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Dibattito / La Chiesa, l’analisi di monsignor Viganò, il neomodernismo. Oggi come nella crisi ariana

di Columbanus

Gentile dottor Valli,

vorrei esprimere innanzitutto gratitudine a Lei, come moderatore, e a quanti hanno condiviso le loro riflessioni prima di me nell’ambito dell’importante dibattito aperto dalle dichiarazioni di monsignor Viganò (qui e qui).  In modo particolare, ho trovato piena sintonia con le idee espresse dall’Anima Mariana.

Ecco alcune mie righe, nella speranza di offrire un umile contributo di chiarificazione e provare a rispondere, almeno in parte, alle domande cruciali poste dall’amico Battiston.

Nel suo intervento il signor Polazzo pare equivocare alcuni dati teologici e fattuali, in base ai quali egli non può che giungere a conclusioni purtroppo erronee. Eccoli qui brevemente riassunti:

1.Indefettibilità della Chiesa NON significa inerranza del Magistero, anche supremo (quando non ex cathedra). Significa “solamente” che la fede della Chiesa non può venire del tutto meno, in virtù dell’assistenza divina. Fedeltà nella propria identità originaria, ovvero «Perpetua permanentia in sua natura», la definisce il Perrone: questo è il significato etimologico del termine indefectibilitas. Tale verità di fede si basa sulla promessa che le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa. Non prævalebunt non implica affatto, però, che non ci proveranno, né che ad un certo momento non sembreranno riuscirci; al contrario, lo sottintende laddove l’azione del prevalere presuppone l’inizio di un assalto delle portæ inferi.

Del resto, che si possa andare pericolosamente vicino a una apparente estinzione della fede – «il Figlio dell’uomo, troverà ancora fede sulla terra?» -, e che i tempi ultimi saranno segnati da una generale apostasia della maggioranza dei fedeli sono dati di fatto, affermati senza ombra di dubbio da tutta la Rivelazione neotestamentaria, dalla Tradizione patristica e dalle rivelazioni profetiche di innumerevoli apparizioni riconosciute come autentiche.

È sufficiente pertanto un monsignor Lefebvre ieri, o un monsignor Viganò oggi, che continuino a tenere accesa la luce della fede ortodossa (anche nonostante il Romano Pontefice) e siano seguiti da una porzione sia pur minoritaria dei Cattolici anagrafici, affinché il dogma dell’Indefettibilità della fede della Chiesa sia inverato nei fatti e salvaguardato nella professione. Non è questione né di maggioranze né di auctoritas, ma di sostanza.

Fin troppo facile la prova e contrario in base alla storia della Chiesa, maestra sommamente inascoltata: il Magistero supremo ha preso abbagli importanti; ha stentato a riconoscere verità evidenti; ha commesso errori di governo anche clamorosi (è il caso del sinodo pastorale Vaticano II), mentre il corpo istituzionale della Chiesa è rimasto privo della guida di un Vescovo di Roma unanimemente riconosciuto anche per periodi di una certa durata, senza che ciò abbia portato in alcun modo alla sparizione della Chiesa o allo snaturamento della sua fede.

È successo in passato, ed è ciò a cui abbiamo assistito anche con i papi da Giovanni XXIII a Benedetto XVI: i quali non sono stati capaci di guidare il gregge affidato loro mettendolo validamente al riparo dagli errori del pensiero contemporaneo, (se per incapacità o dolo, non fa alcuna differenza), senza che ciò ne annullasse la validità come successori sulla cattedra di Pietro.

Totalmente diverso è il caso dell’attuale inquilino di Casa Santa Marta; la cui valida elezione è fortemente messa in dubbio da:

a) le circostanze delle dimissioni del tuttora vivente “papa emerito”, estorte con minacce, condizionamento psicologico, ricatto o una combinazione di questi;

b) la totale mancanza di un’adeguata formalizzazione delle stesse dimissioni ed il perdurare del monstrum del “co-papato”;

c) le circostanze dell’elezione del Successore, quale risultato di una cospirazione ammessa da uno dei congiurati della cosiddetta Mafia di San Gallo e del mancato rispetto del regolamento procedurale del Conclave a norma del Motu Proprio Normas nonnullas di Benedetto XVI in questioni tutt’altro che marginali.

Tutti questi elementi fanno dell’attuale “pontificato” un unicum assoluto, in nulla paragonabile ai cattivi o mediocri Pontificati precedenti. E questo è un dato incontestabile, rilevabile anche dal crollo disastroso del consenso dei fedeli nei riguardi di Bergoglio, palesemente inviso ai più e considerato istintivamente estraneo al corpo ecclesiale.

L’idea per cui un Papa inadeguato o pessimo sia automaticamente un “non-papa”, rendendo quindi la Sede vacante, non ha alcun fondamento né nella Tradizione né nella ragione teologica. Sembra piuttosto il frutto di un’idea impazzita del Primato petrino e di una certa idolatria dell’istituzione, considerata come fine a sé stessa.

2. Monsignor Viganò – che dimostra una competenza da fine teologo ben al di là dei suoi titoli accademici, segno inequivocabile di un profondo sentire cum Ecclesia – non ha mai affermato che la Chiesa in quanto tale sia «diventata causa di eterna dannazione». Lo dimostrano compiutamente le citazioni testuali riportate dallo stesso Polazzo.

Tutto il discorso che costui ne fa seguire si fonda dunque sul falso presupposto di un macroscopico equivoco o di una lettura quantomeno distratta degli scritti di Monsignore, il quale non sceglie una parola a caso.

Credo che ciò sia sufficiente a sgombrare il campo da tentazioni sedevacantistiche ormai fuori tempo massimo; le quali hanno abbondantemente dimostrato in questi decenni la loro matrice luciferina con gli effetti di polverizzazione della resistenza al Modernismo, nonché di proliferazione di anti-papi e micro anti-chiese con sommo scandalo e confusione dei fedeli.

Mi pare che monsignor Viganò abbia intrapreso una via completamente diversa, che non si fonda sulla negazione del problema (i.e. la crisi di fede tam in capite quam in membris); così facendo egli non ha commesso l’errore di chi si limita agli aspetti canonistici della questione col solo scopo di salvaguardare in modo banalmente esteriore la solidità apparente di un impianto ideologico ormai messo in discussione dalla storia (i.e. inattaccabilità del Papato ultramontanisticamente inteso).

Egli piuttosto indica con coraggio le cause spirituali della crisi, senza omettere di denunciare le gravi  responsabilità dei Pastori tramutatisi in lupi; ed in ciò egli non si discosta in nulla da quanto hanno fatto i più grandi Santi e Maestri dei secoli passati: da Paolo ad Atanasio, da Massimo il Confessore a Colombano, da Caterina da Siena a Brigida di Svezia… con buona pace di certi maestri di “bon ton ecclesiale”, che appaiono più preoccupati di tenere insieme lo status quo che non la fede dei credenti, il quieto vivere prima della verità salvifica.

A conclusione di quanto fin qui ho modestamente tentato di evidenziare, vorrei dire come incoraggiamento all’amico Battiston che, alla luce del magistero apostolico dell’arcivescovo Carlo Maria – che speriamo sarà presto seguito da molti altri vescovi e cardinali sulla via della parresia evangelica – il dilemma tra chiesa-esteriore e chiesa-interiore viene superato di slancio.

  • Posso ancora “essere, restare e vivere” in “questa” Ecclesia?

Sì, ma solo nella misura in cui non ti viene impedito di professare integralmente la fede e dare il culto gradito a Dio e trasmesso dagli Apostoli. In questo caso l’eventuale separazione fisica dai luoghi di culto occupati dagli eretici non intacca minimamente l’essere, il restare e il vivere nella Chiesa di Cristo.

  • È possibile scindere la nostra appartenenza alla Chiesa tenendo conto della sua doppia natura spirituale ed umana?

La Chiesa non ha due nature, ma due dimensioni: una spirituale e una temporale, in cui la prima deve informare la seconda per il conseguimento del fine ultimo – il quid unum perficiendum di ogni società perfetta, ossia che dispone in sé dei mezzi ordinati al fine. E come tutte le cose umane, essa subisce le conseguenze del peccato originale che tutti i suoi membri portano con sé in quanto discendenti di Adamo: teorizzare una società ideale, i cui membri siano impeccabili e non bisognosi dell’aiuto di Dio, è un delirio ereticale; così come lo è presumersi più puri – καθαροί – della Chiesa stessa, che è l’unico strumento ordinario che Dio abbia voluto per la santificazione degli uomini. Non sta a noi quindi separare il grano dal loglio: siamo noi quel grano – e Dio non voglia quel loglio – che i servi vorrebbero separare.

Non si tratta perciò di scindere, ma di distinguere: riconoscere le miserie umane degli uomini di Chiesa e gli assalti del demonio, rifiutandosi di accettare quella falsa alternativa tra il rimanere nella Chiesa accettandone anche ciò che non le appartiene e che la disonora nei propri membri, o l’abbandonare l’unica Arca di salvezza perché tra i naufraghi che le si aggrappano ci sono anche degli ammutinati. Pertanto, non si può dire che la Chiesa sia bipartita, se con questo si intende che Essa appartiene in parte a Gesù Cristo e in parte al diavolo. La “parte” del diavolo non può che essere un corpo estraneo nella Chiesa, anche se compresente – come il loglio – nel campo del Signore.

  • E ancora: rispondendo sì a tale domanda non saremmo comunque obbligati ad una scelta scismatica?

Se con “scisma” intendi la separazione dal Corpo Mistico di Cristo, ovviamente no. Se invece intendi operare la discessio, separandoti dalle membra morte di Cristo per rimanere attaccato al Cristo vivo e vero, allora la risposta non può essere che affermativa. Nihil anteponere Christo! «Tenetevi le chiese, noi ci teniamo la fede», diceva Atanasio agli ariani.

Ma attenzione: è sempre in agguato la tentazione di considerare genericamente la Chiesa terrena come un corpo impuro e corrotto, e se stessi puri e salvi. Il che, come dimostra la storia, è da sempre la presunzione di tutti gli eretici, nessuno escluso.

Ciò che rende tuttavia molto più pericolosi e insidiosi quanti aderiscono all’eresia modernista – poi sviluppatasi nel neomodernismo conciliare e nell’apostasia amazzonica e sinodale di questi ultimi anni – è che, a differenza degli altri movimenti ereticali, costoro non hanno alcuna intenzione di lasciare la Chiesa di Cristo per fondarsene una nuova dove propagandare i loro errori.

Essi hanno la presunzione di essere i padroni della Chiesa, in diritto di farla diventare ciò che essi vorrebbero. Lo spirito modernista non si accontenta di corrompere: esso vuole usurpare i posti gerarchici, impossessarsi del potere che deriva dall’autorità sacra che essi combattono.

Questa impostazione da congiurati ha avuto l’esempio più simbolico nella scomunica dell’arcivescovo Marcel Lefebvre. E infatti, per la prima volta nella storia della Chiesa, oggi non sono gli eretici ma i cattolici ad essere considerati contro “la chiesa conciliare”, ad essere allontanati, o fatti unico bersaglio di sanzioni canoniche.

Si ripropongono insomma le medesime dinamiche dello scisma ariano, dinanzi al quale la diffusione dell’errore e l’appoggio della maggioranza dell’episcopato erano tali da lasciar umanamente pensare che la Chiesa fosse stata mortalmente colpita. Chi all’epoca scelse per opportunismo di schierarsi con l’apparente vincitore – come accade oggi – si trovò poi sconfessato; chi seppe sopportare umiliazioni, persecuzioni, esili e la stessa morte per non rinnegare quanto gli era stato trasmesso ebbe la consolazione di essere solennemente riabilitato e, nella restitutio del tempo di Dio, innalzato agli onori degli altari come eroico testimone e confessore della Fede.

Resistite fortes in fide.

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Aldo Maria Valli:
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