Controcampo e controcanto

Cari amici di Duc in altum, guardate la foto qui sopra. Me l’ha inviata un lettore. Ritrae il presidente del Consiglio Conte in visita, ieri 28 aprile, a Genova. Guardate che bell’assembramento formano i fotografi e gli operatori tv al seguito del presidente. Altro che distanziamento sociale, altro che due metri di distanza!

Pensate che cosa sarebbe successo se un tale assembramento l’avessero formato dei fedeli in attesa di entrare in chiesa per una Messa. Naturalmente l’ipotesi è del tutto teorica, perché nessun parroco di nessuna chiesa italiana sarebbe tanto irresponsabile da permettere un tale assembramento. Invece i fotografi e gli operatori tv al seguito del presidente del Consiglio possono benissimo assembrarsi, così da ritrarre a uso di giornali, telegiornali e agenzie di stampa le gesta del presidente mascherato.

Una foto così, che in gergo si chiama controcampo, è molto temuta dal potere. Perché il controcampo svela spesso l’inganno della propaganda. Un controcampo è un controcanto, e il potere non vuole che ci siano né controcampi né controcanti.  Ma finché c’è ancora un briciolo di libertà…

La foto l’ha scattata  il fotoreporter Roberto Bobbio, che nella sua pagina Facebook racconta così la giornata:

Se mi permettete, vorrei spezzare una lancia delle più partigiane a favore della categoria fotografi-giornalisti-operatori di tv che oggi, nell’occasione della visita del Premier Conte al cantiere di Levante dell’erigendo Ponte di Renzo Piano, ha conosciuto una delle esperienze più tragiche nel panorama già bistrattato e agonizzante dell’editoria e della stampa, anche quella superstite a Genova.
Premesso che per onorare un personale contratto di consulenza non giornalistica con una delle aziende che stanno operando alla realizzazione del viadotto, mi era stato concesso un visto h 24 per accedere al cantiere da altro gate, diverso da quello dove avevano appuntamento i colleghi abituali; ho subito verificato una certa qual confusione organizzativa in un ambito plateale piuttosto ristretto, carente, guardandomi qua e là, anche dell’abituale area riservata agli operatori (compreso abitualmente anche me).
E quando è giunta la conferma dell’arrivo del Conte con la Ministra, mi sono anch’io appropinquato all’ingresso di Via Fillak notando, con un po’ di brividi, quanto mi stavo risparmiando in termini di convivenza con la folta delegazione di abituali colleghi: un’organizzatore del cerimoniale, probabilmente studioso di storia contemporanea e del campo di cellel ager in particolare, aveva realizzato un corridoio largo massimo neppure due metri tra un muro di cinta preesistente e le transenne, per una lunghezza di dieci metri, entro il quale aveva fatto ammassare oltre cinquanta  colleghi, impegnati con telecamere, aste telescopiche, microfoni direzionali, teleobiettivi, corpi macchina che si scontravano nella isterica, spasmodica ricerca degli scatti più significativi e delle riprese in diretta .
Sembrava più una prova degna di “Giochi senza frontiere ” o una sadica vendetta crudelissima nei confronti del comparto Stampa.
Ero fuori da questo delirio ma friggevo di incazzatura per loro, verificato anche che il Premier, stranamente, non mostrava alcuna disponibilità a fermarsi per farsi riprendere con in testa il bianco caschetto rigorosamente griffato Fincantieri; era straziante ascoltare l’urlo dei colleghi a chiedere, implorare Conte di fermarsi, girarsi come una diva figa, loro quasi appollaiati sulle transenne a trovare il posto migliore per scattare quattro fottutissime foto.
E dulcis in fundo, ecco palesarsi come al solito il fotografo “ufficiale”, a mettersi davanti ai colleghi proprio nel momento topico della foto forzatamente di gruppo di Conte con Bucci e Toti. Un sonoro vaffanculo è aleggiato sopra il corteo, forse interpretando anche un certo qual malcontento popolare diffuso nei confronti di Giuseppi.
Avevo la mia brava arancione pettorina che mi identificava come uno “regolare” e non rompiballe, ma evidentemente avere due macchine professionali al seguito era segnale di presunta aggressione e così  più di una volta mi sono sentito sollevare e spostare da quei marcantoni della scorta.

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Questo il racconto del fotografo Roberto Bobbio, il quale, nonostante i marcantoni, è riuscito a scattare. Controcampo e controcanto. Finché c’è ancora un briciolo di libertà…

 

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