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Così le politiche anti Covid hanno cambiato l’antropologia

di Stefano Fontana

Il covid cambia l’antropologia. Quale uomo si vuole far emergere dalle rovine delle politiche anti-Covid? Un individuo privo di relazioni: il medico di base non è consultabile, i familiari sono potenziali nemici. Inoltre, i confinamenti valgono per tutti, che uno viva in una città o in un paesino. Si tratta di un uomo-massa disincarnato a cui cambiare modo di lavorare e imparare, piangere i morti, pregare. Un uomo eterodiretto, dipendente dalla macchina della sanità e della politica, senza coscienza, perché pericolosa, che farà coincidere la verità con i dati istituzionali, attento a cosa dirà e a chi.

La visione dell’epidemia da Covid 19 è in fondo una antropologia. Le misure sociali e sanitarie sono adottate alla luce di una concezione di uomo. Non si creda che il contagio in atto da un anno sia irrilevante dal punto di vista antropologico: non si tratta solo di virus, ormai lo abbiamo capito da tempo. Quale visione di uomo sta alla base della narrazione prevalente e quale uomo si vuole far emergere dalle rovine delle politiche anti-Covid da parte di chi ha in mano le leve del potere?

A considerare come sono andate le cose e come stanno andando tuttora, la loro visione di uomo è quella della modernità, senza tentennamenti: l’uomo è un individuo, il virus colpisce gli individui, le politiche antivirus si rivolgono agli individui e sono implementate da un altro Grande Individuo, lo Stato. Si tratta di un individuo irrelato che, da solo, sta davanti alla macchina del sistema sanitario che, come hanno detto in molti da Faucault a Illich a Jünger, è prima di tutto una macchina politica e solo in secondo luogo sanitaria.

L’idea di fondo è che il singolo debba dipendere dalla macchina sanitaria in modo da dipendere dalla macchina politica. L’individuo è visto come privo di risorse, come una pura unità numerica nuda davanti alla Grande Macchina gestita dal ministro Speranza. Non ha risorse, deve essere guidato, non ha notizie sul contagio, gliele devono dare gli esperti, non sa dove andare, bisogna mandare l’ambulanza e ricoverarlo in ospedale, ossia dentro la Grande Macchina. Non bisogna vaccinarlo per mettere in moto gli anticorpi naturali, bisogna vaccinarlo in continuazione, affinché dipenda dalla vaccinazione.

Che si tratti della visione dell’uomo come individuo irrelato, si capisce anche dal fatto che le relazioni attorno a lui sono state eliminate per motivi igienici ma in fondo per motivi politici. Il medico di base non è consultabile, i familiari sono potenziali nemici, le cure a casa non si possono fare perché mancano i protocolli, la famiglia è stata penalizzata e se qualche piccolo aiuto economico è stato dato è solo perché le mamme non potevano lavorare causa il lockdown e non per la famiglia in quanto tale: un compenso alle singole lavoratrici non un aiuto alla famiglia. La visione è quindi quella di un individuo-massa, anonimo e uguale a tutti gli altri. Confinamenti e limitazioni valevano e valgono indifferentemente per tutti, che uno viva in una città di 3 milioni di abitanti o in un paesino di campagna di 800 anime. Le scuole sono state chiuse sia in centro a Milano dove si va a scuola ammassati nei mezzi pubblici sia ad Alonte, piccolo paese nel Vicentino, ove a scuola ci si va a piedi da soli o accompagnati dalla mamma. Le politiche anti-Covid hanno presupposto un uomo-massa disincarnato e da disincarnare.

Un uomo, allora, visto come appendice passiva del sistema, come individuo e come uomo-massa. Oltre a ciò, anche come un uomo plasmabile. Privo di una natura propria e indiscutibilmente umana, ma malleabile, plastico, potenzialmente mutevole come materia in evoluzione. Tutte le sue abitudini sono state messe da parte, considerandole solo abitudini cambiabili a piacere. Tra di esse ce n’erano alcune che non erano solo abitudini, ma avevano a che fare con la vita umana, quella vera. Santificare le feste, andare a trovare parenti e amici ammalati, fare opere di carità in presenza e non a distanza, mandare i figli a scuola…non sono solo abitudini intercambiabili. Vogliono farci cambiare modo di lavorare e di imparare, di piangere i morti e di pregare, di ricordare il nostro passato e di sposarci. “Niente sarà come prima” è lo slogan della ri-creazione dell’uomo nuovo.

Alla visione dell’uomo plasmabile si accompagna quella dell’uomo eterodiretto, privato di coscienza e di responsabilità perché pericolose per la sanità pubblica. Saremo dotati di molti nuovi “pass”, sia cartacei sia elettronici, e si moltiplicheranno le “green card” con cui il potere guiderà i nostri passi. Dovremo assumere come vere le ricerche finanziate da Bill Gates ed essere felici che il virologo Amici e il medico Gulisano siano stati esclusi da programmi di informazione della tv pubblica. Dovremo agire come dio comanda anche se comanda cose assurde. Faremo coincidere la verità con i dati istituzionali. Dovremo porre attenzione a cosa diciamo e in presenza di chi.

Infine, la questione più importante. L’antropologia di chi gestisce le politiche anti-Covid è quella di un uomo ateo: individuo solitario, plasmabile ed eterodiretto proprio perché ateo. Soprattutto pauroso e impaurito perché ateo. Con Lourdes e i santuari dedicati alla Madonna della Salute chiusi, i sacerdoti celebranti con la mascherina e il detergente per le mani, i volontari dei Carabinieri tra le navate, pochi spazi sono stati riservati allo spirito e i riti religiosi sono stati sostituiti da quelli sanitari.

L’uomo individuo irrelato, terminale passivo del sistema, plasmabile dal potere, uomo-massa eterodiretto, bloccato dalla paura indotta, salutarmente ateo. Tutte cose già dette da Thomas Hobbes, il padre (disperato) della politica moderna.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

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