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Chiese violate, Messe interrotte: così raccogliamo i frutti di una semina nefasta

Cari amici di Duc in altum, vi propongo il mio intervento per la rubrica La trave e la pagliuzza in Radio Roma libera.

A.M.V.

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Se ripenso al video del carabiniere che interrompe la Messa celebrata da don Lino Viola, nella chiesta di San Pietro Apostolo, a Gallignano, devo dire che ciò che mi colpisce di più è la maleducazione del militare.

Certamente siamo in presenza di un abuso di potere, come ha giustamente detto don Lino e come abbiamo ripetutamente osservato. Ma, al di là dell’abuso di potere in sé, c’è quell’arroganza, quella tracotanza del carabiniere.

Il rappresentante dell’Arma avrebbe potuto attendere pochi minuti e avvicinare il sacerdote alla fine della Messa. Oppure, se proprio aveva ricevuto l’ordine di interrompere la celebrazione, avrebbe potuto accostarsi al celebrante chiedendo scusa, e magari togliendosi dal capo il berretto. Invece lo vediamo entrare nel presbiterio in modo sfrontato e avvicinarsi all’altare come se si trattasse del tavolino di un bar, senza alcun rispetto. Poi, nel sentire la sua voce, quando il militare dice al sacerdote “Non prendiamoci in giro”, e pretende che il celebrante parli al cellulare con il sindaco, è difficile sottrarsi alla rabbia e allo sconforto.

La maleducazione del carabiniere fa riflettere. Si vede in essa il risultato di una grande ignoranza, frutto a sua volta di una cultura purtroppo diffusa e purtroppo, va detto, favorita dalla Chiesa stessa.

Come possiamo stupirci che quell’uomo si sia aggirato nella chiesa come se si fosse trovato in un semplice luogo di ritrovo pubblico, non diverso da un bar o da una sala giochi, quando da anni le nostre chiese sono usate come mense, come sede di spettacoli, come aule per assemblee e conferenze? Come possiamo stupirci che quell’uomo si sia accostato all’altare come a un tavolo qualunque quando la Chiesa stessa, a partire dai suoi più alti rappresentanti, da almeno mezzo secolo a questa parte ha fatto di tutto per desacralizzare e banalizzare lo spazio e il tempo del culto, eliminando ogni confine tra il profano e il sacro?  Come possiamo stupirci che quel carabiniere si sia rivolto al celebrante in modo irrispettoso quando da decenni la Chiesa sostiene che il prete è “uno di noi”, un uomo qualunque, un amico e un compagno al quale dare del tu e non un alter Christus al quale avvicinarsi con deferenza?

Come possiamo stupirci, del resto, che il governo nei suoi decreti per fronteggiare la pandemia abbia considerato le chiese alla stessa stregua di bar, ristoranti, palestre e sale bingo quando noi stessi, noi cattolici, entriamo spesso nelle chiese proprio come se fossero bar, ristoranti e sale bingo, senza alcun senso del sacro, senza avere la minima idea di come ci si deve muovere e comportare dinanzi a nostro Signore, ignorando totalmente che in chiesa si va per rendere culto a Dio e non per celebrare noi stessi e per dare libero sfogo al protagonismo umano?

Il rozzo carabiniere di Gallignano, quindi, non è che il distillato di anni e anni di mancata educazione, di totale passività di fronte agli abusi, di lassismo scambiato per spirito di apertura, di pertinace volontà di eliminare ogni distinzione e ogni distanza tra le cose degli uomini e le cose di Dio.

Qualcuno potrà sostenere che mi sto occupando delle forme perché non voglio parlare della sostanza. Naturalmente non è così. Ho già parlato in altre occasioni della sostanza, dicendo chiaramente che don Lino, domenica scorsa, celebrando la Messa stava esercitando un diritto sancito dalla Costituzione e riconosciuto dal Concordato tra lo Stato e la Chiesa. Dunque, se c’è qualcuno che ha commesso un reato è il carabiniere, il quale non aveva alcun diritto di interrompere la Santa Messa, dato che non vi erano motivi di urgenza.

Ma poniamo pure che il carabiniere fosse dalla parte della ragione e non del torto. Resta il fatto, ripeto, che si è comportato in un modo inaccettabile.

Don Lino racconta che quando è andato dai carabinieri per far valere le sue ragioni il maresciallo gli ha risposto: “Ma io non so neanche che cos’è la consacrazione”. Ecco il punto: ecco l’abissale ignoranza da cui nascono arroganza e sfrontatezza.

Don Lino, stupito, ha replicato al maresciallo: “Ma come, mandate nelle chiese degli agenti che non sanno neanche che cos’è una Messa?”. E purtroppo è proprio così. Mandano in giro gente che non sa nemmeno che cosa sia una Messa perché si ritiene che non sia importante saperlo, perché si ritiene che non saperlo non sia un problema, che tra sacro e profano non via sia alcuna distinzione, che un luogo valga l’altro.

Chiede don Lino Viola di fronte a quanto è successo nella sua chiesa: “Vi sembra una cosa degna? Una profanazione, un pandemonio del genere nella casa del Signore?”.

No, caro don Lino, non ci sembra una cosa degna, e lei ha ragione a parlare di profanazione. Anzi, aggiungerei che è pure violazione di domicilio, perché i militari si sono introdotti senza permesso in quella che, come lei giustamente ricorda, è la casa del Signore. Ma, vede, don Lino, dobbiamo anche riconoscere che la Chiesa, a partire dalle alte sfere, ha fatto di tutto per consentire che si arrivasse a questo punto. Dunque, davvero, non possiamo stupirci. Stiamo solo raccogliendo i frutti marci di una semina nefasta.

Aldo Maria Valli

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