Dalla clausura all’impegno sociale. Storia di un monastero “convertito” sulla via di Bergoglio

Le sette monache della comunità di Santa Clara a Manresa (Barcellona) hanno aperto il convento ai laici, che vi hanno installato un banco alimentare e un ricovero per i senzatetto. Inoltre le monache si prendono cura di persone con problemi di salute mentale e organizzano attività per i bambini nella casa dell’infanzia. Il tutto per rispondere all’invito di Francesco di aprirsi al mondo. Come se la vita dedicata esclusivamente alla preghiera e alla contemplazione non fosse un tesoro da custodire ma un inutile residuo del passato, da superare nel nome dell'”aggiornamento”. Di questo tradimento della vita contemplativa ci siamo occupati più volte, sia nel blog sia nel libro Claustrofobia. La vita contemplativa e le sue (d)istruzioni.

Qui vi propongo, senza altri commenti, la storia della comunità di Manresa così com’è raccontata da religiondigital.org.

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La monaca argentina Lucía Caram ha trasformato il convento di Santa Clara, a Manresa (Barcellona), di cui è priora: il convento infatti non è più di clausura, ma aperto ai più poveri attraverso i laici. Lo abbiamo fatto per “adattare il Vangelo” alla “società post-cristiana nella quale viviamo”, ha detto la priora in un’intervista. Il principio è semplice: “Nulla può venire prima della carità”. “Noi credenti – sottolinea la monaca – dobbiamo essere credibili. Se il mondo si allontana è perché noi non siamo credibili”.

Le sette suore condividono ora la vita con i laici, con i quali hanno costruito in un’area del convento un banco alimentare e un ricovero per i senzatetto. Le monache, che hanno creato la Fondazione Convento Santa Clara, continuano a essere una comunità di vita contemplativa, ma non più una comunità di clausura. Madre Caram, cinquantacinque anni, di cui ventisette in questo convento, ha avuto l’spirazione quando ha sentito papa Francesco dire che “i conventi devono essere trasformati per accogliere i più poveri”.

Con la crisi economica del 2008, la gente ha cominciato a bussare alla porta del convento chiedendo cibo e la richiesta è aumentata sempre più. Le suore hanno quindi iniziato a raccogliere cibo e hanno creato un magazzino, in forma di banco alimentare, con gli avanzi mandati da aziende e donazioni private, e attualmente consegnano cibo due volte al mese a settemilacinquecento famiglie.
Allo stesso tempo, le sette suore hanno iniziato ad accogliere nel convento gli immigrati provenienti da Ghana, Venezuela o Argentina, il che le ha portate a costruire un rifugio con una capacità ricettiva di ventitré persone. Hanno poi fatto pressione sulle banche per gli appartamenti lasciati vuoti dalla crisi e, grazie a questo e alle donazioni di aziende e privati, hanno già allestito trentaquattro abitazioni per senzatetto, tra i quali ci sono molti immigrati dall’America Latina e dall’Africa.

Per i loro progetti le suore di Santa Clara si sono avvalse dell’aiuto di duecentocinquanta volontari. Ma tutte queste opere “sono state motivo di attrito” con la Federazione delle Suore Domenicane Immacolate, a cui appartiene il convento, perché la federazione ha fatto presente che “il nostro lavoro è solo preghiera”.

Ma “chi ha detto che per pregare bisogna essere rinchiusi?”, chiede Madre Caram, che intende “la contemplazione come contemplazione e azione”. Suor Lucia ritiene che “dobbiamo rispondere a questa situazione di povertà ed esclusione sociale, e adattare gradualmente il Vangelo alla situazione attuale”. Sottolinea che “siamo in una società post-cristiana” con “chiese vuote e tanti laici coinvolti in questi progetti”.

Con l’approvazione del papa, il convento è quindi diventato indipendente dalla Federazione, anche con l’obiettivo di garantire la prosecuzione dei lavori: “Siamo pochissimi. Vediamo come in Spagna o in Italia i monasteri chiudono e si trasformano in alberghi di lusso dopo essere stati nelle mani delle federazioni. Ora che siamo indipendenti, viviamo all’aperto, proprio come fanno le persone”.

Ora al monastero sono stati dati cinque anni per precisarne la forma giuridica, con l’appoggio del cardinale Joan Josep Omella, arcivescovo di Barcellona e presidente della Conferenza episcopale spagnola. Madre Caram e le sue sorelle si sono sentite “molto ben accolte dal papa”, che le ha ricevute due volte in Vaticano e ha detto loro che “ora ci sentiremo molto ringiovanite”.

La priora dice di sentirsi “molto fortunata ad avere un papa cristiano: per lui nulla viene prima della carità e dei più poveri”. Auspica che altri conventi “si mettano al servizio dei più poveri attraverso i laici. “Non può essere che restiamo così lontani dalla realtà”.

Suor Lucía non è solo impegnata nella realtà, ma è molto attiva nei social network e ha appena ottenuto tramite Tik Tok un furgone di cui il convento aveva bisogno per uno dei progetti. “Nella Chiesa c’è sempre stato un pessimo rapporto con i media. Abbiamo il prodotto migliore e non sappiamo come venderlo”, sottolinea la monaca, autrice di diversi libri, tra cui My Cloister is the World (Plataforma, 2012 ).

Acerrima tifosa del Barcellona, Madre ​​Caram, per la quale “il papa è il Messi della Chiesa”, risponde alla domanda su chi sta peggio, la Chiesa o il Barcellona, ​​dicendo: “Peggio il Barcellona. Nella Chiesa c’è una speranza: il papa e Gesù Cristo”.

Fonte: religiondigital.org

Nella foto, Madre Caram ricevuta in Vaticano da Francesco

 

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