Domande in margine alle dichiarazioni di monsignor Viganò

di Fabio Battiston

Ho appena terminato di leggere su Duc in altum l’intervista rilasciata da monsignor Viganò a Michael J. Matt per la Catholic Identity Conference. Non intendo qui commentare toni e contenuti delle dichiarazioni del presule. Le sue affermazioni, al netto di alcune questioni riguardanti la contrapposizione tra sostanza ed ermeneutica del Concilio Vaticano II, sono come sempre in sintonia con la mia visione della grande questione “Chiesa”.

Vorrei invece fare una considerazione di carattere generale sullo “stato” in cui oggi versa la barca di Pietro, prendendo come esempio paradigmatico proprio il rapporto tra monsignor Viganò e l’attuale governo della Chiesa cattolica. Una Chiesa che egli combatte ma della quale, comunque, continua a far parte. Mi sono quindi posto alcune domande, prescindendo dal merito delle specifiche posizioni: cosa sarebbe accaduto nei secoli passati di fronte ad un dissidio di tale portata tra un dignitario di Santa Madre Chiesa e la figura (magisteriale, dottrinale e pastorale) del pontefice in carica? Quali conseguenze ne sarebbero derivate rispetto, da un lato, alla volontà del “ribelle” di rimanere o meno nell’alveo della chiesa madre e, dall’altro, ai provvedimenti che sarebbero scaturiti dal potere istituzionale in difesa delle proprie prerogative? La storia ci ha consegnato innumerevoli esempi di questo tipo (mi limito a quelli tutti interni alla Chiesa senza scomodare gli scontri tra i poteri politico ed ecclesiastico). Questi conflitti sono quasi sempre sfociati in scomuniche, abbandoni, scismi, condanne o accuse reciproche di eresia pubblicamente sfociate in aperti e gravi contradditori. Voglio dire che la Chiesa in tutte queste occasioni ha dimostrato – indipendentemente dai torti e ragioni delle posizioni in gioco – una forza, una vitalità ed una difesa di principi, anche contrapposti, da cui poi è quasi sempre uscita più salda.

Che accade invece in questi anni?  Limitandoci come dicevo al “caso Viganò”, vediamo un importante prelato che – senza giri di parole o tatticismi diplomatici – tratta il Papa regnante (aggettivo particolarmente sgradito dall’attuale inquilino di Santa Marta) alla stregua di un inviato di Satana. Neopaganesimo, apostasia e panteismo sono le ulteriori accuse di contorno. Il medesimo monsignore sostiene, con dovizia di argomentazioni, che l’elezione bergogliana fu un atto totalmente invalido sancito da un conclave al soldo dei poteri massonici mondiali dominanti (il famoso Deep State). Tutto questo con l’amplificazione dell’onnipresente apparato massmediale. Dall’altra parte annotiamo, basiti, il comportamento di un Papa che pare ignorare completamente la gravità e la reiterazione delle accuse; medesimo silenzio – e stessa nostra addolorata sorpresa – da parte di tutti coloro che, nel 2013, votarono per l’arcivescovo di Buenos Aires. Atteggiamenti peraltro non isolati; come non ricordare in proposito, l’assordante silenzio papale di fronte ai dubia manifestati da alcuni cardinali su vari punti dell’enciclica Amoris laetitia? Mi chiedo: ma che Chiesa è mai questa? È accettabile che chi proferisce gravissime accuse al Papa ritenga assolutamente logico, direi quasi normale, continuare a professare la propria fede all’interno di un’istituzione considerata demoniaca? E che un Papa con i suoi cardinali dimostrino assoluta indifferenza verso chi attacca in questo modo il Vicario di Cristo in terra? E attenzione; la domanda sull’opportunità di stare o meno in questa Chiesa, rivolta a monsignor Viganò, riguarda anche il sottoscritto e tutti coloro che sentono da anni il disagio di vivere in un contesto ecclesiale nel quale fanno sempre più fatica a riconoscersi. Ma è soprattutto il silenzio delle gerarchie, dalla più alta carica, che sa di mostruoso. È come se, in una famiglia, dei figli vedessero quotidianamente accusata la propria madre ora di immoralità, ora di disonestà o ignoranza. Nello stesso tempo, però, osservassero con sgomento questa donna non solo non reagire di fronte a tali infamie ma mostrare anche una totale indifferenza a ciò che viene detto contro di lei. Come si sentirebbero quei figli?

Mi accorgo di aver posto, ed essermi posto, numerose domande. Quesiti ai quali non so dare risposta e che alimentano, giorno per giorno, una sensazione di inquietudine su quello che potrà essere il futuro prossimo di questa Chiesa e di noi che – tra dubbi, indecisioni, timori e peccati – ne facciamo ancora parte.

San Tascio Cecilio Cipriano, Vescovo di Cartagine nel III secolo d.C., scrisse in una sua epistola a Papa Stefano il famoso Salus extra Ecclesiam non est (fuori dalla Chiesa non c’è salvezza), poi divenuto dogma. La stella polare resta quindi questa ma non posso non chiedermi, in quest’inizio di terzo millennio: fuori da “quale” Chiesa?

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Foto di Aldo Maria Valli  ©

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