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“Decadenza. Le parole d’ordine della Chiesa postconciliare”. Ovvero come la Chiesa cattolica ha perso la bussola

“Due cattolici veri, convinti e praticanti, intrecciano un fitto dialogo, con poche divergenze e molte convergenze, sullo stato della fede e della cristianità, della Chiesa e dei cattolici nei giorni nostri”.

Scrive così Marcello Veneziani nella presentazione di Decadenza. Le parole d‘ordine della Chiesa postconciliare (Chorabooks), il libro che con Aurelio Porfiri ho dedicato a dieci parole che la Chiesa cattolica ha messo al centro della sua predicazione e del suo insegnamento a partire dal Concilio Vaticano II, con una particolare attenzione per alcuni vocaboli privilegiati dal magistero di Francesco. Le dieci parole sono: dialogo, pastorale, sinodalità, ponti, autoreferenziale, fragilità, misericordia, ecumenismo, discernimento, periferie.

Ringrazio Veneziani per avermi definito cattolico convinto. Di certo l’etichetta vale per l’amico Aurelio. Quanto a me, mi sento solo un povero cristiano alquanto perplesso di fronte alla rapida deriva della Chiesa cattolica in senso protestante, neopagano e relativista. Proprio da qui, da questo disorientamento, è nato il libro con Aurelio, un duetto sull’esempio di quello già realizzato con Sradicati, quei Dialoghi sulla Chiesa liquida che hanno avuto una certa risonanza, meritandosi anche la traduzione in inglese (Uprooted. Dialogue on the Liquid Church).

Scrive Veneziani riassumendo lo status quaestionis: “È come se la Chiesa ai tempi di Bergoglio fosse in croce: inchiodata in alto dalla perdita della verità e dall’oblio di Dio, in basso dal suo ridursi a soccorso umanitario e centro d’accoglienza; ai lati trafitta da una parte dal cedimento alla cultura protestante e dall’altra dall’apertura unilaterale al dialogo con l’Islam. In questo crocevia, la Chiesa perde la sua luce, la sua aura e i suoi fedeli. Si svuotano le chiese, perde forza il messaggio cristiano, si confonde con lo spirito del mondo e le organizzazioni umanitarie”.

Ecco dunque il senso di decadenza, che per due cattolici come Aurelio e il sottoscritto si traduce in certi momenti in un profondo scoramento e in altri nel desiderio di lottare perché quel patrimonio di sapienza, bellezza e santità che è la Chiesa cattolica non vada del tutto disperso, svenduto al desiderio insensato di piacere al mondo mettendo l’uomo al posto di Dio.

Veneziani giustamente nota che il libro (insolitamente voluminoso, 318 pagine, per le nostre abitudini) è venato da un grande amore per la tradizione, intesa non come immobilismo, ma come fedeltà a ciò che conta e che semplicemente non può essere cambiato, perché il cambiamento equivale a un crollo e a un tradimento. In realtà noi due (credo di poter parlare anche per Porfiri) non siamo tradizionalisti in senso stretto (per quanto possano valere queste definizioni). Siamo semplicemente cattolici i quali, pur cresciuti nella Chiesa postconciliare, hanno progressivamente aperto gli occhi di fronte a certe follie spacciate per rinnovamento.

Devo confessare che Aurelio e io ci siamo divertiti nell’opera di smontaggio di certe parole-talismano di cui si riempiono la bocca i paladini dei vari progressismi e modernismi. È stato un po’ come giocare con le costruzioni, ma al contrario. Siamo partiti dalla parola e, mattone dopo mattone, l’abbiamo ridotta in polvere. Come si meritava.

Dice Veneziani: siamo passati rapidamente da una Chiesa che metteva al centro il Mistero, la Risurrezione e l’Immortalità a una che non fa che parlare di solidarietà, fratellanza (ricordo che in arrivo c’è l’enciclica di Francesco) e redenzione in senso sociale. E c’è pure la pretesa di giustificare l’operazione in quanto recupero delle origini. Una mistificazione tutta giocata in termini ideologici.

Come si fa a non vedere, a non reagire?

Veneziani osserva che “la decadenza non è ancora la morte e forse, con il soccorso della Provvidenza, è reversibile, come le stagioni”. È certamente così, e se il Signore ci manda questa prova vuol dire che è per il nostro bene, per quanto possa risultare dolorosa. Nella decadenza c’è anche una componente di purificazione. Ecco perché credo di poter dire che, per quanto dolente, il libro che ho scritto con l’amico Aurelio è esente da sintomi di disperazione. Amarezza sì, anche un certo avvilimento. Ma mai angoscia.

Veneziani osserva che “viviamo l’autunno della cristianità, l’inverno della Chiesa cattolica”. Ma la primavera arriverà e non sarà quella immaginata ai tempi del Concilio, quando i germi dell’umanitarismo e del relativismo (inoculati da alcuni per dolo, da altri per ingenuità) fecero perdere la bussola a tanti pastori e laici. Sarà una bella sorpresa.

Alla fine della chiacchierata con Aurelio faccio due citazioni: da una parte don Divo Barsotti che medita sulla morte, dall’altra Celentano che, nella celeberrima Azzurro, canta: “Ora mi annoio più di allora, neanche un prete per chiacchierar”.  Ecco il punto: neanche un prete per chiacchierar. Dove lo trovi un prete se vuoi parlare della morte, dell’eterno destino dell’anima, della risurrezione dei corpi, del giudizio divino, del peccato? Ne trovi a frotte, invece, se ti va di cianciare di ecologia, solidarietà, umanitarismo, fratellanza. E a noi non va.

Ma sursum corda! Portae inferi non praevalebunt!

Aldo Maria Valli

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Aldo Maria Valli, Aurelio Porfiri, Decadenza. Le parole d’ordine della Chiesa postconciliare, Chorabooks, 2020.

 

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