Uno scandalo di abusi (omo)sessuali in Vaticano. A processo un alto funzionario della Segreteria di Stato ai tempi di Benedetto XVI

Cari amici di Duc in altum, domani in Germania, al tribunale diocesano di Eichstätt, si terrà la prima udienza relativa al caso di un monsignore tedesco, che lavorava nella Segreteria di Stato della Santa Sede e alloggiava a Santa Marta, accusato di abusi sessuali da un altro monsignore e da un ex prete. In parallelo è in corso un processo penale e i  fatti risalgono ai tempi del pontificato di Benedetto XVI. Della vicenda si occupa LifeSiteNews con un articolo di John-Henry Westen.  Lo propongo qui nella mia traduzione.

A.M.V.

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Nel 2002 la Chiesa cattolica è stata scossa dalle rivelazioni circa abusi sessuali perpetrati dal clero. Mentre l’abuso sessuale in tutte le professioni non era una novità, quello tra il clero suscitò particolare ripugnanza. Ma, più ancora di questo, le nuove rivelazioni misero in evidenza il ruolo degli stessi vescovi nella crisi, poiché chiarirono di aver permesso a preti noti come abusatori sessuali di restare impuniti e di essere trasferiti in altre parrocchie o diocesi, dove a volte avrebbero persino abusato di nuovo.

Sei mesi dopo che le rivelazioni emersero per la prima volta sulle pagine del Boston Globe, i vescovi statunitensi pubblicarono la loro Carta di Dallas. Pur introducendo una politica di tolleranza zero per i sacerdoti responsabili di abusi sessuali, il documento fu criticato per non aver affrontato il ruolo dei vescovi nello scandalo. Il testo, che escludeva le responsabilità dei vescovi, fu scritto sotto la guida dell’allora cardinale Theodore McCarrick e dell’arcivescovo Wilton Gregory, all’epoca presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti d’America.

Papa Giovanni Paolo II incontrò i cardinali statunitensi per affrontare la questione sulla scia dello scandalo scoppiato nel 2002 e poi nel 2004. Anche papa Benedetto XVI ebbe molti incontri per affrontare lo scandalo degli abusi.

Tuttavia, lo stesso Vaticano fu messo sotto esame fin dall’inizio per la sua gestione degli abusi. La reputazione del pontificato di papa san Giovanni Paolo II fu segnata in modo significativo dalle rivelazioni sugli abusi sessuali da parte del fondatore dei Legionari di Cristo, padre Marcial Maciel. Una fonte vicina a papa Giovanni Paolo II ha detto a LifeSite che Giovanni Paolo II non poteva convincersi a credere alle accuse da quando Maciel si era mascherato da conservatore, tenendo conto che in Polonia, patria di Giovanni Paolo II, i comunisti spesso accusavano i sacerdoti fedeli di abusi sessuali in modo da danneggiare la loro reputazione.

Un gruppo di otto ex seminaristi legionari si recò per la prima volta in Vaticano per presentare denunce per abusi nel 1998, ma fu necessario arrivare al 2006, dopo l’elezione di papa Benedetto XVI, perché Maciel fosse rimosso da ogni ministero pubblico.

Poco prima, alla fine del 2005, in risposta alla constatazione che la stragrande maggioranza degli abusi perpetrati dai sacerdoti era di natura omosessuale, Benedetto XVI intraprese un’azione decisa per riaffermare il divieto di accettare omosessuali nei seminari.

Sembra tuttavia che ci sia stato un altro scandalo di abusi omosessuali che avvenne silenziosamente all’interno del Vaticano nello stesso periodo di Maciel. Mentre papa Benedetto, insieme al resto della Chiesa, esprimeva pubblico dolore, incontrava vittime di abusi e prometteva riforme, coloro che occupavano posizioni elevate in Vaticano continuavano a gestire in modo errato le accuse credibili di abusi sessuali all’interno delle sacre mura.

Davanti ai tribunali penali della Germania c’è ora un caso: due preti denunciano raccapriccianti abusi sessuali per mano di monsignor Christoph Kühn, all’epoca alto funzionario della Segreteria di Stato della Santa Sede.

Monsignor Florian Kolfhaus e un secondo denunciante, un ex prete, affermano che Kühn li costrinse con la violenza ad atti sessuali masochistici.

Kolfhaus presentò una prima denuncia contro Kühn in Vaticano nel 2006. Testimoniò che l’abuso avvenne all’interno degli uffici della Segreteria di Stato, nonché all’interno di Casa Santa Marta, residenza dei prelati vaticani. Ma sembra che nessuna indagine formale sia stata avviata fino al 2019, nonostante il 3 luglio 2006 sia stata presentata ai superiori della Segreteria di Stato la Relazione dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, delegato per le Rappresentanze pontificie.

L’altro sacerdote, che ha reso la sua testimonianza per la denuncia di Kolfhaus attualmente in corso in Germania, da allora è stato ridotto allo stato laicale e ora è un attivista omosessuale e Lgbt.

Nei fascicoli del tribunale si trova anche un messaggio WhatsApp dell’aprile 2017 (visto da LifeSite) con il quale Kühn offriva al monsignore un futuro sostegno finanziario nel caso in cui il sacerdote poi laicizzato lo avesse aiutato a riabilitare il suo nome riguardo alle accuse contro di lui.

Lunedì prossimo, 7 settembre, Kolfhaus comparirà per la prima udienza presso la diocesi di Eichstatt, la diocesi di origine di Kühn.

Kühn fu a capo della Sezione tedesca della Segreteria di Stato in Vaticano dal 2001 al 2008. In questa posizione aveva l’incarico di controllare preti e vescovi dalla Germania per le promozioni, e come tale era a conoscenza di tutti i registri del personale di questi prelati. Essendo in una posizione così alta e coinvolto negli affari della Chiesa tedesca, Kühn fu spesso in stretto contatto con papa Benedetto XVI sia dopo la sua elezione nel 2005 sia prima, quando Ratzinger era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.

Come capo della sezione tedesca fino al 2008, Kühn organizzò i viaggi di Benedetto in Germania, viaggiò con lui sull’aereo papale e fu spesso fotografato fianco a fianco del papa a ricevimenti ufficiali come quelli del 2005, durante la visita del pontefice a Colonia, con il presidente tedesco Horst Kohler, il cancelliere Gerhard Schröder e il futuro cancelliere Angela Merkel.

Kühn aveva la reputazione di conservatore. Come spiega Kolfhaus nella denuncia presentata al Vaticano oltre che alla diocesi di Eichstätt, “monsignor Kühn si interessò personalmente a me, visto il difficile lavoro che stava per intraprendere, ovvero cambiare radicalmente la ‘linea politica’ della Conferenza episcopale tedesca circa la partecipazione dei vescovi tedeschi al sistema nazionale in materia di legislazione sull’aborto”. (Le diocesi tedesche – contrariamente a varie direttive impartite dalla Santa Sede – hanno partecipato al sistema statale, fornendo alle donne, su richiesta, un certificato necessario per abortire legalmente. Questo conflitto ha fortemente polarizzato la Chiesa cattolica in Germania).

Kolfhaus afferma di aver subito abusi sessuali per mano di Kühn dalla fine del 2003 al 2004 e di aver segnalato l’abuso a diversi superiori in Vaticano e altrove a partire dal 2006. Tramite il suo avvocato, Alexander Stevens, Kolfhaus ha detto a LifeSite che non diede inizio al procedimento legale né si rivolse alla stampa. Solo dopo che i dettagli dell’abuso furono raccontati dal quotidiano tedesco Die Bild nel 2019, e la polizia lo interrogò, diede inizio alla causa.

“Quando i giornalisti o le autorità civili vengono da me, devo rispondere sinceramente, mentire non vorrebbe dire altro che coprire il responsabile del reato”, ha detto Kolfhaus a LifeSite.

Il 22 gennaio 2020 l’arcivescovo Carlo Maria Viganò diede la sua testimonianza sulle indagini della Chiesa relative al caso perché dal maggio 1998 al luglio 2009 fu delegato per le Rappresentanze pontificie presso la Segreteria di Stato, una posizione che lo rendeva responsabile del personale della Curia romana come subordinato al sostituto della Segreteria di Stato.

Nella sua testimonianza (che LifeSite garantisce essere stata effettivamente rilasciata) Viganò afferma di essere “a conoscenza di precise informazioni riguardanti le molestie e tutti i tipi di abusi commessi da monsignor Christoph Kühn contro monsignor Florian Kolfhaus”.

L’arcivescovo Viganò osserva inoltre che Kolfhaus informò dell’abuso varie persone, tra cui un superiore presso la Segreteria di Stato e anche un vescovo incaricato della preparazione dei candidati al servizio diplomatico per il Vaticano.

L’arcivescovo Viganò riferisce che anche l’attuale segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, fu informato. Parolin all’epoca era sottosegretario alla Sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato.

LifeSite ha contattato il cardinale Parolin per un commento tramite la Segreteria di Stato e, il 24 agosto, ha ricevuto la seguente risposta dalla Sala stampa vaticana: “Come sapete, le accuse riguardanti monsignor Kühn sono all’esame delle autorità canoniche e civili. In queste circostanze, siamo certi che capirete che in questo momento un commento non è appropriato”. La risposta rilasciata dalla Sala stampa vaticana aggiungeva: “Nel frattempo, confidiamo che farete ogni sforzo per denunciare i fatti, ed evitare speculazioni sul caso”.

Secondo Viganò, per esaminare le relazioni di Kolfhaus sugli abusi subiti non fu intrapresa nessuna indagine ufficiale, almeno fino al luglio 2009 (quando l’arcivescovo terminò il suo incarico di delegato per le Rappresentanze pontificie). Tra le prove che avrebbero richiesto un’indagine ufficiale c’erano il rapporto inviato alla Segreteria di Stato da monsignor Justo Mullor, presidente della Pontificia accademia ecclesiastica; una relazione dello psicologo, datata 14 giugno 2006, che esprimeva un giudizio negativo su Kühn, e la Nota di Viganò per il sostituto del 3 luglio 2006.

L’arcivescovo Viganò riferisce: “Sua Eccellenza monsignor Mullor ha ritenuto suo dovere informare per iscritto i suoi superiori presso la Segreteria di Stato delle confidenze che gli erano state fatte da padre Kolfhaus. Data la gravità del caso, il presidente della Pontificia accademia ecclesiastica ha ritenuto opportuno presentare i documenti contenenti le confidenze di padre Kolfhaus al giudizio di padre Bartholomew Kiely, SJ, professore di Psicologia alla Pontificia Università Gregoriana, reticito nomine [rimozione dei nomi]. Sulla base di questo documento, padre Kiely ha formulato una prognosi negativa sulla personalità di monsignor Kühn”. (Anche questi documenti si trovano negli archivi della Segreteria di Stato).

La testimonianza di Viganò mette in discussione anche la decisione del 2001 di avere in primo luogo Kühn in Vaticano. Stando alla testimonianza di Viganò, il comportamento sessualmente scandaloso di Kühn era noto al Vaticano già nel 1997, quando Kühn era sacerdote in servizio nella nunziatura dello Zimbabwe. Viganò racconta: “Monsignor Christoph Kühn iniziò il suo servizio nella nunziatura apostolica in Zimbabwe il 1° luglio 1997. Durante questo suo primo incarico, il nunzio, sua eccellenza monsignor Peter Prabhu, dovette segnalare alcuni comportamenti del suo collaboratore [Kühn] che avrebbero potuto indicare la sua possibile tendenza omosessuale. Nel febbraio 1998 il nunzio riferì che, al ritorno da una visita pastorale di diversi giorni, gli fu detto che padre Kühn era molto malato e che [Kühn] voleva vederlo immediatamente. Il nunzio andò nella sua stanza e bussò alla porta. Kühn gli disse di entrare e si mostrò disteso sul letto, con indosso solo mutandine molto succinte. Il nunzio gli disse di vestirsi e se ne andò. In seguito, e nonostante l’ammonimento ricevuto, Kühn andò dalla camera da letto al suo ufficio e poi nell’area comune della nunziatura svestito allo stesso modo”.

In un’altra occasione, durante un incontro durato due ore in un club italiano, con le luci spente mentre venivano proiettate diapositive, padre Kühn prese un giovane ragazzo biondo di circa nove o dieci anni e lo fece sedere sopra di lui, abbracciandolo.

Nel 2008 Kühn fu trasferito a Vienna dall’allora sostituto arcivescovo Fernando Filoni per lavorare nella nunziatura. Due fonti vicine a papa Benedetto hanno parlato in modo anonimo a LifeSite di questo argomento, suggerendo che Kühn fu trasferito a Vienna perché i suoi comportamenti sessuali scandalosi (in alcuni casi con soggetti creduti consenzienti) divenne troppo noto. Uno disse che il papa trasferì Kühn pur essendo a conoscenza dei suoi problemi e perfino chiese al cardinale Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia, di portare Kühn nella sua diocesi, ma Meisner rifiutò. Un’altra fonte ha affermato: “Quando si seppe che [Kühn] aveva molestato diversi giovani (tra cui anche Kolfhaus), Benedetto XVI lo allontanò dal Vaticano e lo mandò a Vienna”. Questa fonte ha insistito, difendendo il papa, sul fatto che Benedetto intervenne personalmente e che punì Kühn due volte, destinandolo a posizioni meno importanti, prima a Vienna (2008) e poi a Eichstätt (2012), e questa volta rimuovendolo dal servizio diplomatico.

Un’altra fonte dalla cerchia di Benedetto suggerisce, tuttavia, che Benedetto non fosse a conoscenza della questione e che essa venne affrontata dall’allora segretario di Stato in persona (ora cardinale Tarcisio Bertone) o dall’allora sostituto (ora cardinale Fernando Filoni).

LifeSite ha contattato il papa emerito Benedetto XVI, tramite il suo segretario personale, l’arcivescovo Georg Gänswein, chiedendo un commento, ma non ha ricevuto risposta.

Negli archivi del tribunale, attualmente presso il procuratore di Stato, un uomo che era impiegato in una posizione di alto rango presso la diocesi di Eichstätt riassume quanto gli è stato detto dai superiori della diocesi riguardo a Kühn. Fu avvertito di essere “cauto” nei confronti di Kühn “a causa del suo passato un po’ difficile”. Quando chiese ulteriori informazioni, sia il direttore finanziario della diocesi sia il vicario generale lo informarono che Kühn era noto per aver avuto alcuni “incontri irrisolti”, durante la permanenza in Africa, legati al suo essere omosessuale”. Durante la sua permanenza a Vienna, hanno aggiunto, “divenne così selvaggio che gli fu vietato l’ingresso in un hotel”.

Secondo questa fonte, il vicario generale gli disse che il motivo ufficiale del licenziamento di Kühn da Vienna era legato alla “storia dell’hotel” e a “ulteriori contatti sessuali non consensuali durante il suo servizio diplomatico”.

Nel bel mezzo di questo scandalo, nell’aprile 2011, papa Benedetto conferì a Kühn una nomina speciale come “prelato d’onore di Sua Santità”, un riconoscimento papale che spesso arriva dopo diversi anni di servizio nel corpo diplomatico del Vaticano.

Alla fine dell’agosto 2012 Kühn fu rimosso dal servizio diplomatico del Vaticano e trasferito nella sua diocesi di origine di Eichstätt, in Germania, dove fu nominato canonico della Cattedrale dal vescovo Gregor Hanke. Quella posizione fece guadagnare a Kühn uno stipendio molto più alto e una posizione di notevole prestigio.

Nell’aprile del 2019 le accuse contro Kühn sono state rese note al pubblico dal quotidiano tedesco Die Bild. Solo in seguito il vescovo Hanke di Eichstätt, che secondo la testimonianza di Viganò era stato informato in precedenza degli abusi di Kühn, sospese il prelato dalle sue funzioni. A Kühn fu anche detto di celebrare solo Messe private; tuttavia LifeSite ha scoperto che nel giugno del 2020 ha celebrato una Messa pubblica nella diocesi di Regensburg. Rispondendo a una richiesta di LifeSite al riguardo, la diocesi di Eichstätt si è limitata a sottolineare che Kühn ha celebrato la Messa in un’altra diocesi, mentre la diocesi di Regensburg ha rifiutato di commentare.

LifeSite ha contattato monsignor Kühn rivolgendogli alcune domande. In risposta, l’avvocato di Kühn ha minacciato una causa se LifeSite dovesse riferire sul caso. Il legale ha negato tutte le accuse e ha vietato non solo di riferire sul caso, ma anche di condurre ulteriori ricerche al riguardo.

Kühn prese conoscenza delle accuse per la prima volta nel luglio 2020, dopo che il vaticanista italiano Marco Tosatti pubblicò sul suo blog una traduzione di parti di un articolo di Die Bild del 16 luglio 2020 dedicato al caso, ma le negò con veemenza.

Inoltre, Kühn afferma che l’avvocato di Kolfhaus Alexander Stevens è “un noto attivista Lgbtq e sostenitore del relativo stile di vita e dissolutezza”.

Stevens ha detto a LifeSite che l’accusa di Kühn contro di lui è falsa: “Il prelato ovviamente non esita a screditare nemmeno l’avvocato della vittima”, ha scritto via mail. “Secondo me, la strategia di Kühn è ancora una volta manifesta: neutralizzare il nemico con deliberate falsità”.

Il Codice di diritto canonico (can. 1395) afferma: “Il chierico concubinario, oltre il caso di cui nel can. 1394, e il chierico che permanga scandalosamente in un altro peccato esterno contro il sesto precetto del Decalogo, siano puniti con la sospensione, alla quale si possono aggiungere gradualmente altre pene, se persista il delitto dopo l’ammonizione, fino alla dimissione dallo stato clericale. §2. Il chierico che abbia commesso altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo, se invero il delitto sia stato compiuto con violenza, o minacce, o pubblicamente, o con un minore al di sotto dei sedici anni, sia punito con giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti”.

Esperti di diritto canonico hanno detto a LifeSite che gran parte del problema che ha portato agli scandali degli abusi sessuali nella Chiesa è stato l’ignoranza e il rifiuto di applicare il diritto canonico.

John-Henry Westen

(Ha collaborato Maike Hickson)

Fonte: lifesitenews

Nella foto (da sinistra a destra): monsignor Christoph Kühn, già capo del Dipartimento di lingua tedesca della Sezione I della Segreteria di Stato della Santa Sede; mons. Erwin Josef Ender, nunzio apostolico in Germania; papa Benedetto XVI; il presidente federale Horst Köhler durante la Giornata mondiale della gioventù a Colonia, Germania, 19 agosto 2005 (Wolfgang Radtke / KNA).

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