E i centri trans li paghiamo noi

di Marco Respinti

L’economia italiana è in ginocchio. Per il CoViD-19? No, perché fra assistenzialismo, clientelismo, tasse assurde, debito alle stelle e disonestà, ovvero una sommatoria di malaffari, il Belpaese assomiglia endemicamente alla groviera. Galoppando vento in poppa dalla Cina il compagno coronavirus è venuto soltanto a dare il colpo finale a un corpo agonizzante. Non sarà, insomma, l’ennesimo amplesso fra lo Scarabeo dei parolai e il sudoku dei numeri pazzi a risollevare un Paese demograficamente impotente e imprenditorialmente castrato, soprattutto se il prosseneta resterà sempre e solo lo Stato in una qualsiasi o più delle sue ramificazioni tentacolari.

È ritrovandosi ogni giorno davanti a questa realtà cruda, è sentendo le prefiche tendere da talk show tutti uguali il cappello delle mancette, è intristendosi per l’ennesima tiritera di un Paese che pencola all’ingiù come i capponi di Renzo che uno si chiede come capperi sia possibile che la mattina un tal dirigente pensi e un secondo altro implementi e poi addirittura il Consiglio dei ministri della Repubblica italiana, nei panni del suo Dipartimento per le pari opportunità, insomma che cotante «[…] genti dolorose/ c’hanno perduto il ben dell’intelletto» possano anche solo ipotizzare, ideare, pensare di lanciare un bando «per la selezione ed il finanziamento di progetti di accompagnamento all’autoimprenditorialità o alla creazione di nuove imprese per persone transgender».

Lo Stato italiano, cioè, non fa l’unica cosa che, sul piano economico, ne giustifica l’esistenza, ovvero rimuovere gli ostacoli all’imprenditorialità, primo fra tutti se stesso, ma sussidia, mediante denari che vengono prelevati con la scusa di finanziare servizi di utilità pubblica dalle tasche di cittadini, per lo più ignoranti del fatto e inermi al fattaccio, un gruppo di privati il cui essere transgender prevale sul merito imprenditoriale. Se non fosse così, all’ufficiale pagatore che diamine importerebbe del sesso vero o presunto di un manager di successo?

Accadeva così nell’ultimo quarto del 2020, con pubblicazione ufficiale in data 27 novembre, allorché alcune realtà del mondo LGBT+ accedevano a del denaro prelevato dai cittadini italiani per essere messo a disposizione solo ed esclusivamente del mondo LGBT+ per «progetti di accompagnamento all’autoimprenditorialità o alla creazione di nuove imprese per persone transgender» sulla cui fattispecie e consistenza sarebbe edificante venire edotti. Non è finita. Il decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 convertito con legge 13 ottobre 2020, n. 126, è uno dei tanti interventi con cui l’allora premier Giuseppe Conte ha pensato di affrontare il CoViD-19. Con percezione netta delle urgenze e delle priorità del Paese, la conversione da decreto-legge a legge ha pensato bene di garantire copertura finanziaria a quel famoso «testo unico Zan» che ogni tanto rinasce dalle proprie ceneri e di cui si sta tornando a parlare. Quindi, in data 9 marzo 2021 dell’era Mario Draghi, sono state finalizzate le risorse stanziate nell’era Conte II, pubblicando l’Avviso per la selezione di progetti per la costituzione di centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere con scadenza al 10 maggio 2021. È la caparra del «t.u. Zan», anzi la sua anticipazione. Il «t.u. Zan» non è ancora legge, ma quel che imporrebbe lo stanno già costruendo con i soldi dei contribuenti svenati da uno Stato vessatorio e dal CoViD-19. Ma tanto l’anno venturo ci sono i Mondiali di calcio.

Fonte: ifamnews.com

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