Rivoluzione elettrica e politica energetica. Errare è umano, perseverare è diabolico

di Julio Loredo

Nella sua infinita sapienza, il Parlamento europeo ha deciso di bandire dal nostro continente tutte le auto diesel e a benzina entro il 2035. Il recente voto fa parte del pacchetto Fit-for-55, che in un precedente articolo abbiamo definito “l’ultima sciocchezza ambientalista”[1]. Per l’approvazione finale dello stop alle auto endotermiche serve ancora il via libera dal Consiglio europeo. Anche se non è chiaro quali potrebbero essere le scadenze, i poteri forti hanno già deciso che la decisione finale dovrà arrivare entro l’autunno.

Il Parlamento ha respinto una scappatoia per i carburanti sintetici, una soluzione “green” (E-fuels) lanciata per cercare di prolungare la vendita dei motori a combustione oltre i termini della cosiddetta “decarbonizzazione”.

Una “rivoluzione fordiana”

Tutto ciò comporterebbe quella che gli esperti chiamano una “rivoluzione fordiana”. L’intero sistema di trasporto pubblico e privato dovrà essere rivisto per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni per auto entro il 2035. Questa Rivoluzione si basa sulla sostituzione dei veicoli a diesel e a benzina con quelli elettrici. Ciò solleva molteplici questioni:

– In primo luogo, sarà ancora necessario produrre in qualche modo l’elettricità per alimentare questi veicoli. E questa può venire solo da centrali nucleari o a carbone, poiché l’energia solare e quella eolica non sono in grado di coprire la domanda. In altre parole, si spoglia un santo per vestirne un altro.

– In secondo luogo, le batterie sono una delle cose più inquinanti sulla terra, una volta scartate. A differenza delle auto normali, quelle elettriche non possono essere riciclate. Devono essere smaltite in “cimiteri” molto inquinanti. Se prendiamo in considerazione che la vita media di una batteria è di 4-5 anni (a confronto dei 15-20 di un motore normale) iniziamo a intravedere l’incubo ambientale che ci aspetta.

– In terzo luogo c’è da menzionare un aspetto non secondario: il prezzo. I veicoli elettrici sono molto più costosi e molto meno efficienti. Non c’è da stupirsi che l’industria automobilistica europea abbia dato una risposta piuttosto fredda a questa proposta.

– In quarto luogo – ed ecco l’aspetto di gran lunga più importante – il massiccio passaggio alle auto elettriche consegnerebbe ancor di più l’economia, e quindi la sovranità, dell’Europa nelle mani della Cina comunista. La Cina controlla il 51% del totale globale del litio chimico, il 62% del cobalto chimico e il 100% della grafite sferica, i principali componenti delle batterie agli ioni di litio. E ad oggi produce il 75% delle batterie al litio[2]. Sarà quindi la Cina a controllare il mercato globale delle auto elettriche. È ciò che vogliono i promotori del Fit-for-55?

Abbiamo creato noi la minaccia cinese

Questo è l’ultimo passo di un processo, ormai vecchio di quasi un secolo, in cui certi leader dell’Occidente hanno progressivamente creato, nutrito e promosso i sogni espansionistici di Pechino, cioè del Partito Comunista Cinese. Ne abbiamo parlato in un lungo articolo nel 2020[3].

Uno dei grandi enigmi della nostra epoca – un vero mistero d’iniquità – è come certi leader occidentali, che si vantano di essere democratici e liberali, abbiano potuto sottomettersi in modo così servile a un governo dittatoriale dominato da un partito comunista. E come i tycoon dell’industria e della finanza, che si vantavano di aver creato la civiltà più ricca della storia, abbiano poi lasciato che quella ricchezza – insieme al potere che essa comporta – passasse nelle mani di una potenza nemica. Pur di far più soldi, l’Occidente ha posto – coscientemente e volontariamente – la testa nella ghigliottina. Possiamo meravigliarci che il boia tiri la leva?

Eppure, questa situazione era perfettamente prevedibile e, quindi, evitabile. Già nel 1937, Plinio Corrêa de Oliveira si stupiva: “Non capisco come l’Occidente venda armi ai comunisti cinesi, il nemico più pericoloso e abominevole della civiltà[4]. Nel 1943 egli si lamentava: “L’Occidente sembra non accorgersi del pericolo del paganesimo giallo”[5]. In un lungo articolo nel gennaio del 1951, Plinio Corrêa de Oliveira elencò “Gli errori di Roosevelt nella seconda Guerra mondiale”, tra cui: “Di fronte all’espansionismo comunista, il Dipartimento di Stato, invece di opporvi una resistenza energica, lo favorì indirettamente col suo atteggiamento remissivo. (…) In Asia, le cose andarono peggio. Il presidente Truman decise di continuare la politica di fidarsi del comunismo cinese, come aveva fatto il suo predecessore”[6].

La politica concessiva e arrendevole dell’Occidente nei confronti della Cina comunista fece un balzo in avanti col famigerato viaggio del presidente Richard Nixon a Pechino nel 1972, che produsse l’Accordo di Shanghai. Commentò allora il pensatore brasiliano: “L’Accordo di Shanghai è la peggiore catastrofe politica del secolo XX. Yalta fu una calamità maggiore di Monaco. Fu Monaco moltiplicato per Monaco. L’Accordo di Shanghai è Yalta moltiplicata per Yalta! Dove ci porterà?”[7].

Ecco dove ci ha portato: nel 1980, il reddito pro capite cinese era inferiore a quello delle nazioni africane più povere. Oggi, la Cina produce più del 50% di tutti i beni industriali del mondo. Tutto ciò, va ribadito, con i soldi e il know-how dell’Occidente, improvvidamente trasferiti in Cina seguendo la logica – o meglio la mancanza di logica – del capitalismo selvaggio e della globalizzazione. Mentre gli occidentali riempivano la Cina di soldi e di tecnologia, i cinesi seguivano scrupolosamente ciò che un analista occidentale definì una “politica bismarkiana”, cioè un progetto ben preciso di dominazione imperale. E adesso la leva della ghigliottina è nelle loro mani.

La corda di acciaio

Pechino non è l’unica a tenere la leva della ghigliottina, approfittando dell’arrendevolezza occidentale. Al suo fianco, c’è anche la sua grande alleata: Mosca.

Scontenta dall’appoggio europeo all’Ucraina nella guerra ora in corso, la Federazione russa ha contrattaccato con la sua arma forse più letale: il taglio delle forniture di gas e di carburante, di cui l’Unione europea ha disperatamente bisogno. Ed ecco che, dalla notte al giorno, proprio mentre ci disponiamo a partire per le vacanze, i prezzi dei carburanti sono saliti alle stelle, e pure quello del gas, al punto da prospettarsi tagli e razionamenti entro l’autunno come in tempo di guerra. Ciò ha trainato l’inflazione, che è salita a livelli mai visti da decenni. La dipendenza europea dalla Russia in materia energetica si ripercuote anche nell’impossibilità di mantenere una politica uniforme nei suoi confronti, poiché importanti Paesi, come la Germania e l’Ungheria, ormai non possono permettersi di contrariare il Cremlino. Piaccia o meno, il fatto è che la sorte dell’Europa, soprattutto durante l’inverno, è nelle mani dell’occupante della cittadella fortificata di Mosca. Ben il 47% del gas consumato nell’Unione Europea proviene dalla Russia.

Eppure, anche questa situazione era perfettamente prevedibile e, quindi, evitabile.

“L’Europa è un Achille che di calcagni vulnerabili ne ha non uno bensì due”, scriveva Plinio Corrêa de Oliveira nel luglio 1972. E proseguiva: “Un calcagno è il petrolio e il gas di provenienza sovietica nonché dei paesi arabi più o meno comandati da Mosca. Se, da un momento all’altro, la Russia tagliasse il rifornimento di gas e di petrolio, potrebbe paralizzare buona parte dell’industria e dei trasporti in Europa. (…) L’altro calcagno è la situazione militare. Le forze sovietiche superano quelle dell’Europa occidentale in proporzione di quasi sette a uno. (…) In questo modo la Russia sta accerchiando l’Europa”. Egli definì i vari gasdotti che dalla Russia fornivano l’Europa “un’immensa corda di acciaio con la quale Mosca potrebbe inforcare sia l’Europa occidentale che quella orientale, visto che tutte e due diverranno largamente dipendenti dal gas sovietico per affrontare i rigori dell’inverno”[8].

Il pensatore cattolico brasiliano stava commentando un editoriale del New York Times, scritto da C.L. Sulzberger, nel quale il noto giornalista ammoniva: “È innegabile che l’Europa occidentale sta diventando, in modo sempre più irreversibile, dipendente dalla buona volontà di Mosca per la sua sicurezza e per il suo progresso economico”.

Questa contingenza era il risultato della politica di détente nei confronti dell’Urss che, parafrasando Churchill, consisteva nell’alimentare l’orso sperando di essere mangiato per ultimo. Politica rispecchiata poi, in campo ecclesiastico, dalla famigerata ostpolitik. Si cominciava a prospettare il rischio che l’Europa fosse “finlandizzata”, un’espressione del gergo politico di allora per descrivere un paese in una situazione simile a quella della Finlandia, cioè sovrana sulla carta ma del tutto dipendente dall’Unione Sovietica. Mentre i più lungimiranti proponevano un atteggiamento più fermo per proteggere l’Europa, i fautori della détente e dell’ostpolitik consigliavano invece di raddoppiare la razione all’orso… Plinio Corrêa de Oliveira li battezzò “la banda degli sprovveduti”.[9]

Errare è umano. Perseverare nell’errore è diabolico. Fin dove arriva l’ingenuità e dove invece inizia la malafede?

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[1] Julio Loredo, “Fit For 55. L’ultima sciocchezza ambientalista”, Tradizione Famiglia Proprietà, dicembre 2021, https://www.atfp.it/novita/2057-fit-for-55-l-ultima-sciocchezza-ambientalista

[2] “How China came to dominate the market for lithium batteries and why the U.S. cannot copy their model”, OneCharge, 27/01/2022.

[3] Julio Loredo, “Ripensare la Cina”, Tradizione Famiglia Proprietà, maggio 2020, https://www.atfp.it/rivista-tfp/2020/299-maggio-2020/1816-ripensare-la-cina

[4] Plinio Corrêa de Oliveira, “7 Dias em Revista”, Legionário, no. 274, Dec. 12, 1937.

[5] Plinio Corrêa de Oliveira, “A Questão Libanesa”, Legionário, no. 591, Dec. 5, 1943.

[6] Plinio Corrêa de Oliveira, “Erros de Roosevelt na Segunda Guerra Mundial”, Catolicismo, no. 1, Jan. 1951.

[7] Plinio Corrêa de Oliveira, “Yalta Multiplicada por Yalta”, Folha de S. Paulo, Mar. 12, 1972.

[8] Plinio Corrêa de Oliveira, “Os dois calcanhares”, Folha de S. Paulo, 25-06-72.

[9] Plinio Corrêa de Oliveira, “A equipe imprevidente I”, Folha de S. Paulo, 02-12-73; “A equipe imprevidente II”, id. 04-12-73.

Fonte: atfp.it

Titolo originale: La banda degli sprovveduti

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