Lettera / “Chiesa, torna al tuo Signore, prima che sia troppo tardi”

Cari amici di Duc in altum, ricevo e vi propongo questa lettera.

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di un ministro di Santa Romana Chiesa

Carissimo Aldo Maria, le scrivo per condividere con lei una riflessione scaturita da un evento a cui ho dovuto attendere. Riflettevo, e facevo riflettere i miei ascoltatori, sull’inno nazionale di Israele, il così chiamato Hatikvah, la cui traduzione è “La speranza”.

Il brano, a mio avviso, è molto bello ma triste, carico di malinconia, che appunto lo fa bellissimo. La tristezza si evince non solo dalla sequenza degli accordi e dalla melodia cantata ma anche dal testo che parla di una speranza addirittura bimillenaria di riavere la haaretz, cioè la terra, e in particolare la terra dove risiede Sion, il monte sacro, e Gerusalemme.

Nell’ascoltare e spiegare la spiritualità di questo brano mi risuonavano nella mente le parole del bellissimo salmo 137 che descrive lo stato d’animo affranto degli ebrei deportati dai babilonesi. I “Canti di Sion” venivano richiesti agli ebrei e chissà quanta tristezza in quelle melodie in terra straniera!

L’inno nazionale israeliano pare proprio ricalcare quelle parole del salmo perché i figli e le figlie di Israele sono ancora sparsi per il mondo e la speranza è quella del completo riunirsi nella terra dei padri.

Facevo immaginare cosa deve essere stato l’incamminarsi degli ebrei verso una terra nemica e inospitale senza alcuna sicurezza che avrebbero mai rivisto l’amato monte Sion, nel cui Tempio risiedeva la presenza di Dio.

Ma la riflessione non poteva fermarsi qui. Questo a motivo del fatto che la Chiesa di nostro Signore Gesù Cristo, l’unica che Lui ha fondato, la Chiesa cattolica, è la nuova Gerusalemme e noi il nuovo Israele.

Non riesco a smettere di pensare a noi, popolo di Dio, che seguiamo le orme dell’antico Israele, che per il suo porsi davanti a Dio, cioè per averlo messo da parte erigendo se stessi come idolo al Suo posto, si meritò quella catastrofe che ha lasciato così tanta traccia da rimanere nel Libro Sacro.

E non riesco a smettere di pensare che la Chiesa di Cristo sta agendo, oggi, esattamente come agì, tanti secoli fa, Israele: il suo Signore non pare più al centro del suo cuore, quindi del suo amore, ma quel centro è occupato dall’uomo a cui si tributa culto e umiliante sottomissione.

La Chiesa ha la grazia di conoscere a cosa porta questa scelta, e quindi ha la grazia di potersi convertire e tornare al suo Signore: conosce bene la storia passata di Israele. Non potrà dire: “non sapevo”.

Le resta ormai poco tempo, poi sarà la catastrofe, al pari di quella di Israele antico.

Non riesco a smettere di immaginare la Chiesa, la sposa di Cristo, avviarsi al suo esilio, umiliata e annichilita, come si avviarono annichiliti gli ebrei antichi.

Magari non sarà la deportazione in terra straniera. Ma sarà l’esilio nelle catacombe e nella clandestinità.

Torna, torna, Chiesa, al tuo Signore, prima che sia troppo tardi!

Non ti spaventa il silenzio di Dio che non risponde alle tue preghiere, di quel Dio che stai oltraggiando? Non è sufficiente per convertirti? Canterai forse anche tu i drammatici salmi 73 e 78, che cantarono i fratelli ebrei in terra di esilio, e che descrivono quanto vivrai se non torni a Dio?

Questa la riflessione amara, dura, carica di tristezza come l’inno di speranza degli ebrei di oggi, sparsi per ogni dove.

Un fraterno saluto in Cristo, Signore del Cielo e della terra.

 

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