel corso degli anni: da quel momento, infatti, ho avuto modo di conoscere sempre più Antonio Livi e ho avuto la fortuna – e ringrazio Dio per questo – di essere stato uno dei suoi collaboratori (con l’editore Leonardo da Vinci, ma non solo).

Ho trovato – come dicevo – una persona con cui parlare e parlare di qualsiasi argomento: ricordo, con piacere, non solo le nostre chiacchierate filosofiche, ma anche le nostre dispute calcistiche (era un tifoso appassionato della Fiorentina).

La sua produzione filosofica e teologica è vastissima. Qui vorrei ricordare solo due argomenti, a mio giudizio, fondamentali.

Ha sviluppato, raccogliendo la ricca eredità del passato, la nozione di senso comune – inteso come insieme organico di certezze che nessuna “conoscenza seconda” può escludere – e lo ha posto alla base del suo sistema di logica aletica;

Ha riflettuto sempre sul tema del rapporto cristianesimo-filosofia, approfondendo le intuizioni del suo maestro Étienne Gilson (ma anche di altri filosofi come Jacques Maritain), mostrando la non-contraddittorietà della nozione di “filosofia cristiana” e, di conseguenza, la razionalità della fede cristiana.

Ho tantissimi ricordi di Antonio Livi, e custodirò i numerosissimi insegnamenti.

Ora, vorrei concludere condividendo una delle sue ultime riflessioni, un pensiero scritto e inviatomi poco dopo aver scoperto la terribile malattia che lo ha costretto a letto e contro cui ha lottato poco più di un anno. Mi sembra questo il modo migliore per ricordare il gusto della sapienza, quel gusto di cui sempre parlava.

Scriveva: «Molta della sofferenza che ci infliggiamo è legata al fatto che non vogliamo vivere il momento presente. Preferiamo tormentarci nel passato oppure avere timore per il futuro, ma sfuggiamo in questo modo l’unico momento vero che ci è dato vivere, legato al nostro oggi, al qui ed ora. Recentemente ho vissuto un momento delicato legato a delle ragioni di salute. La grande ansia che ho provato mi ha fatto riflettere su un qualcosa che ha valenza metafisica: molta della sofferenza che ci infliggiamo è legata al fatto che non vogliamo vivere il momento presente. Ieri non esiste più, è passato e non torna; domani, chi lo può prevedere veramente? Certo dobbiamo fare tesoro del passato ed essere previdenti per il futuro, per quello che è possibile: ma angosciarci per essi? Il libro del Qoelet ci mette in una giusta prospettiva: “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo”».

Con gratitudine e affetto

Giovanni Covino

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