Vaccino: ma siamo sicuri che non stiamo facendo da cavie?

Cari amici di Duc in altum, Alessandro Martinetti, instancabile analista dei dati sulla pandemia e sui vaccini, mi ha inviato questo contributo. Lo sottopongo alla vostra attenzione.

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Caro dottor Valli, il vaccino Pfizer è sicuro?

Per onestà bisogna (purtroppo) rispondere: non possiamo saperlo. Infatti, l’ultimo report che riferisce i risultati del trial di fase 2/3 del vaccino anti-Covid Pfizer ammette candidamente (vedasi al capitolo “discussione”)  che lo stato di salute della metà dei circa 19 mila partecipanti alla sperimentazione ai quali è stata somministrata la seconda dose è stato monitorato per soli due mesi (sessanta giorni!) dopo la somministrazione della stessa, e per un piccolo gruppo al massimo quattordici settimane (circa 3,5 mesi): pertanto, del vaccino Pfizer non sappiamo realmente alcunché circa la sicurezza successiva a pochi mesi dalla somministrazione.

Saranno gli italiani a testarla, questa sicurezza, sulla loro pelle, come cavie (capisco di usare parole forti, ma le cose vanno chiamate col loro nome).

Eppure, sarebbe stato più che mai necessario avere riscontri di più lungo periodo, considerando pure che il vaccino Pfizer 1) è stato realizzato con velocità supersonica in meno di un anno 2) usa una tecnica inedita, ossia – spiega il professor Paolo Bellavite – “particelle o virus vettori contenenti i filamenti di RNA che, con vari accorgimenti tecnologici, vengono fatti entrare nelle nostre cellule. Saranno poi le cellule umane a produrre le proteine tipiche del virus, che il nostro sistema immunitario riconoscerà come estranee, dando il via al processo di immunizzazione. In teoria, i filamenti di RNA possono entrare in qualsiasi cellula del tessuto dove il vaccino è iniettato o arriva diffondendosi: muscolo, connettivo, sangue, neuroni… Il rischio è – al pari di un’infezione virale – che si attivi un’aggressione autoimmune: le cellule che producono le proteine virali vengono viste come estranee e perciò attaccate dal sistema immunitario. In alcuni soggetti, predisposti geneticamente o per suscettibilità di altro tipo, una reazione autoimmune può espandersi e divenire sistemica, attaccare anche altri organi… per questo dico che gli eventi avversi devono essere misurati anche a medio termine, ossia per mesi”.

Al riguardo, sempre il professor Bellavite nota che “nella discussione, gli autori [del report] scrivono letteralmente: ‘Sebbene lo studio sia stato progettato per seguire i partecipanti per la sicurezza e l’efficacia per due anni dopo la seconda dose, data l’elevata efficacia del vaccino, le barriere etiche e pratiche impediscono di seguire i destinatari del placebo per due anni senza offrire l’immunizzazione attiva’. In pratica, ciò significa che terminano la parte più importante e preziosa della ricerca anzitempo. Sembra un discorso logico perché invocano l’etica, ma non lo è affatto. Infatti, la ricerca ha come obbiettivi non solo l’efficacia, ma anche gli effetti avversi del vaccino. Interrompendo ora lo studio progettato, non avremo risposta al quesito cui si voleva rispondere: se il vaccino fa più bene che male. In pratica, resterà aperta, per sempre, la possibilità che le conseguenze del vaccino sulla vasta popolazione siano più gravi di quelli da Covid-19. Contrariamente a quanto hanno voluto far credere, questa scelta è la meno etica che si possa immaginare, perché vanifica anche gli sforzi fatti finora”.

Concludendo, ripeto: chi si vaccinerà scoprirà da sé, come una cavia, se il vaccino è sicuro e se le conseguenze del vaccino sulla vasta popolazione saranno più gravi di quelle da Covid-19. Pertanto, le attese semi-miracolistiche riposte su questo vaccino risultano, dati reali alla mano, totalmente ingiustificate.

Alessandro Martinetti

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