Lettera / Quella “profezia” di Ratzinger e il disegno modernista. Un’identità che inquieta

Cari amici di Duc in altum, da un lettore che desidera restare anonimo ricevo questo contributo che merita attenzione e sul quale occorre meditare. Riguarda la celebre “profezia” formulata da Joseph Ratzinger in una serie di conversazioni radiofoniche per la Hessischer Rundfunk nel 1969. Una previsione recentemente ripresa dal sito argentino The Wanderer nell’articolo che qualche giorno fa vi ho proposto qui nella versione italiana. 

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Caro Valli,

rimango turbato nel leggere il recente articolo di The Wanderer, tradotto e pubblicato su Duc in altum, nel quale viene riportata la “profezia” di Ratzinger che sul finire degli anni Sessanta l’allora teologo tedesco, già consulente del cardinale Joseph Frings, ipotizzava per il futuro della Chiesa. Letto alla luce degli eventi recenti, pare si tratti piuttosto di un inquietante manifesto programmatico che non ci mostra un Ratzinger antitetico a Bergoglio. Né si può dire che il «processo di lapidazione di papa Benedetto XVI […] da parte dei vescovi tedeschi, con il consenso del Vaticano» parta da questa visione minimal – per così dire – della Chiesa di là da venire: è vero casomai il contrario, ossia che il risentimento della Curia nei riguardi del Papa Emerito è dovuto proprio all’abbandono delle istanze più estreme del Concilio da parte di un Papa solo parzialmente resipiscente e troppo accondiscendente verso il cattolicesimo tradizionale. Il “tradimento” che si rimprovera a Ratzinger è di aver promulgato il motu proprio Summorum Pontificum, andando ben oltre quell’immagine di moderato conservatorismo che si costruì quand’era prefetto dell’ex Sant’Uffizio, che non doveva assolutamente mettere in discussione il Vaticano II.

La “profezia” di Joseph Ratzinger è allo stesso tempo un manifesto velleitario di ispirazione gnostica e un modo per ammantare di uno spiritualismo rassegnato, ex ante, il fallimento ineluttabile dell’ideologia conciliare. Essa risente della visione modernista, che antepone artificialmente la “Chiesa primitiva” alla “Chiesa costantiniana” ed ancor più alla detestabile “Chiesa postridentina”.

Il motivo di questa presunta contrapposizione risiede nel maldestro tentativo dei Modernisti, già provato dai Protestanti e più in generale da tutti gli eretici, di dimostrare che la Chiesa cattolica tradì o quantomeno mise da parte la purezza della Chiesa di Cristo, la “Chiesa primitiva” appunto, nella quale l’unità non era stata ancora minacciata da scismi ed eresie, e che in quanto tale si presta nella finzione ad essere il luogo d’incontro ecumenico per eccellenza: un luogo in cui i Canoni dei Concili ecumenici non avevano ancora condannato gli errori dei luterani, in cui la clandestinità delle catacombe non si era ancora aperta alla solennità delle basiliche romane, all’istituzionalizzazione della religione dell’Impero, alla conversione delle nazioni a Cristo sotto re cristiani, al “trionfalismo” tanto in odio agli eretici di tutti i tempi.

Scrive Ratzinger: «Non abbiamo bisogno di una Chiesa che celebra il culto dell’azione nelle preghiere politiche. È del tutto superfluo. E quindi si distruggerà. Ciò che rimarrà sarà la Chiesa di Gesù Cristo». Ma esiste una Chiesa di Cristo oltre a quella che, nel corso dei secoli, si è diffusa su tutta la terra, convertendo i popoli e informando le loro leggi, le discipline, le arti e il vivere quotidiano? Non è proprio e solo alla Chiesa di Cristo che Egli ha ordinato «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16, 15-16)? O vogliamo forse ammettere, come affermano i Modernisti, che la Chiesa di Cristo sussiste (LG 8) nella Chiesa cattolica – una Chiesa ovviamente stravolta in qualcosa di diverso da come l’ha voluta il suo Capo – senza escludere che essa possa in qualche modo includere anche le sette da essa separate a causa delle sue odiose rigidità dogmatiste? Non è questo, in definitiva, il principio dell’ecumenismo conciliare, che considera ancora da raggiungere l’unità nell’unico ovile sotto l’unico pastore di cui parla San Giovanni (Gv 10, 16), e che Pio XI condannò nell’enciclica Mortalium animos?

E come avrebbe potuto la Chiesa di Cristo confinarsi in una sorta di elitarismo gnostico, se non corrompendosi in una delle tante sette che, nel corso dei secoli, hanno rivendicato il pauperismo, condannato la «Chiesa del culto politico» e propagandato una «Chiesa più spirituale», una «Chiesa dei piccoli»? In cosa si distingue la visione di un cataro, di un seguace di Gioacchino da Fiore, di un dolciniano o di un fraticello, di un calvinista, da quella rinunciataria del teologo Ratzinger?

La Storia dovrebbe averci insegnato che le utopie servono principalmente come elemento di distrazione, per non rendere percepibile l’intento di distruggere la Chiesa di Cristo e di creare una chiesa degli uomini, in cui un’élite di iniziati – sempre gli stessi, e sempre loro – decide quale aspetto deve avere, quali verità mantenere e a quali rinunciare, quali Sacramenti conservare, che tipo di liturgia celebrare, quale morale predicare.

Nel mondo dei sogni ingannatori – o meglio degli incubi, visti i risultati – il futuro dev’essere indicato come auspicabile e positivo anche se rappresenta una disfatta cocente: «Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diventerà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare molti degli edifici che aveva costruito nella prosperità. Poiché il numero dei suoi fedeli diminuirà, perderà anche gran parte dei privilegi sociali», scrive Ratzinger. Ci chiediamo: di chi è la responsabilità di questa sconfitta della Chiesa, di questa sua emarginazione, di questa tragica ritirata “profetizzata” sin dagli anni Sessanta?

La risposta, è chiaro, non sta nell’ineluttabilità del fato, ma nella perdita del senso del sacro e della dimensione soprannaturale da parte della Gerarchia, quella Gerarchia che al Concilio si lasciò incantare dall’utopia dei Modernisti – e di Ratzinger, tra gli altri – e che in nome del Concilio si adoperò per abdicare al proprio potere sacro nelle nazioni cattoliche, deponendo la tiara, facendo togliere dalle leggi civili il riconoscimento della religione di Stato, facendosi paladina della laicità, rivendicando anche all’errore i diritti che sono (o quantomeno dovrebbero essere) esclusiva prerogativa della Verità, propagandando la libertà religiosa, appropriandosi della visione democratica e parlamentarista degli stati postrivoluzionari e giungendo a ratificare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo quale massima espressione dei “diritti umani” in sacrilega opposizione ai diritti sovrani del Dio Creatore e Redentore. Fu la Gerarchia a censurare ciò che reputava in conflitto con la mentalità del secolo, a togliere quelle “incrostazioni medievali” che secondo lei appannavano la semplicità della Chiesa dei primi secoli, a cancellare da un giorno all’altro il patrimonio inestimabile di Fede espresso dalla Liturgia, sostituendolo con riti banalizzati, resi volutamente profani con l’uso della lingua vernacolare, gettati in pasto alle masse per abbassare la religione e non per innalzare le anime a Dio.

Se oggi la Chiesa non ha quasi più vocazioni sacerdotali e religiose; se le chiese sono abbandonate e le funzioni deserte; se la vita di tutti i giorni non è più scandita dai ritmi sacri dell’Anno liturgico, dalle feste dei Santi, dai digiuni delle Tempora e della Quaresima, dai riti domestici del Natale e del Triduo Pasquale, dalla gioia di Battesimi, Comunioni, Cresime e Matrimoni e dal lutto di funerali e visite ai defunti; se i bambini e i giovani non conoscono più nulla della dottrina e al catechismo sono addestrati alla scuola dell’ovvio e del politicamente corretto; se le classi dirigenti non hanno ricevuto alcuna formazione religiosa e spirituale; se nei lavoratori e nella classe operaia sono stati instillati principi ugualitaristi, rivoluzionari e materialisti; se gli stati consentono il divorzio, l’aborto, l’eutanasia, le nozze gay e i vizi più aberranti; se il popolo è convinto di essere il depositario del potere e nemmeno più i Cattolici considerano attuabile il Regno sociale di Nostro Signore sulle società civili; se le sette massoniche prosperano e si diffondono con l’incoraggiamento del Vaticano e l’approvazione dei Vescovi, lo dobbiamo solo ed esclusivamente al tradimento del proprio mandato da parte della Gerarchia, all’aver voluto deporre le armi, all’essersi arresa senza condizioni ai potenti e nell’essersi addirittura venduta ai nemici di Cristo.

La chiesa vagheggiata da Ratzinger, in una sorta di visione romantica e sentimentalista che la vede abbandonata dai più ma con una ritrovata genuinità che aveva perduto a causa del potere acquisito, non è la Chiesa di Cristo, ma il risultato di un processo rivoluzionario, di decenni di abbandono colpevole e rinunciatario da parte di chi aveva ricevuto in eredità una Chiesa ancora prospera, sana, in espansione: basta vedere le statistiche dell’epoca di Pio XII e compararle con le defezioni e i disastri sotto Paolo VI per rendersi conto che con il Concilio si decretò il fallimento della Chiesa cattolica e se ne decise la liquidazione.

La chiesa vagheggiata da Ratzinger è stata realizzata, al di là dei sogni e con il subdolo pragmatismo dei Gesuiti, da Jorge Mario Bergoglio, che con Ratzinger si appella al Vaticano II per giustificare le proprie “riforme”.

Se davvero vogliamo uscire da questa crisi, dobbiamo iniziare col mettere definitivamente da parte tutta la retorica conciliare che ha instillato nella Gerarchia quel senso di inferiorità e di inadeguatezza che rivela uno sguardo terreno e materialista per un’istituzione che è essenzialmente divina, anzi che proprio perché è divina è riuscita a sopravvivere alle infedeltà, ai tradimenti e alla corruzione del suo Clero. Non dobbiamo rassegnarci a “sopravvivere” tra le macerie causate dalla rivoluzione conciliare, consolandoci di essere rimasti in pochi; anche perché, nella mente di chi si compiace di essere in minoranza ma si considera cionondimeno un eletto e un privilegiato, tra i pochi superstiti del “piccolo gregge”, non sono previsti i cattolici tradizionalisti, ma una composita ed eterogenea élite di moderati, di cultori del Vaticano II e i nostalgici dei formidabili anni Settanta, fautori di un conservatorismo di facciata infettato dall’ideologia liberale, dall’ecumenismo misurato, dal dialogo con il mondo.

Non sappiamo se e quando la Chiesa ritroverà il suo splendore, né se questa Gerarchia ribelle e apostata si renderà conto dell’oltraggio arrecato a Dio e del danno incalcolabile causato alle anime. Ma sappiamo che l’unica via per la restaurazione della Chiesa passa per il Calvario e culmina sulla croce: è lì che ciascuno di noi potrà comprendere che il trionfo terreno della Religione è possibile solo in una società che vive di Cristo, che respira Cristo, che si nutre di Cristo, e in onore di Cristo compie qualsiasi azione, dalla più umile alla più eroica. E perché questo avvenga, occorrono fedeli che vivono la Fede in modo totalizzante, che nelle loro famiglie trasmettano questa Fede alle generazioni future; occorrono giovani generosi e santi che si votino alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime, che nei Seminari e nei Conventi crescano nella santità, nell’ascesi, nella mistica, nell’erudizione e nella predicazione. Occorrono sacerdoti che rispondano alla loro vocazione non per interessi mondani, per brama di potere o di denaro, ma per servire meglio il Signore e convertire il mondo a Cristo. Occorrono Vescovi assidui nella preghiera, umili, distaccati dai beni terreni. Occorre un Papa che sia Vicario di Cristo, e non servo del Nuovo Ordine Mondiale. Occorre un Papa, appunto.

Lettera firmata

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