Aborto fai da te: la 194 è il problema, non la soluzione

Gli interventi di parte cattolica in reazione alle Linee guida del ministro Speranza sulla RU486 e il cosiddetto “aborto fai da te” hanno una caratteristica ormai ricorrente: si appellano alla 194 senza però dire che è una legge ingiusta e inaccettabile. Così chi legge viene confermato che quella legge non si deve toccare.

Nei giorni scorsi ci sono stati alcuni interventi di vescovi (qui e qui, non molti, a dire il vero, e in ordine sparso, ma comunque ci sono stati). Alcuni sono stati precisi nella condanna dell’aborto in quanto tale, altri si sono esclusivamente concentrati sulla donna dimenticando il bambino (“non lasciate le donne sole”), nel complesso comunque si è trattato di interventi positivi anche se talvolta reticenti. Però un dato balza agli occhi: in nessuno di questi interventi si mette direttamente in questione la legge 194 che disciplina l’aborto nel nostro Paese. Perché il problema sta invece proprio lì, dato che quella legge ha stabilito che l’aborto è un diritto e le Linee guida di Speranza altro non fanno che rendere più praticabile quel diritto.

Avvenire ha pubblicato nel numero del 18 agosto un lungo e documentato articolo di Assuntina Morresi ed Eugenia Roccella. Un bell’articolo, intendiamoci, molto serio e circostanziato. In esso vengono messe in luce molte contraddizioni del testo di Speranza e, soprattutto la sua deroga rispetto alla legge 194 “che comporta oneri sanitari precisi … per abortire nel consultorio bisogna cambiare la 194 e questo, in democrazia, va fatto in parlamento”. Un articolo competente e che mette in luce delle verità, però anche esso con il limite di adoperare una legge abortista per impedire l’aborto farmacologico fai da te, in questo modo accettandola e convalidandola. Quando si vuole adoperare qualche punto di una legge ingiusta per ridurne gli effetti negativi o per impedire sue applicazioni estensive bisogna nel contesto dire sempre e con chiarezza che si tratta di una legge ingiusta e che bisognerebbe abolirla e dare prova che ci si sta impegnando per abolirla. Senza questa pubblica testimonianza si dà l’impressione di voler usare il male per fare il bene e si dà per scontato che quella legge c’è e va mantenuta.

Avvenire ha aperto la prima pagina del numero in questione con il titolone “Forzata la 194”. E all’interno ha scritto “Ma così si va oltre la 194”. Nel numero del 14 agosto così si esprimeva “La 194 ancora ignorata. Salute della donna a rischio”. In nessuno di questi (e altri) articoli di questi giorni si accenna minimamente al fatto che la 194 è ingiusta e che non è una legge moralmente legittimata. Il lettore apprende solo che non è stata rispettata e dentro di sé conclude che se venisse rispettata non ci sarebbero problemi e tutto andrebbe bene.

I punti deboli sono allora due: ritenere che il problema sia solo quello delle donne “lasciate sole” (se non fossero lasciate sole e quindi scegliessero di abortire dopo essere state consigliate, l’aborto diventerebbe lecito?); e poi fare riferimento ad alcuni punti del testo della 194 senza però mai dire che è una legge inaccettabile.

Alla pubblicazione dei comunicati dei vescovi ricordata sopra, un commento su Facebook diceva: “Arrivate sempre troppo tardi”. Ed infatti questo è il problema. Dimenticando che la 194 va abolita e concentrandosi a rintuzzare le sue applicazioni estensive mostrandone le contraddizioni con il testo della stessa 194, si finisce per perdere l’orizzonte strategico di un impegno e si interviene sempre troppo tardi, quando il governo o il parlamento approvano una qualche estensione della legge che si possa contraddire sulla base del testo della legge stessa. Fino a che governo e parlamento non approvano nessuna estensione non si combatte, lo si fa quando la approvano: in questo modo si è sempre in ritardo.

Questo discorso va fatto, più in generale, per gli interventi dei vescovi. Meno male che qualcuno, come ho detto sopra, è intervenuto. Ma anche qui in ritardo. Non si può pensare di lasciare stabilmente da parte il tema aborto, senza mai parlarne e senza mai mobilitarsi contro di esso, e poi uscire con qualche intervento nel momento del pericolo, anzi quando i buoi sono già fuori dalla stalla.

Interventi, ripeto, senz’altro utili ma privi di una strategia. Una strategia che manca sia a livello di Chiesa italiana sia a livello di Chiesa universale. La Nota della Pontificia Accademia per la Vita a commento delle Linee guida di Speranza lamenta che “a restare ampiamente disattesa sia rimasta la parte della legge 194 intorno alla quale poteva e potrebbe ancora essere cercata e alimentata un’idea di civiltà condivisa”, concetto ribadito da Mons. Paglia nell’intervista a Paolo Rodari su Repubblica. Se lo dice il Vaticano, perché mai i vescovi o i cattolici dovrebbero invece elaborare una strategia che anticipi le cose anziché andarvi a rimorchio? Del resto in Francia si è ampliata a dismisura la possibilità di abortire per “disagio psicosociale”: una orribile carneficina. Ma non si è sentita nessuna voce tuonante da parte della Chiesa.

Stefano Fontana

Fonte: Osservatorio internazionale cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa

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