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Sede impedita e rinuncia del papa: proposte per una normativa

Le indiscrezioni sulla possibile rinuncia al pontificato da parte di Francesco hanno portato alla ribalta lo studio della canonista Geraldina Boni, dell’Università di Bologna, che si propone di normare due situazioni (sede impedita e rinuncia del papa) che in un futuro non lontano potrebbero diventare frequenti. Sui contenuti dello studio della docente ecco un intervento dell’avvocato Francesco Patruno.

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di Francesco Patruno*

Il recente contributo della professoressa Geraldina Boni, dal titolo Una proposta di legge, frutto della collaborazione della scienza canonistica, sulla sede romana totalmente impedita e la rinuncia del papa (qui), esamina la possibilità di una proposta di legge canonica, per colmare una lacuna dell’ordinamento della Chiesa, sia qualora la Sede Apostolica fosse impedita temporaneamente sia qualora l’impedimento fosse permanente ed irreversibile. È significativo come, sin dall’esordio dello studio, la docente, canonista a Bologna, metta in rilievo l’impellenza perché si ponga mano a siffatta disciplina, da un lato, scrive, per i mutamenti intervenuti nella scienza medica che consente, anche ad un soggetto in condizioni fisiche precarie e fortemente compromesse, di poter protrarre la sua esistenza anche per anni, in coma, in stato vegetativo e di minima coscienza; dall’altro, per offrire soluzioni giuridiche adeguate nel caso in cui un pontefice, per motivi di anzianità o di salute, non possa o ritenga di non poter svolgere più il proprio ministero. Inoltre, la necessità di una disciplina nascerebbe, a dire della canonista, dall’esigenza di normare un istituto quale quello del “papa emerito” del tutto sconosciuto e tuttora ignorato dal diritto canonico al fine di regolare la convivenza tra il papa regnante e quello emerito, senza che possano generarsi dissidi o imbarazzi.

La docente per questo avanza le sue proposte di regolamentazione dei profili sopra individuati, attraverso la disciplina su a chi spetti l’accertamento dell’impedimento della Sede e a chi spetti supplire il governo durante lo stato di impedimento del pontefice. Non solo. La professoressa Boni auspica, ancora, nel caso di rinuncia, una regolamentazione dell’efficacia temporale della stessa, lasciando la possibilità di un differimento degli effetti; dello status del papa rinunciatario (titolo spettante, mantenimento o no della dignità cardinalizia, prerogative, funzioni, partecipazione ad eventuali successivi conclavi o concili ecumenici, abbigliamento, abitazione, ecc.) e infine, onde evitare confusioni e le incertezze tra munus e ministerium, suggerisce l’inserimento di una presunzione di legge «in forza della quale si presume […] che la rinuncia all’ufficio di romano pontefice riguardi tutte le potestà, ministeri, incarichi, diritti, privilegi, facoltà, grazie, titoli e insegne, anche solo onorifiche, inerenti all’ufficio stesso».

Si tratta della proposta di una disciplina, insomma, di cui per oltre otto anni non si era avvertita la necessità, essendosi più volte ripetuto che la peculiare rinuncia di Ratzinger fosse un unicum nella storia, che non si sarebbe più ripetuto. Questo, nel corso degli otto anni, è stato più volte sottolineato, tra gli altri, dal segretario di papa Ratzinger, monsignor Georg Gänswein, che, non a caso, aveva parlato, riguardo a Benedetto XVI e alla sua rinuncia, di Ausnahmepontifikat, pontificato d’eccezione, e di «situazione nuova come una sorta di stato d’eccezione voluto dal Cielo».

La normativa, qualora adottata, potrebbe regolamentare le future rinunce (cfr. can. 9 codice di diritto canonico: «Le leggi riguardano le cose future, non le cose passate, a meno che non si disponga nominatamente in esse delle cose passate»), cioè quelle che potrebbero verificarsi successivamente alla promulgazione dell’eventuale legge canonica proposta dalla Boni, ma non potrebbe “sanare”  – ammesso che fosse possibile – la rinuncia di Benedetto XVI e tutto ciò che ne è scaturito nonché sciogliere i nodi e le incertezze relative a quell’atto compiuto l’11 febbraio 2013, e ciò per la semplice ragione che Benedetto XVI quando ha compiuto quell’atto l’ha fatto non potendo tenere conto di una futura disciplina.

*avvocato e dottore di ricerca in diritto canonico ed ecclesiastico

 

Aldo Maria Valli:
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