Ecco perché siamo nel pieno di una rivoluzione

Cari amici di Duc in altum, vi propongo il mio contributo odierno per la rubrica La trave e la pagliuzza di Radio Roma Libera

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Non so se e quanto ce ne siamo resi conto, ma noi, con questa vicenda del coronavirus, siamo nel bel mezzo di una rivoluzione.

Della rivoluzione abbiamo infatti tutti gli ingredienti, nessuno escluso.

Prima di tutto abbiamo l’ideale supremo, trasformato in un assoluto rispetto al quale tutto il resto è sacrificabile: la Salute.

E che cos’è che ogni rivoluzione chiede di sacrificare in nome di un ideale supremo? La libertà, ovviamente.

E che cos’è che ogni rivoluzione utilizza per imporsi e fare piazza pulita dei dissenzienti? Il terrore, ovviamente.

Vedete che non ci manca nulla. L’ideale supremo l’abbiamo, il valore da sacrificare l’abbiamo, lo strumento l’abbiamo.

Quello che cambia è il quadro storico, ma nella sostanza gli ingredienti sono classici.

Andiamo avanti.

Ogni rivoluzione ha bisogno di una narrativa, il cui scopo principale è quello di esaltare il valore supremo, legittimare la rinuncia alla libertà, denigrare i nemici e alimentare il terrore. Proprio ciò che sta facendo la narrativa dominante in questo momento, grazie all’opera instancabile della maggior parte dei mass media.

Nel nostro caso, insieme alle libertà e ai diritti, l’altra grande vittima di questa rivoluzione è lo Stato. In realtà lo Stato già da molto tempo era un morto che camminava, ma a questo punto la sua liquidazione è completa. Se ancora formalmente esiste, è solo perché possa essere l’esecutore locale di decisioni prese altrove.

E qui veniamo a un altro ingrediente fondamentale: i rivoluzionari. Che nel nostro caso sono i grandi organismi internazionali e sovranazionali. Primo fra tutti l’Oms, quell’Organizzazione mondiale della sanità che assomiglia sempre di più a un governo mondiale, con il suo organo decisionale (l’Assemblea mondiale della sanità) e con le sue direttive in grado di incidere ovunque, saltando ogni potere decisionale intermedio, proprio grazie al suo marchio di fabbrica, ovvero la Salute, diventato il grande totem globale, appunto l’idolo supremo.

Proseguiamo. In ogni rivoluzione l’idolo non è veramente tale se non richiede sacrifici. E il sacrificio che ora è chiesto a tutti non è solo quello di rinunciare a porzioni crescenti di libertà e diritti, ma anche quello di diventare più poveri, di perdere il lavoro o di avere un lavoro più precario. Se lo richiede il grande totem, non si discute. E anche sotto questo profilo siamo nel classico quadro rivoluzionario. Tutte le rivoluzioni (pensiamo alla Cina maoista, alla Russia sovietica), nell’attesa della palingenesi rivoluzionaria, garantiscono una sola cosa: crescente povertà, tanto che possiamo ben dire che la povertà è un sigillo della rivoluzione. E lo è in particolare l’impoverimento della classe media: se il ceto medio si impoverisce, potete star certi che una rivoluzione è in corso.

Come in tutte le rivoluzioni, anche in questa che stiamo vivendo ci sono poi i guardiani, chiamati a controllare, e direi che nel nostro caso i guardiani proprio non mancano.

La rivoluzione, per meglio esercitare il controllo e la repressione del dissenso, ha bisogno di introdurre segni di riconoscimento, e nel nostro caso tale segno è la famigerata mascherina. Chi la indossa è accettato e può far parte del sistema, chi non la indossa, o la indossa di meno, è il controrivoluzionario, il reazionario, dunque il nemico.

In questi primi giorni di post-quarantena ho notato che molte persone indossano la mascherina anche quando sono sole, ben a distanza le une dalle altre, in luoghi aperti. La indossano persino quando sono da sole in automobile. Significa che la mascherina è diventata il contrassegno del conformismo rivoluzionario. Viene indossata non tanto e non solo per la sua funzione (che resta comunque dubbia), ma in quanto simbolo di appartenenza. Come la giacca di Sun Yat-sen ai tempi del maoismo.

Come in tutte le rivoluzioni, oltre ai guardiani non possono mancare i delatori, e infatti ne abbiamo. Ne sanno qualcosa i parroci che si sono visti piombare in chiesa le forze dell’ordine perché qualcuno aveva segnalato che era in corso una Messa alla presenza dei fedeli.

Conformismo e delazione sono in funzione della coesione rivoluzionaria fondata sul terrore. E ogni vero rivoluzionario sa di essere, in fondo, nient’altro che un organizzatore del terrore, come spiegò chiaramente Feliks Ėdmundovič Dzeržinskij, primo direttore della Čeka, la polizia segreta sovietica, quando disse: “Noi siamo per il terrore organizzato”.

Prima ho parlato dei sacrifici richiesti dal totem globale della Salute, ma non bisogna pensare che il rivoluzionario li viva in quanto tali. No, il rivoluzionario li considera omaggi, ed è pronto a tutto, anche a lasciarsi tracciare, anche a non essere più libero, pur di vedere garantito ed esaltato il valore, in questo caso la Salute, che la rivoluzione ha deciso di mettere in cima a tutto e che l’ideologia trasforma in un assoluto.

Inutile dire poi che la rivoluzione ha bisogno dei suoi cronisti e dei suoi cantori, e noi li abbiamo. Plotoni di giornalisti e intellettuali sono impegnati da settimane a dipingere il quadro del terrore, a rafforzare la narrativa voluta dalla rivoluzione e a presentare i dissenzienti come pericolosi nemici, i quali, come tali, possono solo meritare disprezzo e vanno esclusi dal consesso sociale.

Tutte le vere rivoluzioni poi mettono nel loro mirino la Chiesa e la sua libertà, e l’attuale rivoluzione, come ben sappiamo, è stata particolarmente solerte sotto questo profilo. La novità sta nel fatto che la Chiesa stessa (tranne rare eccezioni) ha collaborato con i rivoluzionari ed anzi ha dimostrato di voler essere più realista del re. Ma potevamo aspettarcelo: poiché da tempo ha sostituito Dio con l’uomo, e la legge divina con la volontà umana, era fatale che la Chiesa si piegasse ai rivoluzionari di turno, magari con la speranza di poterne ottenere qualche beneficio.

E qui, a proposito di quelli che invece di difendere la libertà si mettono con i rivoluzionari, non possiamo dimenticare la categoria degli utili idioti, altro elemento caratteristico di ogni vera rivoluzione.

Lo dico a beneficio dei più giovani: utile idiota (espressione attribuita a Lenin) era chi in Occidente anziché denunciare le atrocità del socialismo reale e mettere in guardia dall’abbracciare l’orso sovietico, lavorava incessantemente perché le nostre democrazie prendessero esempio dalla rivoluzione e si convertissero. E oggi noi vediamo che gli utili idioti pullulano. Avrebbero tutte le carte in regola per smascherare (è il caso di dirlo) la rivoluzione in corso, e invece, obnubilati dall’ideologia, fanno a gara per rafforzare il clima di terrore e gridare “al lupo, al lupo!”.

Mi fermo qui. Ma non prima di avervi proposto un piccolo quiz. Come si chiamava l’organo di governo messo in piedi dai rivoluzionari francesi il 17 germinale dell’anno I (ovvero il 6 aprile 1793)?

Bravi, avete indovinato: Comitato di salute pubblica. E ricordate anche i suoi poteri?

Eh, sì: doveva sorvegliare ed era autorizzato a prendere decisioni mediante decreti, in circostanze ritenute di particolare urgenza e necessità.

Vi ricorda qualcosa? Nihil sub sole novum!

Poiché la rivoluzione divora sempre i suoi figli, potremmo anche finire con una nota di speranza e dire che, in fondo, si tratta solo di aspettare che i Robespierre di turno finiscano ghigliottinati. Ma, nel nostro caso, non è così semplice. I nostri Robespierre si sono fatti furbi e lavorano nell’ombra. E questa volta non hanno messo nel loro mirino solo una nazione e un popolo, ma il mondo intero.

Aldo Maria Valli

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