Carlo Maria Viganò / Nell’Annuario pontificio 2020 un gesto di sfida?

Cari amici di Duc in altum, non è senza un profondo senso di turbamento che vi propongo un nuovo intervento di monsignor Carlo Maria Viganò. Il contributo viene anche pubblicato oggi da La Verità.

A.M.V.

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“Tu l’hai detto”

«In verità vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono a dirgli uno dopo l’altro: «Sono forse io, Signore?» Ma egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Certo, il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito!  Meglio sarebbe per quell’uomo se non fosse mai nato».  E Giuda, il traditore, prese a dire: «Sono forse io, Maestro?»  E Gesù a lui: «Lo hai detto».

Mt 26, 20-25

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Il 25 marzo è stato pubblicato l’Annuario pontificio 2020, con una vera e propria novità. Può apparire un’inezia tipografica, nella parte dedicata al regnante Pontefice, ma così non è. Fino allo scorso anno, infatti, i titoli di Francesco erano elencati in capo alla pagina, ad iniziare da «Vicario di Cristo», «Successore del Principe degli Apostoli» eccetera, per finire con il nome al secolo ed una brevissima biografia.

Nella nuova edizione, invece, campeggia in caratteri cubitali il nome secolare Jorge Mario Bergoglio, seguito dalla biografia, dalla data di elezione e di inizio del «ministero di Pastore universale della Chiesa». Separati da un tratto e dalla dicitura «Titoli storici» sono poi elencati tutti i titoli del Romano Pontefice, quasi non facessero più parte integrante del munus petrinum che legittima l’autorità riconosciuta dalla Chiesa al Papa.

Questa modifica nell’impaginazione e nel contenuto di un testo ufficiale della Chiesa cattolica non può esser ignorata, né è possibile attribuirvi un gesto di umiltà da parte di Francesco, che peraltro mal si concilia con il suo nome ben in evidenza. Pare invece potervi scorgere l’ammissione – passata sotto silenzio – di una sorta di usurpazione, laddove a regnare non è il Servus servorum Dei, ma la persona di Jorge Mario Bergoglio, che ha ufficialmente disconosciuto di essere il Vicario di Cristo, il Successore del Principe degli Apostoli e il Sommo Pontefice, quasi si trattasse di fastidiosi orpelli del passato: solo «titoli storici», appunto.

Un gesto quasi di sfida – verrebbe da dire – in cui Francesco trascende ogni titolo; o peggio: un atto di ufficiale modifica del papato, con il quale egli non si riconosce

più custode, ma diventa padrone della Chiesa, libero di demolirla dall’interno senza dover rispondere ad alcuno. Un tiranno, insomma.

Non sfugga ai pastori e ai fedeli la portata di questo gravissimo gesto, con il quale il dolce Cristo in terra – come santa Caterina chiamava il Papa – si svincola dal proprio ruolo di Vicario per proclamarsi, in un delirio di orgoglio, monarca assoluto anche rispetto a Cristo.

Ci avviciniamo ai giorni sacri della Passione del Salvatore, che inizia nel Cenacolo con il tradimento di uno dei Dodici; non è illegittimo chiedersi se le parole di comprensione con cui il 16 giugno 2016 Bergoglio ha cercato di riabilitare Giuda non fossero un goffo tentativo di discolpa anche per sé stesso.

Questo agghiacciante pensiero trova ulteriore conferma nella terribile decisione di interdire alla cattolicità di celebrare la Pasqua, per la prima volta dopo due mila anni dalla Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo.

«Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo è tradito!» (Mt 26, 24)

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

Venerdì della I Settimana di Passione 2020

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