Lettera su “Traditionis custodes” / “Caro Papa, guarda le lacrime di tanti tuoi figli”

di padre Daniel-Ange

Sono sbalordito, sopraffatto da questo motu proprio. Il minimo che possiamo dire è che ci sentiamo ko! Comunico con le lacrime di tanti miei amici e parenti. Prego che non siano tentati dall’amarezza, se non dalla rivolta e dalla disperazione.

Perché tanta durezza, senza un briciolo di misericordia o compassione? Come non essere confusi, destabilizzati?

Certo, tra questi fratelli cattolici attaccati alla tradizione ce ne sono alcuni – ahimè! ahimè! – che hanno potuto indurirsi, congelarsi, impennarsi, ritirarsi in un ghetto, arrivando al punto di rifiutarsi di concelebrare alle messe crismali, il che è inaccettabile. Ma per questa piccola minoranza non sarebbe bastata una forte esortazione, unita a possibili minacce di sanzioni? Ispirato al libro della Sapienza: “Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato (…) Anche quelli che erano uomini, li hai risparmiati. A poco a poco hai ceduto al pentimento” (12, 2,8,10).

Ma, per parlare solo della Francia, il Papa sa che ci sono gruppi e comunità meravigliosamente raggianti, che attirano un gran numero di giovani, giovani coppie e famiglie. Sono attratti dal senso del sacro, della bellezza liturgica, della dimensione contemplativa, della bella lingua latina, della docilità alla Sede di Pietro, del fervore eucaristico, della confessione frequente, della fedeltà al Rosario, della passione delle anime da salvare, e tanti altri elementi che non riescono a trovare – ahimè! – in molte delle nostre parrocchie.

Non sono tutti questi elementi profetici? Non dovrebbero sfidarci, stimolarci, addestrarci? Non è stata l’intuizione di san Giovanni Paolo II, nel suo motu proprio Ecclesia Dei?

Nelle loro assemblee dominano i giovani, le case e le famiglie, la cui pratica domenicale è vicina al 100%. Non diciamo che sono nostalgici del passato, anacronistici. È il contrario. Latino, messa ad orientem , gregoriano, tonaca: per loro è del tutto nuovo. Ha tutto il fascino della novità.

Non è sorprendente che le comunità monastiche che mantengono l’Ufficio in latino, e talvolta anche la celebrazione eucaristica secondo il messale di san Giovanni XXIII, siano fiorenti, attirando molti giovani?

[…]

In un mondo così feroce, dove la lotta per la fedeltà a Gesù e al suo Vangelo è eroismo, dove i cattolici sono già emarginati, disprezzati, derisi nelle loro scuole, come anche in famiglia, dove tutti i loro valori sono violati, se non prostituiti, dove si ritrovano terribilmente soli e isolati, così insicuri, a volte al limite della disperazione, perché, perché rifiutare loro queste poche roccaforti che danno loro la forza, il coraggio, l’audacia di resistere? Tutto ciò in mezzo a un periodo di turbolenza per la Chiesa, in mezzo al crollo della fede nel mondo. La guerra contro Cristo e la sua Chiesa è scatenata, siamo nel mezzo di un duello tra l’omicida e il Principe della Vita: i giovani hanno più che mai diritto a essere sostenuti, rafforzati, armati, semplicemente messi in sicurezza. Non chiudiamo loro alcuni dei nostri rifugi più belli. Come un rifugio di alta montagna in mezzo a crepacci mortali.

Nell’arido deserto di una società dove vince “l’apostasia silenziosa dell’uomo che si crede felice senza Dio” (Giovanni Paolo II), questi gruppi e parrocchie sono vere e proprie oasi di ristoro. I loro fiori più belli sono questi giovani e anche bambini che hanno raggiunto le vette luminose della santità.

[…]

Dopo tutto questo, come si fa a capire che il Papa sembra mirare semplicemente alla loro estinzione, scioglimento, liquidazione definitiva? Questo per la semplice applicazione degli standard ormai imposti? Questo emerge dal fatto che i loro sacerdoti sono strappati alla loro parrocchia, e gli è vietato crearne di nuove: non è questa una forma di iniezione di sterilizzazione? Che nessun nuovo sacerdote di rito ordinario potrà celebrare la cosiddetta messa tridentina, senza indulto del suo vescovo dal momento che lui è tenuto a seguire le direttive romane.

Peggio: dichiarando che il messale (Messa e altri sacramenti compresi) di san Giovanni XXIII non appartiene più al rito romano, poiché la “unica espressione” di questo è ormai l’unico messale di Paolo VI, questo rito è quindi ipso facto relegato al passato, obsoleto, superato, e si ritrova senza peso nel vuoto…

Non è una pugnalata alle spalle, anzi al cuore, del nostro caro Benedetto XVI? Il suo colpo di genio era stato quello di salvare questo rito semplicemente rendendolo la seconda variante o forma dell’unico rito romano. Che coraggio ha avuto! E non lo fece assolutamente per semplice diplomazia o politica ecclesiale, come insinua il motu proprio. Quante volte ha affermato che questo rito che aveva santificato il popolo cristiano, irrigato tutta la Chiesa, prodotto tanti frutti di santità per tanti secoli, aveva oggi piena cittadinanza e faceva parte integrante della liturgia latina e romana.

È stato uno scandalo aver tentato di eliminarlo circa sessant’anni fa. All’improvviso, brutalmente, con un tratto di penna, fu abrogato da un Papa che era certamente meno liturgico nell’anima di questo Benedetto XVI dall’anima tutta benedettina.

Benedetto XVI nel suo ritiro monastico dovrà chiedere al suo successore il permesso di celebrare ancora questo rito che tanto amava e che era riuscito, magistralmente, a salvare?

Aggiungo: l’intenzione del nostro Santo Padre è sicuramente bella e buona: proteggere la comunione nel popolo di Dio. Ma è probabile che l’effetto sia esattamente l’opposto.

[…]

Insomma, c’è un rischio concreto di «scismi che fioriranno da ogni parte se vescovi improvvisi imporranno il loro potere agli abati intransigenti» (G.Privat). Oppure, sarà la tentazione di andare nelle catacombe…

La Comunione ecclesiale non è la stessa della Trinità tutta santissima (Gv 17), cioè quella della bellezza nella sua diversità? Quanto maggiori sono le differenze, purché vissute come complementari, tanto più bella è la Chiesa. L’alterità non è una condizione di fertilità? Perché abbiamo tanta difficoltà ad accogliere e amare questi fratelli e sorelle battezzati, con la loro sensibilità, i loro desideri, i loro carismi propri e specifici, anche e soprattutto se non sono i nostri? Perché imporre ai giovani, già così fragili, le nostre stesse preferenze? Rispettiamo i nostri fratelli cattolici delle sante Chiese orientali. Nella stessa Roma è dedicata loro una Congregazione. Siamo stupiti dalle loro sontuose liturgie divine, siano esse copte, etiopi, armene,

Per essere logici, sarebbe necessario standardizzare tutta la vita monastica o religiosa! Benedettini, Cistercensi, Certosini, Carmelitani, Clarisse: addio! Bisognerebbe uniformare tutti i movimenti spirituali, nelle loro fastidiose diversità. Neocatecumenali, Focolari, Rinnovamento carismatico, Oaza, Comunione e liberazione: fuori! Tradizioni e sensibilità benedettine, carmelitane, francescane, domenicane, gesuitiche, vincenziane, salesiane, eccetera: nella spazzatura!

No e no, l’unità non è uniformità, ma diversità! La comunione non è orizzontalità, ma complementarità!

San Giovanni Paolo II lo esprimeva bene nel suo motu proprio Ecclesia Dei: “Tutti i pastori e gli altri fedeli devono avere una nuova consapevolezza non solo della legittimità, ma anche della ricchezza che è la diversità dei carismi e delle tradizioni di spiritualità e di apostolato. Questa diversità costituisce anche la bellezza dell’unità nella varietà: tale è la sinfonia che, sotto l’azione dello Spirito Santo, la Chiesa terrena innalza verso il Cielo”.

Il Santo Padre ha misurato l’impatto, se non il terremoto, che tale intransigenza rischia di provocare, nella Chiesa e anche fuori della Chiesa? Che una persona atea, dall’aura indiscutibile, come Michel Onfray, osi ammettere di essere “sgomento”? Afferma infatti: “La messa in latino è l’eredità del tempo genealogico della nostra civiltà. Eredita storicamente e spiritualmente una lunga stirpe sacra di riti, celebrazioni, preghiere, tutto cristallizzato in una forma che offre uno spettacolo totale”. […] Ha pensato allo choc che proveranno i nostri fratelli nelle sante Chiese ortodosse? Il motu proprio di Benedetto XVI, da loro molto stimato come grande teologo, li rassicurava: la Chiesa latina custodisce fedelmente e protegge un rito liturgico che attraversa i secoli. E ora ci chiediamo, ansiosi: non lo buttiamo via?

[Papa Francesco] ha intuito il probabile terremoto tra tanti giovani, giovani coppie, intere famiglie che saranno destabilizzate, confuse, scoraggiate, tentate dalla rivolta? Finora amavano il loro Papa Francesco – tenero e sconcertante com’era – erano fedeli al Magistero romano, e ora eccoli toccati dal dubbio, dalla sfiducia, se non dal rifiuto, con l’amara impressione di essere stati ingannati, negati, se non traditi.

Come non piangere con loro?

Che almeno una grande ondata di compassione battesimale, di affetto fraterno e paterno da parte dei nostri vescovi e preghiere ardenti li circondi, li conforti, li consoli, li sostenga, li incoraggi, li accolga. Ardentemente. Generosamente. Vale a dire con amore.

Caro Santo Padre – che anch’io amo, stimo e ammiro – a nome di un gran numero di miei amici, giovani e vecchi, oso condividere con Lei, con tutta filiale semplicità, il mio profondo dolore. Ma, spinto da una folle fiducia, oso sperare che, vedendo tante lacrime sulle guance dei Suoi stessi figli, avrà il coraggio e l’umiltà di ribaltare una decisione di tanta intransigenza, sebbene nel finale [di Traditionis custodes] si legga: “Tutto ciò che ho deliberato con questa Lettera apostolica in forma di Motu Proprio, ordino che sia osservato in tutte le sue parti, nonostante qualsiasi cosa contraria, anche se degna di particolare menzione”.

Contro ogni speranza, spero!

Padre Daniel-Ange

23 luglio 2021, quarantesimo anniversario della mia ordinazione sacerdotale al Congresso eucaristico internazionale di Lourdes.

Fonte: lesalonbeige.fr

Titolo originale: Traditionis custodes: une piqûre de stérilisation?

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Padre Daniel-Ange de Maupeou d’Ableiges (Bruxelles, 17 ottobre 1932) è un religioso, presbitero e scrittore belga con cittadinanza francese noto come fondatore della scuola di preghiera ed evangelizzazione Jeunesse-Lumière e per i suoi scritti di spiritualità.

 

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