Il degrado liturgico mette a repentaglio la fede stessa

Cari amici di Duc in altum, vi propongo il mio più recente intervento per la rubrica La trave e la pagliuzza, in Radio Roma Libera.

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In questi giorni sono rimasto colpito da una lettera scritta da un religioso. L’autore, un domenicano, occupandosi del degrado liturgico imperante, scrive fra l’altro: “Non sono più gli atei, gli anticlericali, i liberi pensatori, i senza Dio quelli che vogliono a tutti i costi spogliare i fedeli di ciò che hanno di più prezioso; sono i vescovi che si dedicano a questo compito”.

La denuncia è molto forte. Nella lettera il religioso parla di “iniziative liturgiche anarchiche e profane” che “brulicano ovunque nelle nostre chiese e anche nelle nostre più venerabili cattedrali, con il consenso e talvolta la partecipazione di alcuni vescovi”. Eppure, sembra che per questi stessi vescovi il pericolo sia la Messa tridentina secondo il rito di san Pio V.

Scrive ancora l’autore della lettera: “Per chi ci prendono i nostri vescovi? Conosciamo i testi. Sappiamo che il nuovo messale di Paolo VI è semplicemente autorizzato, non imposto. Sappiamo che Paolo VI non ha mai vietato la celebrazione della Messa secondo il rito di San Pio V. Sappiamo che il Concilio, a sua volta, e lo stesso papa, hanno considerato il latino come lingua ufficiale della Chiesa”. Eppure, “al giorno d’oggi un sacerdote può prestare la sua chiesa a musulmani, buddisti, tibetani, patagoni, hippy, papuasici, ragazzi, ragazze, ambigui, ambivalenti, ambidestri, anfibi, ambulanti; ma, ahimè, se un prete infelice vuole celebrare lì la Messa per la quale quella stessa chiesa è stata costruita (dal popolo, non dai preti), e se il popolo vuole assistere alla stessa Messa che lì è stata celebrati per secoli, ecco che gli anatemi episcopali non mancheranno. E arriveranno dagli stessi vescovi che ci parlano di ecumenismo, pluralismo, tolleranza. Vescovi che nei confronti di tutti sono miele puro, ma solo contro di noi, fratelli nella fede e nel sacerdozio, tirano fuori gli artigli e diventano spietati”.

L’autore della lettera, come si vede, non manca di verve polemica, che diventa particolarmente graffiante quando sostiene che i vescovi e i sacerdoti noti per essere “tutto miele” verso chiunque chiudono le porte in faccia a un’unica categoria di persone: quei cattolici che vogliono restare fedeli all’antica liturgia.

Alla fine, il religioso scrive: “San Tommaso d’Aquino ci dice che l’Eucaristia è il bene comune della Chiesa cattolica. Quando questo bene comune viene distrutto, è tutta la Chiesa che si disintegra”.

Mi chiederete: perché sei rimasto tanto colpito da questa lettera? Perché, scritta dal domenicano francese Raymond-Leopold Bruckberger, apparve su Le Figaro il 24 gennaio 1975. Sì, avete capito bene: 1975. Pensate: quarantasei anni fa tutti i problemi che oggi viviamo, e che tanto spesso ci procurano amarezza, erano ben delineati ed evidenti agli occhi di chi era in grado di vedere.

Proprio mentre leggevo la lettera del padre Bruckberger, ne ho ricevuta una da una lettrice del mio blog Duc in altum. Una lettera dolente, intrisa di sconforto, che incomincia così: “Vorrei manifestare un disagio che mi prende ogni volta che vado alla Messa. Un disagio crescente, contro il quale cerco di combattere, ma con scarsi risultati. Fin da quando entro in chiesa non riesco a essere serena. Mi accorgo di troppe cose che non vanno. Mi dico che non dovrei giudicare, ma è più forte di me. Guardo Nostro Signore appeso in croce e gli chiedo: come puoi sopportare tanta trascuratezza, tanti abusi? Non è bastato voler aggiornare il Padre nostro. Ora i vescovi, sempre prontissimi a trascurare l’essenziale a favore del superfluo, si sono pure inventati il grottesco scambio di uno sguardo di pace. Qualcuno fa l’occhiolino, qualcuno si inchina (a Dio non ci si inchina mai, al vicino di panca sì). Tutta la scena ha un che di tragicomico. La Comunione distribuita rigorosamente sulla mano, e con il fedele in piedi, è il culmine dello sfacelo. Dopo la Messa me ne torno a casa incupita e con un senso di colpa a causa delle mie critiche, ma come si fa a non vedere?”.

Il padre Bruckberger, alla fine della sua riflessione, facendo riferimento al pensiero di Henri Bergson, il filosofo che il compianto Vittorio Mathieu definì “il grande rimosso della filosofia contemporanea”, osserva che riti e cerimonie senza dubbio emanano dalla fede, ma hanno anche un effetto su di essa. Riti e cerimonie possono consolidare la fede, ma se vengono sconvolti e pervertiti la fede rischia di essere distrutta.

Tuttavia, tranne rare eccezioni, i nostri pastori non vedono e non sentono. E, sempre misericordiosi e accoglienti con tutti, diventano improvvisamente duri e inflessibili verso chi si permette di ricordare che Deus non irridetur.

Aldo Maria Valli

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Cari amici di Duc in altum, sono lieto di annunciare l’uscita del libro L’altro Vaticano II. Voci da un Concilio che non vuole finire (Chorabooks 2021), nel quale è proposto un modo alternativo e controcorrente di guardare al Concilio Vaticano II, tema imprescindibile se si vuole affrontare la questione della crisi della Chiesa e della fede stessa.

Con contributi di Enrico Maria Radaelli, padre Serafino Maria Lanzetta, padre Giovanni Cavalcoli, Fabio Scaffardi, Alessandro Martinetti, Roberto de Mattei, cardinale Joseph Zen Ze-kiun, Eric Sammons, monsignor Carlo Maria Viganò, monsignor Guido Pozzo, Giovanni Formicola, don Alberto Strumia, monsignor Athanasius Schneider, Aldo Maria Valli.

 

 

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