La fine del pontificato di Francesco, lo stato della Chiesa, il futuro possibile. Un’analisi di crudo realismo

Cari amici di Duc in altum, The Wanderer, acuto osservatore argentino del pontificato di Francesco e della situazione della Chiesa cattolica, in questo nuovo contributo è particolarmente crudo (crudelmente realistico, dice lui). Questo autore ha il pregio di non indorare la pillola: a costo di risultare urtante, fotografa la realtà per quella che è. Come leggerete, all’inizio vengo citato per un’intervista che ho concesso alcuni giorni fa, ma a questo proposito voglio precisare una cosa: lo sport di inseguire le voci che escono dai sacri palazzi non mi entusiasma, specie se si tratta della salute del papa. Ricordo quanto diceva monsignor Marcinkus: “Lo Stato del Vaticano è un villaggio di lavandaie: lavano i panni, li battono con i pugni, ci ballano sopra, ne fanno uscire fuori tutto il sudiciume”. Quanto durerà il pontificato lo sa il buon Dio. Altra cosa è riflettere su ciò che il pontificato di Bergoglio lascia in eredità alla Chiesa e al mondo.

A.M.V.

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di The Wanderer

Aldo Maria Valli è uno dei vaticanisti più stimati in Italia, e ha una lunga storia di informazione e commenti su tutto ciò che accade in Vaticano e nella Chiesa. Pochi giorni fa, in un’intervista a un quotidiano italiano, ha affermato che l’intervento chirurgico a cui si è sottoposto recentemente papa Francesco non era programmato ma urgente, che due tumori gli erano stati rimossi e che il pontefice era stato molto restio a seguire le cure prescritte dai medici. Un giornalista della professionalità di Valli non accetterebbe mai per buona una notizia di questo tipo se non avesse fondamenti della sua veridicità. Credo, quindi, che si possa riporre una certa fiducia e affermare, con cautela, che è questione di mesi prima che il pontificato di Bergoglio finisca definitivamente. Non si dimetterà, ma Dio Nostro Signore lo chiamerà per chiedergli conto della sua vita.

Gli storici dovranno scavare a fondo nella storia per trovare un pontificato catastrofico come quello lasciato dall’unico papa argentino, in cui la goffaggine delle sue decisioni si è unita alla viltà della sua persona. E così, una Chiesa che dalla metà XIX secolo stava lentamente crollando e ha accelerato la sua caduta dopo il Vaticano II, si è prostrata e convertita non solo in una sussidiaria e insignificante appendice di organizzazioni internazionali, cosa di per sé non tanto grave, ma piuttosto nel “sale che ha perso il suo sapore” (Mt 5,13) poiché nella pratica, e anche nei documenti, ha rinunciato a essere ciò che avrebbe dovuto essere: la mediatrice della grazia di Dio per la santificazione degli uomini affinché, attraverso di essa, ottengono la salvezza eterna. Le attuali preoccupazioni includono la cura dell’ambiente e l’accoglienza dei migranti. Persino l’agonizzante Opus Dei, un tempo roccaforte conservatrice, è saltata sul treno dei governanti di turno.

Valli, nella suddetta intervista e riferendosi al prossimo – molto prossimo – conclave, riflette quanto in qualche occasione abbiamo commentato su questo blog): i cardinali, per quanto bergogliani possano essere, non hanno istinti suicidi, e una minoranza ha ancora sufficienti neuroni per rendersi conto che un altro papa simile a Francesco metterebbe la parola fine alla Chiesa cattolica. Non sarebbe strano, quindi, se non venisse eletto un altro primate come avvenuto nel 2013, liberandoci così da ogni possibilità di un nuovo papa proveniente dalle periferie e, invece, potremmo sentire l’annuncio dell’elezione di un cardinale mediamente cattolico, che creda in Dio e nell’incarnazione di suo Figlio, che non menta, che abbia nobiltà di carattere e poche altre virtù. Già questo ci basterebbe.

Tuttavia, è necessario essere realistici. Crudelmente realistici. So che è molto più facile e, soprattutto, confortante, deviare verso tangenti escatologiche, illuderci con l’avvento dell’ultima persecuzione e intrattenerci in discussioni sulle proprietà magnetiche dell’ossido di grafene inoculato in milioni di esseri umani, sigillandoli con il Marchio dell’Innominato, i quali moriranno a breve a motivo di un’ulcera purulenta. La fede cattolica è molto più semplice e asciutta e quindi anche più dolorosa. Non ha bisogno di aggiunte, e ci impone di essere freddamente realistici, evitando la deviazione che suppone il massone o l’ebreo – sempre a portata di mano come capro espiatorio – per giustificare che la realtà non è come la immaginiamo o come la sogna la poesia, e così rassicurarci, trasferendo all’odioso colpevole la responsabilità della situazione al di fuori del nostro controllo e della nostra comprensione.

E questo crudele realismo che rivendico ci impone anche di essere consapevoli che quand’anche fosse eletto papa il miglior candidato possibile, poco e nulla potrà fare per la Chiesa, a meno che non ci sia la mediazione di un prodigioso intervento divino. E qui sottolineo tre fattori che mi portano ad affermare quanto detto.

  1. Nelle crisi più profonde della Chiesa, l’iniziativa, almeno formale, per una riforma effettiva è arrivata dal potere secolare, e non da quello religioso, che era parte di quella crisi. E faccio solo due esempi, anche se ne potrebbero aggiungere molti altri: il Concilio di Nicea, che cercò di risolvere la crisi ariana, fu convocato dall’imperatore Costantino I; e il Concilio di Trento, che fece lo stesso con la crisi protestante, fu convocato su sollecitazione, insistenza e pressione dell’imperatore Carlo V. Attualmente, però, non esiste un potere laico interessato a una riforma della Chiesa —anzi, tutt’altro— e, soprattutto, la Chiesa ha una rilevanza sociale così minima e trascurabile che nessuno è interessata alla sua sorte. Nella migliore delle ipotesi, si preoccuperanno che prosegua sulla strada che ha intrapreso. È un argomento che deve essere meglio valutato e approfondito, ma credo che valga la pena esplorarlo
  1. La riforma della Chiesa è impensabile senza un episcopato minimamente cattolico e virtuoso. E la verità è che gli attuali vescovi sono, nella loro stragrande maggioranza, esattamente l’opposto. Papa Francesco, in quella che è forse una delle azioni più gravi e deleterie del suo pontificato, si è dedicato a nominare un enorme quantità di vescovi con le stesse caratteristiche che addobbano la sua augusta persona: ignoranza, viltà ed empietà. Noi argentini sappiamo molto bene che tipo di vescovi abbiamo, e il mondo viene settimanalmente a conoscenza di nuovi scandali. Ricordo due eventi accaduti nelle ultime tre settimane: le dimissioni del segretario della Conferenza episcopale degli Stati Uniti per aver intrattenuto incontri omosessuali organizzati tramite un’applicazione sul cellulare, e il dimissionario vescovo di Solsona, che ha abbandonato l’ufficio episcopale per intrattenere una relazione con una psicologa, madre di due figli, scrittrice di romanzi erotici. Cosa si può fare per porre termine a questa situazione? Non riesco a trovare altra soluzione che il passaggio di un nuovo angelo sterminatore, ma temo che quei tempi gloriosi siano già passati da molto tempo.
  2. Potremmo nutrire qualche speranza nelle fondamenta della Chiesa: il clero e i religiosi. Ed è sicuramente dove rimane un certo deposito di fede e virtù cattoliche. Ma mi permetto di essere molto scettico anche a questo riguardo. Le congregazioni religiose, salvo rarissime e specifiche eccezioni, sono in profondo stato di prostrazione e in un percorso irreversibile, in molti casi, d’estinzione. È sufficiente dare uno sguardo tra i candidati che popolano i noviziati per rendersi conto dello stato reale della situazione. Alcuni mesi fa, abbiamo visto in questo blog il caso dei Fratelli lassalliani, e non mi sorprenderebbe se la situazione fosse simile nella maggior parte delle congregazioni. E nutro i miei dubbi che gli istituti tradizionalisti si salveranno da questa situazione generalizzata. Non sono sufficienti la messa tradizionale, le tonache e il latino.

Il clero secolare, più che pusillanime, segue un percorso parallelo. Capisco che in paesi come Germania, Francia, Svizzera o Austria più della metà del clero attivo è composto da sacerdoti africani o asiatici, con tutto ciò che questo implica. Chi di noi vive nei paesi iberoamericani sa in cosa consista la “riserva della Chiesa” che auspicava papa Giovanni Paolo II in America Latina: niente e meno di niente.

In sintesi: per quanto la prevedibile e tempestiva scomparsa fisica di papa Francesco possa essere un sollievo, sarà molto relativo, perché anche nella migliore delle ipotesi, e anche se il Sacro Collegio subisse uno choc di fede e virtù cattolica e venisse eletto il migliore candidato possibile, ben poco o niente potrà fare. E per questa ragione dobbiamo arrivare alla peculiare conclusione che la Chiesa o la salva Dio, o nessuno la salva.

Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com

Titolo originale: ¿Los últimos meses del Papa Francisco?

Traduzione di Valentina Lazzari

Testo rivisto dall’autore

 

 

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