Elogio della riverenza

Durante le Messe non è difficile accorgersi di come, troppo spesso, da parte dei fedeli manchi quasi totalmente la riverenza, quel senso di rispetto che si deve manifestare, mediante il comportamento, nei confronti della maestà divina.

Molti buoni cattolici non mancano di riverenza perché poco credenti, ma per una mancata educazione.

San Giovanni Crisostomo raccomanda di mantenere un atteggiamento di riguardo e venerazione di fronte a Dio, sottolineando che, se ci comportiamo con la dovuta riverenza, otteniamo benefici già prima di ricevere ciò che vogliamo chiedere.

Paul Krause, in Crisis Magazine, spiega che il desiderio di riverenza è tanto più profondo quanto più forte è la consapevolezza dell’amore di Dio per noi. La più alta manifestazione della riverenza nei confronti di Dio è l’adorazione, ma anche in tutti gli altri momenti siamo chiamati a essere riverenti, perché la riverenza è il modo in cui manifestiamo apprezzamento, comprensione e gratitudine verso Dio.

Riconoscere che Gesù è presente nella santa Eucaristia è importante (e invece quanta sciatteria nel consegnare e nel ricevere l’ostia consacrata), ma altrettanto importante è la consapevolezza che noi stessi, in anima e corpo, siamo templi del Signore. Se fin dal catechismo si insegnasse ai bambini che ogni battezzato è, in un certo senso, un’estensione del Corpo di Cristo in questo mondo, forse in chiesa non vedremmo tanta maleducazione.

Giustamente Krause osserva che l’etica cattolica non si concentra sui divieti e le restrizioni, ma sulle virtù e sulla dignità. Questo mio corpo, dice san Paolo, non è veramente mio ma del Signore. Esorta sant’Agostino: “Rallegriamoci, rendiamo grazie a Dio, non soltanto perché ci ha fatti diventare cristiani, ma perché ci ha fatto diventare Cristo stesso”.

Già all’ingresso in chiesa si nota la mancanza di consapevolezza. Pochi coloro che si genuflettono, pochi i segni di croce degni di questo nome. Molte le persone che, anziché mostrare la dovuta riverenza, per prima cosa si mettono a cercare un posto. Ma la casa del Signore non è un teatro, anche se la Messa troppo spesso viene trasformata in una rappresentazione, con il celebrante nel ruolo di attore protagonista e la comunità dei fedeli trasformata in pubblico.

Entrando in chiesa dovremmo puntare lo sguardo sul tabernacolo, perché lì sta il Signore, e salutarlo con la dovuta riverenza. Ma non lo facciamo, o lo facciamo male, anche perché in molte chiese il tabernacolo ha perso la sua centralità e non si sa bene dove sia.

Scrive Krause: dal momento che siamo diventati Cristo e Cristo dimora nella chiesa, non è troppo chiedere che tutto ciò sia riconosciuto mediante la chiesa stessa e la liturgia. Proprio come non dobbiamo contaminare il corpo con il peccato, anche la chiesa e la liturgia dovrebbero essere preservate da contaminazioni indebite.

Il Corpo di Cristo è la nostra casa. E ogni casa che si ama deve essere adorabile, cioè bella. La bellezza è veramente al centro della comprensione cattolica di ogni cosa. La bellezza della creazione, della grazia., dell’incarnazione, della risurrezione, del Corpo di Cristo, della Trinità, che è la bellezza più completa con la quale cerchiamo di entrare in comunione.

Nel momento in cui proclama, de fide, che noi siamo il corpo di Cristo e che il corpo di Cristo dimora nel tabernacolo, nella chiesa, il cattolico desidera bellezza e dignità per tutte le cose di Cristo. Non è questione di immagine, ma di sostanza. Attraverso la bellezza e la dignità la luce della verità risplende nell’oscurità del mondo. Chi non si cura della bellezza e della dignità mette se stesso al primo posto, prima di Cristo. Non è un caso che nel corso della storia cristiana gli iconoclasti più violenti siano stati quelli che hanno negato anche la presenza reale di Cristo.

Lo scrittore inglese Samuel Johnson, per quanto fosse un devoto anglicano e non un cattolico, aveva ragione quando scriveva: “Essere felici a casa è il massimo dell’ambizione”. Tutti noi desideriamo essere felici a casa, ma nella casa di Dio troppo spesso vediamo cose e ascoltiamo parole che non ci piacciono e che ci rendono infelici. La nostra casa è nel Corpo di Cristo. Amare quel Corpo, essere felici in quel Corpo, è garantire la bellezza e la dignità di quel Corpo. Coprire quel Corpo di fango, macchiarlo con cose banali e spogliarlo come fecero gli avidi e malvagi romani, significa non mostrare alcuna consapevolezza della realtà della Casa in cui ci troviamo.

“Essere felici a casa” è una massima da tener presente. Coloro che distruggono non sono felici. Cercano di cambiare proprio perché non apprezzano ciò che vivono. Non hanno niente verso cui essere riverenti, niente da adorare. Il problema è che rendono più miserabile la vita di tutti, non solo la loro.

La riverenza è ciò che accompagna e manifesta l’adorazione riconoscente. La riverenza nasce dalla consapevolezza di chi siamo e di cosa siamo alla presenza del Corpo di Cristo. La riverenza è il frutto dell’amore. Tutte le cose nate dall’amore vero sono belle. E in quella bellezza adorabile e amorevole troviamo l’unica vera felicità che calma il cuore inquieto: Cristo, al quale ogni ginocchio si piegherà e di fronte al quale ogni lingua confesserà che Egli è il Signore.

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Questo articolo prende spunto dall’originale, The Beauty of Reverence, di Paul Krause, in crisismagazine.com

Photo Credit: Wikimedia Commons

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