Sul funerale in rito antico negato. Qualche domanda

di Aurelio Porfiri

Nei giorni scorsi abbiamo letto su Duc in altum  [qui e qui] di una Messa secondo il rito tradizionale negata, nella diocesi di Trento, per il funerale di un uomo di quarantasei anni. In merito è forse il caso di fare qualche riflessione.

La diocesi ha affermato di non aver mai negato la celebrazione della Messa tridentina (con cui il defunto si era sposato e aveva celebrato il battesimo dei figli) ma che la famiglia stessa aveva ventilato l’ipotesi di usare il cimitero come alternativa alla chiesa parrocchiale. La diocesi afferma in un comunicato: “Al parroco di Revò il quale, a fronte della richiesta di celebrare in chiesa con il rito antico, correttamente si rivolgeva all’Ordinario diocesano per una valutazione del caso, gli stessi familiari ventilavano, contestualmente, l’ipotesi di celebrare le esequie presso il cimitero di Revò. Non si è quindi nemmeno posto il problema di autorizzare o meno la celebrazione, che è avvenuta in uno spazio pubblico e secondo il rito richiesto dai familiari. Va peraltro precisato che la celebrazione è stata presieduta da un sacerdote appartenente all’Istituto Mater Boni Consilii, associazione che apertamente non riconosce l’autorità pontificia, collocandosi di fatto fuori dalla comunione con la Chiesa cattolica”.

Ora, ci sono alcune cose poco chiare. Perché i familiari avrebbero ventilato di celebrare al cimitero se non c’era nessun problema per la chiesa? Se il problema fosse stato il sacerdote dell’Istituto Mater Boni Consilii, perché non proporre un sacerdote a scelta del vescovo che poteva celebrare la Messa tridentina in chiesa?

L’istituto ha precisato che il defunto era un caro amico di uno dei loro sacerdoti, don Ugolino Giugni, a cui è stato quindi chiesto di celebrare. In quanto alla loro posizione nella Chiesa, hanno precisato: “In linea di principio, il nostro Istituto (e ciascuno dei suoi membri) crede fermamente nella Chiesa, una, santa, cattolica, apostolica e romana, fuori della quale non vi è salvezza, e crede altrettanto fermamente nel primato di giurisdizione del Sommo Pontefice, Vicario di Cristo e Successore di Pietro”. Allora, qual è il problema? Il problema per la diocesi è che l’istituto segue la tesi di Cassiciaco, redatta da padre Michel Guérard de Lauriers (1898-1988), da alcuni anche chiamata sedeprivazionismo, secondo cui la cattedra di Pietro dal 7 dicembre 1965 sarebbe vacante e coloro che l’anno occupata successivamente (da Paolo VI in poi) sarebbero papi solo materialmente ma non formalmente. (Sulla posizione dell’Istituto Mater Boni Consilii si veda il libro di don Francesco Ricossa e Aldo Maria Valli Non ponti, ma scale. Dialogo sulla Chiesa dalle due sponde di un fiume, edito da Chorabooks).

Quindi, se questo (come immagino) può aver creato problemi alla diocesi, si sarebbe potuto proporre in alternativa un altro sacerdote che poteva celebrare lo stesso rito.

Su questo anche l’istituto risponde al comunicato della diocesi: “In linea di fatto, l’uso della chiesa parrocchiale è stato effettivamente richiesto al parroco di Revò il quale, come ammette la precisazione dell’arcivescovado, si è rivolto all’Ordinario, il quale ha rifiutato detto uso e concesso solo l’uso del cimitero. Se la Curia nega questo fatto, dobbiamo pensare che in un caso analogo verrà concesso, un domani, l’uso di una chiesa, parrocchiale oppure no? In realtà, concordiamo col principio che le chiese cattoliche non devono concedersi in uso ai non cattolici, ma la Curia non osa rammentare questo principio, di cui evidentemente si vergogna, giacché è ormai prassi comune concedere, temporaneamente o anche in maniera permanente, delle chiese ai non cattolici in grazia del cosiddetto ecumenismo, negandole solo ai cattolici che desiderano restare integralmente fedeli alla Tradizione della Chiesa e al rito promulgato da San Pio V, come pure è ormai prassi comune, seppur contrariamente al diritto canonico, concedere la sepoltura ecclesiastica anche ai pubblici peccatori, rifiutandola, come in questo caso, a un buon cristiano e padre di famiglia”.

Ora un’altra domanda si pone: il problema è la Messa o il sacerdote appartenente all’istituto?

Oltretutto il fatto che si sia concesso l’uso del cimitero fa sorgere altri dubbi: la Chiesa è un luogo sacro, ma in un certo modo non lo è anche il cimitero? Forse il fatto che lo stesso è comunale esonera la Chiesa dal sentirsi parte in causa? Se pure si volessero considerare i membri dell’istituto come in situazione irregolare, non è forse vero che è prassi consolidata invitare membri di altre religioni, anche non cristiane a parlare, e pure a predicare, nelle chiese? Un cristiano irregolare vale meno di un aperto non cristiano?

Nella Lumen gentium, parlando dei cristiani non cattolici (e non direi è il caso dell’istituto), viene detto: “La Chiesa sa di essere per più ragioni congiunta con coloro che, essendo battezzati, sono insigniti del nome cristiano, ma non professano integralmente la fede o non conservano l’unità di comunione sotto il successore di Pietro. Ci sono infatti molti che hanno in onore la sacra Scrittura come norma di fede e di vita, manifestano un sincero zelo religioso, credono amorosamente in Dio Padre onnipotente e in Cristo, figlio di Dio e salvatore, sono segnati dal battesimo, col quale vengono congiunti con Cristo, anzi riconoscono e accettano nelle proprie Chiese o comunità ecclesiali anche altri sacramenti. Molti fra loro hanno anche l’episcopato, celebrano la sacra eucaristia e coltivano la devozione alla vergine Madre di Dio. A questo si aggiunge la comunione di preghiere e di altri benefici spirituali; anzi, una certa vera unione nello Spirito Santo, poiché anche in loro egli opera con la sua virtù santificante per mezzo di doni e grazie e ha dato ad alcuni la forza di giungere fino allo spargimento del sangue. Così lo Spirito suscita in tutti i discepoli di Cristo desiderio e attività, affinché tutti, nel modo da Cristo stabilito, pacificamente si uniscano in un solo gregge sotto un solo Pastore. E per ottenere questo la madre Chiesa non cessa di pregare, sperare e operare, esortando i figli a purificarsi e rinnovarsi perché l’immagine di Cristo risplenda più chiara sul volto della Chiesa”.

Se si ha una tale apertura verso questi cristiani perché tanta durezza verso l’istituto? Certo, ci sono questioni teologiche non secondarie in ballo, ma la politica dei gesti di buona volontà e del dialogo non vale anche per loro?

Troppe domande senza risposta.

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