Il Covid, le politiche punitive e l’uso mistificatorio del concetto di bene comune

di Aldo Maria Valli

Sul Covid continuiamo ad ascoltare discorsi e a leggere notizie improntate ad allarmismo, come se i mesi appena trascorsi non ci avessero insegnato nulla. Ma la primavera del 2021 non è l’inverno del 2020. Oggi conosciamo meglio il Covid e abbiamo potuto fare esperienza dei modi in cui è stato affrontato.

Ormai possiamo dire che i benefici delle scelte governative – in sostanza, la politica dei lockdown – sono stati sopravvalutati e gonfiati, mentre i danni che hanno provocato, devastanti sia per le persone sia per le nazioni, sono stati e sono tuttora sottostimati. Se mi chiedete quali sono i danni, rispondo che basta guardarsi attorno. Penso ai bambini e agli adolescenti costretti a stare chiusi in casa, alle malattie non curate perché la sanità si è concentrata sul Covid, all’aumento di depressioni, suicidi, pornografia, abuso di droga, ai posti di lavoro perduti, a intere economie collassate: un impatto catastrofico.

In proposito ci sono ormai molte analisi, ma i paladini dei provvedimenti restrittivi, sebbene tali provvedimenti si siano dimostrati ingiustamente punitivi e illogici. continuano a pontificare.

Occorre poi considerare l’aggressività contro chi non si piega alla narrativa dominante. Chi ha una visione alternativa deve fare i conti con reazioni, spesso minacciose e calunniose, che se potevano essere comprese, ma non giustificate, a inizio pandemia, ora sono inaccettabili.

Di che cosa sarebbero colpevoli coloro che, con espressione cara a Giuseppe Prezzolini, potremmo definire gli apoti, ovvero coloro che non se la bevono? L’unica “colpa” è di esprimere dubbi e riserve fondate sull’efficacia dei lockdown e di divieti sociali e personali altamente invasivi. La “colpa” è di chiedere politiche sociali e sanitarie più articolate, suddivise per fasce sociali, per età e tipologia dei destinatari, evitando i provvedimenti a tappeto, spesso arbitrari e distruttivi. E infine, circa i vaccini, c’è la “colpa” di chiedere il rispetto del diritto alla libertà di scelta, previsto e tutelato dalla nostra Costituzione, e quindi il diritto di non lasciarsi iniettare sostanze che devono essere considerate ancora sperimentali perché non c’è stato il tempo di testarle a sufficienza.

Se poi le critiche sono formulate da un cattolico, l’accusa si fa ancora più pesante: come osi parlare così? Non ti accorgi di essere in contraddizione? Proprio tu, che ti ispiri a un messaggio di bontà, condivisione e altruismo, ti schieri contro provvedimenti presi in nome del bene comune? Non hai ascoltato papa Francesco? Non sai che ha definito l’assunzione del vaccino un dovere etico?

All’origine di questa mistificazione c’è un concetto di bene comune, purtroppo fatto proprio anche dalla Chiesa, che è quanto meno distorto. Si ritiene che “bene comune” equivalga semplicemente ad assenza di malattia. Non si tiene conto del benessere psicofisico, mentale e spirituale. Non si vuol riconoscere che politiche eccessivamente punitive e contrarie alle libertà fondamentali si traducono in pesanti danni alla salute intesa nel senso più ampio e completo, comprensivo di tutte le dimensioni umane.

Sulla scorta di una interpretazione allarmistica e tendenziosa del fenomeno Covid si continua a prendere provvedimenti destinati ad alterare in modo grave e a lungo termine la struttura sociale e i comportamenti personali.

L’ipotesi di introdurre passaporti vaccinali è inquietante. Da passaporto a lasciapassare il passo è breve, e a quel punto ci troveremmo di fronte a un ricatto. Il pass diventerebbe una sorta di certificato di buona condotta e i cittadini sarebbero suddivisi tra buoni e cattivi sulla base di una scelta che – lo stabilisce la Costituzione – è e deve restare libera.

Gli esperti (medici, scienziati, psicologi, osservatori sociali) che non condividono le politiche improntate a chiusure e allarmismo vengono già oggi emarginati e squalificati come irresponsabili. Le nostre democrazie liberali stanno pagando un prezzo molto alto e non sappiamo se i loro valori fondanti potranno essere preservati.

Meglio sudditi che morti, il titolo che il Censis ha dato al suo ultimo rapporto sullo stato del Paese, fotografa bene la situazione italiana. Siamo sempre più disposti a rinunciare alle nostre libertà fondamentali perché terrorizzati da un virus che, a dispetto dei dati, continua a essere dipinto come un killer spietato, affrontabile soltanto mediante i vaccini. E la vaccinazione è diventata essa stessa motivo di discriminazione. Se non l’accetti, se obietti che i vaccini non hanno ancora superato tuti i test di affidabilità, se provi a spiegare che prima di ricorrere a vaccini ancora non sufficientemente testati ci sono molte possibilità di intervento (le cure ci sono, così come i medici che le applicano), se provi a dire che i fondi ingenti destinati all’acquisto dei vaccini potevano essere destinati a rinforzare il sistema sanitario e a consentire cure precoci, diventi uno da scomunicare in senso letterale: da mettere fuori dalla comunità, dal consesso civile.

L’opinione pubblica è ampiamente in preda a una dissonanza cognitiva secondo la quale la parola degli “esperti” che sostengono le politiche di chiusura e di riduzione delle libertà non può essere messa in discussione. Siamo alle prese con un fideismo cieco, che rifiuta di considerare la realtà per quella che è.

Le autorità continuano a presentare cifre in termini assoluti ed evitano le percentuali. Evidentemente si ritiene che le percentuali non siano funzionali al clima di allarmismo, a sua volta funzionale alla legittimazione di una serie di provvedimenti punitivi.

C’è poi da notare che, in generale, sia nei mass media sia nel confronto quotidiano tra amici, conoscenti e familiari, il dissenso è ormai stato “patologizzato”. Se non concordi con la narrativa dominante significa che sei un disgustoso egoista oppure un pazzo. Dunque, occorre emarginarti. Mentre chi ha introdotto politiche punitive e inefficaci non è minimamente disposto a riconoscere i propri errori, colui che osa porre domande e sollevare dubbi è considerato un pericolo pubblico.

Il fideismo imperante richiede che i grandi sacerdoti delle politiche di chiusura siano posti su un piano intoccabile. Mentre tu, apota, sei dipinto come egoista, irresponsabile e pazzo, loro, grazie alla grancassa mediatica, hanno conseguito il diritto di continuare a sostenere tesi considerate attendibili a priori, anche se gli effetti delle politiche conseguenti si sono dimostrati distruttivi. Loro sono la nuova casta sacerdotale, infallibile e inattaccabile. Una casta che opera con il sostegno dei grandi mass media (tv generaliste e giornali), i quali a loro volta cavalcano l’allarmismo perché vi hanno visto l’ultima spiaggia di salvezza. In preda a una costante emorragia di ascolti e di copie vendute, utilizzano il terrore per restare a galla, per conservare un ruolo e una voce.

I medici che si battono per le cure a casa e chiedono un approccio differenziato e più equilibrato al Covid continuano ad aumentare, ma non fanno notizia. Oggi a Roma scenderanno in piazza, insieme ai loro pazienti che sono stati curati e guariti. Vedremo quale sarà il trattamento che la grande stampa riserverà alla manifestazione. Al ministro della Salute sarà chiesto perché i medici del territorio non sono stati consultati e coinvolti nella revisione dei protocolli di cura. Vedremo se e come risponderà.

Tra le tante domande, ne risalta una: perché ancora c’è chi predica, come fosse un mantra, la formula “tachipirina e vigile attesa” sebbene questo approccio si sia rivelato fallimentare?

Il dottor Andrea Mangiagalli, di Pioltello (Milano), da mesi insiste sulla necessità di intervenire tempestivamente, a casa del malato. I medici del Comitato cura domiciliare Covid 19, costituito da medici di medicina generale e specialisti, hanno creato una rete nazionale di scambio di conoscenze ed esperienze. Migliaia le persone assistite con successo. Uno schema terapeutico per la cura domiciliare del virus ha dimostrato sul campo di essere efficace, evitando il ricorso al ricovero in ospedale e migliaia di vittime. Perché non se ne parla? Perché queste iniziative non ricevono attenzione e supporto? Forse perché non costano nulla e non mettono in gioco guadagni stratosferici?

Le attuali linee guida considerano il medico di base un burocrate, un videoterminalista che deve limitarsi a controllare a distanza (ma cosa? Ma come?) astenendosi dal fare il suo mestiere: curare i malati e intervenire il prima possibile.

Quando si parla di approccio più mirato, articolato ed equilibrato al Covid si intende dire che è necessario tener conto dell’età, delle patologie presenti nel soggetto, dei fattori che predispongono a maggiori rischi per la vita. Invece si continua ad agire per vie generali e uniformi.

Oggi però, nella primavera 2021, sappiamo come dobbiamo agire: si tratta di proteggere i più vulnerabili, mantenere aperta la società e in funzione l’economia, garantire la libertà di scelta delle cure, ricordare che la libertà e la dignità della persona non possono essere subordinate a un presunto “bene comune” senza che sia chiaro il rapporto costi-benefici.

Di fronte all’ostinato rifiuto di questa ricetta, che è in fondo di semplice buon senso, è legittimo nutrire un dubbio: il rifiuto nasce da un eccesso di prudenza o da un convergere di interessi economici e politici?

Propendo per la nota risposta del mitico Quelo interpretato da Corrado Guzzanti: “La seconda che hai detto!”.

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