Quel silenzio di Francesco

Cari amici di Duc in altum, a distanza di tempo ci si continua a interrogare sui quaranta, lunghissimi secondi di silenzio di Francesco di fronte a una domanda dell’intervistatrice, nel corso dell’intervista per la trasmissione A sua immagine, su come vivere l’ora della morte di Nostro Signore. Perché il papa non ha parlato? Su quel silenzio innesta la sua riflessione Alessandro Staderini Busà nel contributo che gentilmente ci ha inviato.

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di Alessandro Staderini Busà

Un mese e mezzo dal Venerdì Santo, la Pentecoste prossima a venire, e quel silenzio è ancora lì. Pesante come una pietra. E non come la pietra del Sepolcro, leggera alla Potenza che la fece rotolar via la domenica della Resurrezione. Non come il silenzio del Cristo nella Passione, che tutto sublimò: risposta alle infamie del Sinedrio e a Pilato, sopportazione nella flagellazione e sulla via del Golgota, misericordia fra gli scherni della folla ed il sarcasmo dei sacerdoti. Crescendo lirico, inno, sinfonia, quel divino silenzio. Tutt’altro che il tentennamento o il terrore che la nostra natura conosce nel momento delle sofferenze, ma piuttosto sintesi di verità e sapienza. Risposta ultima, ultima lezione del Maestro. Il Verbo fatto carne, così, operava, a fronte dell’insensatezza umana, quello svuotamento del linguaggio terreno, propedeutico al più intimo dialogo col Padre e all’adesione totale alla Sua Volontà. Qui, invece, parliamo di un silenzio differente. Di un silenzio che sapienza non è, in quanto nulla spiega. Di un silenzio che non è verità, in quanto la bypassa. Silenzio che non va incontro al prossimo, e semmai lo abbandona. Silenzio che confonde chi ascolta, e perfino può turbare. Il silenzio di Francesco.

Non avevo seguito la sua intervista in onda su Rai 1, per la puntata di A sua immagine della Settimana Santa 2022. Vedendola solo più tardi, ho pensato non potesse trattarsi di cosa realistica. Ovvero, ho temuto ci si volesse far beffa del Cattolicesimo nella figura del vescovo di Roma, proprio nei giorni liturgicamente più importanti. Reputavo che qualcuno avesse eseguito, tagliando via ad hoc il necessario, uno di quei montaggi per manipolare un video da far diventare virale, così da intrappolare l’illustre ospite nel laccio del risibile. Verificando in rete, però, tutto corrispondeva, purtroppo, alla realtà di quanto effettivamente era stato registrato in Vaticano. Un’intervista, quella di venerdì 15 aprile, che, col titolo La Speranza sotto assedio, partiva nel segno dell’Ucraina invasa dai russi, ergendo i “corpi senza vita sulla strada”, i “forni crematori ambulanti”, “stupri, devastazioni, barbarie”, a emblema su larga scala di quanto avvenuto con la Crocefissione della Vittima per eccellenza, dell’Innocente per antonomasia, del Cristo, il Figlio del Dio vivente. Tematiche quali la guerra, la violenza sulle donne, i rifugiati, lo sfruttamento dei lavoratori, eccetera, l’inevitabile esito dei quesiti lanciati, domande di questo mondo in cerca di risposte altrettanto mondane. Forse un poco a senso unico oltreché in controtendenza evangelica, se le parole del Messia al tentatore diabolico restano “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Infine, l’intervistatrice, la cui mimica tradiva l’emozione di una liceale, giungeva alla domanda conclusiva che, trattandosi di un Venerdì Santo, aveva l’obbligo di rappresentare il senso e la summa della conversazione intera.

“Santità, sono quasi le tre” chiedeva dunque la Bianchetti. “Come dobbiamo vivere questo orario, oggi?”

La telecamera passava a inquadrare Francesco. Indugiava su di lui. Erano attimi interminabili. Il suo sguardo andava avanti e tornava indietro, fissandosi nel basso. Francesco non parlava. Lo spettatore doveva pensare stesse meditando le parole più esatte, e che da un istante all’altro sarebbe seguita la risposta. A ognuno il suo, non ci si attende da Bergoglio il fulgore speculativo di un Tommaso d’Aquino o la sintesi moderna di un Fulton Sheen. Qualcosa, però, era bene che egli pur la dicesse. Invece continuava a non parlare. La telecamera stringeva su di lui, piano, discretamente, postulante. Quaranta secondi così, finché Francesco non chiudeva la questione con un sorriso di circostanza imbarazzato e imbarazzante, per lui e per noi. Quasi un minuto di silenzio che, se anche fosse stato di raccoglimento, sarebbe andato bene su un campo da calcio, non in risposta a una domanda posta, non dalla Cattedra di san Pietro. E dopo tanto svolazzare nel vuoto, alla risposta mancata non restava che precipitare. Il dialogo fra i due, la guida spirituale e la fedele, il pastore e la pecorella, si perdeva. Anzi, si ribaltava. Allora il carico emotivo virava drasticamente da lei a lui, e si aveva come l’impressione di riconoscere, in quello sguardo incerto o – perfino – perduto di Francesco, lo scolaro interrogato dalla professoressa, l’allievo che fa scena muta, poiché non conosce le risposte. E rischiava di cadere perfino l’idea che potesse attribuirglisi l’autorità del successore di Pietro. Così come, guardando al Biden che stringe mani nel vuoto, che si rivolge a interlocutori invisibili, che si inceppa nel mezzo dei discorsi, sorgono leciti dubbi se chiamarlo oppure no presidente degli Stati Uniti. Un finale lugubre, ma non perché accadeva nella riproposizione del Venerdì più tragico della storia dell’uomo. Qualcosa di mai visto, di infelice e di strano, anche solo televisivamente parlando, il modo con cui si chiudeva quest’intervista. Per definire il senso di straniamento, stupore, rammarico, che – a giudizio di chi scrive – ne scaturiva, non sarebbe esagerato ricorrere a quel neologismo in voga oggi, ghosting. Vale a dire la scomparsa repentina dell’altro, la fuga da ogni rapporto, dialogo, contatto, fra una delle due parti nella relazione affettiva. Perché, indubbiamente, di relazione di affetti trattasi, ciò che intercorre fra il rappresentante di una religione e la schiera dei fedeli.

Tutt’altra natura muoveva “la scomparsa” del Figlio di Dio avvenuta, sotto gli occhi degli apostoli, nell’Ascensione celebrata domenica scorsa, preludio e porta d’ingresso per l’azione dello Spirito Santo, non certo abbandono o ritirata: “È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore”. Né la risposta della Bianchetti che sui titoli di coda ringraziava Francesco, abbracciandolo “a nome di tutti”, poteva ripristinare la normalità, oramai perduta, con quel vuoto spaventoso. A meno che nell’abbraccio inteso dall’intervistatrice non intendessimo il perdono da parte di tutti noi, all’antitesi dei consolati, delusi e in qualche modo traditi. In quanto attendevamo risposte, eppure assistevamo a come il vertice della Chiesa di Roma venisse meno al suo ruolo di “confermare i fratelli nella fede”, scomparendo dai radar. Ammutoliti, di riflesso, noi cattolici – anche perché pericolosamente assuefatti alla stravaganza del nostro tempo – interpretazioni e commenti giunti al riguardo, sui social e sui media, mostravano altra chiave di lettura. Quella della narrativa mainstream ferrata nel capovolgere l’anomalo col normale, la pienezza col vuoto, la bellezza col brutto, capace di trovare nel “non detto bergogliano” ragioni per commuoversi e pregnanza di significato. Punti di vista, che se rivelavano una matrice intellettualmente formata sul radical sciocchismo, sarebbero magari più adatti a esprimersi su certe pellicole o installazioni da lido di Venezia, quanto su temi religiosi in sede romana. Cos’era dunque, davvero, quel non voler o poter dire di Francesco sull’ora del Sacrificio di Gesù, nessuno sa.

Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi.

Un mese e mezzo dal Venerdì Santo, la Pentecoste prossima a venire, e quel silenzio è ancora lì. Pesante come una pietra tombale sulla bocca di Francesco. E pregheremo affinché, come lo Spirito Santo poté fare, nel Cenacolo, di quei pescatori pavidi degli eroi senza paura, del vescovo vestito di bianco, in Vaticano, possa forse fare un Papa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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