Obiezione di coscienza all’obbligo vaccinale. Un atto possibile, legittimo, doveroso

Cari amici di Duc in altum, Wanda Massa ha inviato al blog uno scritto dell’avvocato Alessandra Nucci sull’obiezione di coscienza. Il contributo è preceduto da una presentazione che faccio mia. Sono anch’io convinto che l’obiezione di coscienza sia uno strumento prezioso del quale avvalerci per preservare la libertà contro ogni deriva totalitaria.

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I tempi rivoluzionari in cui viviamo rendono urgente ed importante conoscere, approfondire e rendere effettiva, a livello individuale e collettivo, l’obiezione di coscienza come prerogativa umana ed istituto di diritto naturale.

In particolare nella tutela dei principi non negoziabili, rappresenta il prezioso strumento di cui possiamo avvalerci per preservare la nostra libertà personale contro ogni deriva totalitaria.

Come ci insegna il mito di Antigone, disposta al sacrificio della propria vita in nome della fedeltà a quella legge che l’uomo trova riposta nella propria coscienza, così l’obiezione di coscienza all’obbligo vaccinale risulta, pertanto, un atto possibile, legittimo e anche doveroso, che deve essere garantito costituzionalmente e internazionalmente, a chi non ritiene, per motivi morali o religiosi, di sottoporsi ad un trattamento sanitario.

Propongo quindi l’interessante contributo redatto da Alessandra Nucci, avvocato del foro di Monza e patrocinante in Cassazione, impegnata in prima persona su questo tema, per cui ritiene urgente predisporre un’opportuna offerta formativa, finalizzata a creare consapevolezza sull’origine, sulle caratteristiche, sulla tutela giuridica e sulle potenzialità applicative dell’obiezione di coscienza.

Wanda Massa

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Obiezione di coscienza: un contributo alla riflessione negli anni della pandemia

di Alessandra Nucci*

 “…Gli ordini che tu gridi non hanno tanto nerbo da far violare a chi ha la morte in sé

regole sovrumane, non mai scritte, senza cedimenti. Regole non d’un’ora, non d’un giorno fa.

Hanno vita misteriosamente eterna. Nessuno conosce la radice della loro luce.

E in nome d’esse non volevo colpe, io, nel tribunale degli dèi, intimidita da ragioni umane.

Il mio futuro è morte, lo sapevo, è naturale: anche se tu non proclamavi nulla.

Se prima del mio giorno morirò, è mio interesse, dico:

uno che vive come me, tanto in basso, e soffre, non ha interesse nella fine?

E così tocca a me: fortuna, di quest’ora di morte, non dolore.

Lasciassi senza fossa, per obbligo, la salma, quel frutto di mia madre spento, quello era dolore:

ma il mio presente caso, ah no, non m’addolora.

Logica idiota, penserai. Chissà. Forse è l’accusa d’idiozia idiota.”

(Sofocle, Antigone)

Le parole appena trascritte sono state pronunciate da Antigone, eroica protagonista femminile dell’omonima tragedia di Sofocle, drammaturgo greco, e sono di una forza tutta particolare: la ragazza, in violazione di un decreto di Creonte, re di Tebe, che vietava la sepoltura dei cadaveri dei nemici della città, ha appena onorato con tale rito il corpo del fratello Polinice, ben sapendo che con questo gesto avrebbe suscitato l’ira di Creonte, suo zio, e si sarebbe condannata ad una sorte di emarginazione.

Eppure sceglie a chi e a cosa dare il primato: Sofocle ci lascia alcune parole come segni indelebili, parla di “regole non scritte”, di “regole non di un’ora, non di un giorno fa, con vita misteriosamente eterna”, di “luce”, di “colpe nel tribunale degli dei, intimidita da ragioni umane”, di sofferenza grande che la aspetta, ma che sarebbe stata nulla al confronto del dolore di non aver provveduto al corpo del fratello. Infine, Antigone capovolge la prospettiva: “forse è l’accusa di idiozia idiota”.

Perché Antigone viola la norma?

Non c’è nessuna legge umana, secondo Antigone, che possa mai superare quelle norme non scritte, ma luminose e radicate da sempre e profondamente nell’animo umano, che fanno agire per il bene e la giustizia: non ci sarà mai nulla che le potrà impedire di seppellire il fratello, perché così è giusto.

Ha scelto di seguire una norma morale.

Con il termine “morale”, dal latino mos=costume, si intende la valutazione del comportamento umano inserito in una collettività e corrisponde abbastanza al termine “etica”, dal greco ethos, prediletto da Aristotele, a cui ha pure dedicato un intero libro della sua ricchissima produzione filosofica, proprio ad indicare che la strada della felicità dell’uomo si deve costruire nella pratica dei suoi comportamenti e delle sue scelte.

Sono anche due termini che aprono alla dinamica feconda tra il comportamento individuale e quello collettivo: ognuno che scelga il bene per sé si muove anche all’interno di una rete di relazioni, che vanno conciliate, non calpestate, nell’interesse superiore di difendere la persona umana.

Le norme morali chiedono di essere integrate nel sistema delle norme giuridiche, che ogni ordinamento deve predisporre: se è vero che il diritto nasce per strutturare i rapporti di una società civile attraverso regole solide, è altrettanto vero che lo stesso diritto deve farsi portavoce di una prospettiva di crescita della società, una prospettiva di bene e giustizia che si occupa effettivamente di tutti i soggetti, altrimenti diventa sopruso o ordine fine a se stesso e generatore di morte e distruzione, come è stato per il decreto di Creonte.

La nostra Costituzione italiana, pur nella sua tortuosa elaborazione, rappresenta un valido esempio di testo fondamentale di uno Stato che guida i comportamenti singoli e collettivi su un sentiero di valori condivisi: la Costituzione è la prima norma di uno Stato, perché è quella da cui tutte le altre derivano, perché ha la maggiore forza cogente e perché deve ispirare l’identità di un intero popolo, è quella che sta alla base dell’enorme costruzione ordinamentale, perché rappresenta le fondamenta di un edificio.

Se la Costituzione non fosse ben pensata e non mirasse al bene o non fosse rispettata e non permettesse di raggiungere il bene, l’edificio vacillerebbe e crollerebbe.

Ricordiamone solo qualche articolo:

  • 2 Cost. “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale”;
  • 3 Cost. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”;
  • 4 Cost. “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto”;
  • 13 Cost. “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, ispezione o perquisizione personale né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. (…) E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”;
  • 19 Cost. “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purchè non si tratti di riti contrari al buon costume”;
  • 21 Cost. “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”;
  • 22 Cost. “Nessuno può essere privato per motivi politici della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”;
  • 32 Cost. “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Sono articoli significativi, perché confermano che una norma giuridica è buona e duratura se è fondata su principi generali di libertà e convivenza pacifica, grazie a cui ogni cittadino possa trovare felicità e realizzazione: è importante che una norma giuridica sia pensata per reggere il corso del tempo e degli eventi, perché, solo con una prospettiva a lungo termine e ancorata a principi generali, può anche esprimere e garantire meglio tutte le situazioni e le specificità. Sono articoli significativi, perché dettati su temi altamente sensibili per la vita di una comunità, come il lavoro, la fede, la libera espressione del pensiero, la salute, su cui uno Stato è chiamato non solo ad un freddo ed automatico legiferare, ma ad una disciplina che metta effettivamente al centro la persona in quanto tale, con la sua coscienza e i suoi valori.

Infine, sono articoli significativi, perché indicano che una comunità funziona tanto meglio quanto più le regole che si è data sono, paradossalmente, sia il fine sia il mezzo per raggiungere bene e giustizia: anche in questo tempo, definito di pandemia, si può comprendere se una norma è buona dal fatto che la tutela della salute non ne è solo lo scopo, ma è anche il faro che guida il raggiungimento di quello scopo, ossia tutte le azioni che concorrono a quel bene e lo preparano.

Se una norma dichiara di voler tutelare un bene, ma nei fatti non lo dimostra, quella norma rimane vuota di senso, lo scopo non viene raggiunto e la confusione giuridica è massima, con il rischio concreto di sgretolare quel patto di reciproco rispetto e condivisione tra i cittadini.

Non sempre applicare la legge è fare giustizia.

La Costituzione mette così in evidenza che la coscienza individuale è indissolubilmente legata all’effettiva crescita di una comunità civile, anzi, di più, è necessaria al progresso civile, perché una vera comunità è composta di individui garantiti nella loro capacità di autodeterminazione e di pensiero e nella loro libertà, in un contesto di regole condivise e di vera responsabilità delle conseguenze.

Ma come si può definire la coscienza?

Non è certamente uno strumento che debba incoraggiare un mero arbitrio od opportunismo o una disobbedienza istintiva ed illogica, quanto piuttosto la sfera più intima di ciascuno, in cui la dimensione conoscitiva delle cose (da cum scientia) si deve fondere con quella morale, che aiuta a distinguere il bene dal male nei propri comportamenti. Chi fa appello alla propria coscienza prima desidera conoscere, poi è in grado di decidere, secondo la propria formazione: chi riconosce e decide in coscienza un bene per sé, come per osmosi desidera mettere, spesso gratuitamente (da gratia o gratus), quel bene a disposizione di tutta la comunità, che, se lo riconosce, può procedere verso un bene migliore.

Non considera la coscienza chi pensa di decidere per gli altri, senza aver fatto o senza aver valorizzato quel passaggio di conoscenza e discernimento per sé e, di conseguenza, senza responsabilità. Un gruppo fatto di individui senza coscienza o indifferenti alla coscienza degli altri non forma una comunità, ma solo un insieme di automi, pericolosamente manipolabili e privati della dignità umana.

La storia recente offre lampanti esempi del modo in cui l’obiezione di coscienza possa operare incisivamente in situazioni di forte scontro con la realtà: un primo esempio è dato dall’esonero dal servizio militare secondo la l. 1139/1977 di attuazione della l. 772/1972 sul riconoscimento dell’obiezione di coscienza, cui è seguita la l. 230/1998, che ha dato alla materia una disciplina organica e ha riconosciuto compiutamente per la prima volta il diritto all’obiezione di coscienza, non più come un beneficio concesso dallo Stato, bensì come un diritto della persona; un altro è tratto dal mondo scientifico e introduce la possibilità di fare obiezione di coscienza alla sperimentazione animale con la l. 413/1993; un altro, di ambito sanitario, riguarda l’esonero per i medici che non intendono partecipare agli interventi chirurgici di aborto di cui all’art. 9 l. 194/1978; un ultimo esempio, sempre in ambito sanitario, tocca i medici che non intendono intervenire nelle tecniche di procreazione medicalmente assistita di cui all’art. 16 l. 40/2004.

Queste disposizioni (e la loro lunga, a tratti tormentata, gestazione) mostrano chiaramente che una corretta legislazione su temi sensibili di rilevanza costituzionale non possa prescindere dalla considerazione di una norma morale: è giusto che sia garantita la volontà di un cittadino o di un cittadino qualificato, come è un sanitario, di non ubbidire ad una norma in contrasto con la propria coscienza, proprio per non vedere sacrificati i propri principi morali o religiosi nella prospettiva di un bene superiore, e proprio per affermare la propria identità individuale, non solo per se stesso, ma per la comunità tutta.

L’obiezione di coscienza è una garanzia di tutela, non un privilegio.

L’obiezione di coscienza rende la legge completa, non la contrasta o sostituisce.

Anche in questi anni di forti sconvolgimenti provocati dalla pandemia, la coscienza umana viene interpellata continuamente a valutare situazioni e scelte delicatissime rispetto al bene della vita e della salute, ma anche del lavoro e del consorzio sociale.

Basti pensare solo alla copiosa e farraginosa produzione di provvedimenti legislativi degli ultimi due anni, fatta di continui richiami a scatole cinesi, esclusioni e concessioni, imposizioni e categorizzazioni, senza tenere conto della gerarchia delle fonti e, in più, nel fragile contenitore di una emergenza, che ha reso ordinario ciò che sarebbe dovuto rimanere provvisorio e che, contrariamente alla propria natura, pare non avere una fine.

Si tratta di disposizioni che sono andate a toccare, in pochissimo tempo e con esiti quantomeno dubbi, diritti fondamentali come la libertà, la vita, la salute, il lavoro, costituzionalmente garantiti e considerati colonne portanti di una comunità civile.

In particolare, attira l’attenzione il metodo che sottende a questa cascata normativa, che vorrebbe risolvere o contenere gli effetti dannosi del contagio da coronavirus attraverso continue (quasi programmate) limitazioni e restrizioni, dall’anno scorso subordinate, anche per lavorare e svolgere le più semplici attività, in modo sempre più evidente, alla mancata somministrazione di un “vaccino antiCovid19” (in particolare nelle versioni sperimentali a mRNA), di natura sperimentale e di composizione problematica, chiamato, sulla carta, a proteggere la popolazione, dalle fasce di età più avanzata, considerata più fragile, a quelle più giovani.

La realtà sta dimostrando, tuttavia, che il contagio, pur nelle forme dovute a varianti e nell’ipotesi che una copertura vaccinale possa parzialmente funzionare, non si sta placando, nonostante le misure prese, e il cosiddetto vaccino sta diventando uno strumento di governo e gestione del paese, modificando alla radice il tessuto sociale ed economico attraverso discriminazioni e ricatti.

Infatti, non si può non notare che lo Stato abbia usato la propria autorità e il potere legislativo e governativo per costringere, con mezzi violenti e minacciosi, quali la sottrazione del lavoro e del sostentamento economico e un gravissimo stigma sociale, alimentato da una faziosa comunicazione mediatica, i cittadini (almeno una parte) a subire un trattamento sanitario, che di per sé liberamente non avrebbero scelto, nonostante la sottoscrizione di un modulo del consenso, che rappresenta quasi solo una liberatoria.

In questo contesto di tensione e preoccupazione, non si può non esaminare, seppur sommariamente, qualche aspetto saliente di questi cosiddetti vaccini:

*sono prodotti ancora soggetti a sperimentazione, che terminerà nel 2023, secondo le comunicazioni ufficiali, e hanno suscitato un vivace dibattito anche all’interno del mondo sanitario, tanto che il Comitato internazionale per l’Etica della Biomedicina (CIEB), nel suo Parere in data 27 Dicembre 2021 sulla eticità della partecipazione del personale medico e sperimentatore alla somministrazione del vaccino antiCovid19, richiama il dovere del medico/sperimentatore di rispettare gli obblighi professionale di rigore, prudenza, professionalità, onestà intellettuale e integrità morale nella trasparenza delle decisioni adottate, nell’utilizzo delle conoscenze disponibili e nella presentazione dei risultati scientifici acquisiti (art. 4 Conv. Oviedo, art. 13 Dich. Univ. UNESCO 1997, art. 18 Dich. Univ. Unesco 2005), anche al fine di informare dei rischi di un intervento;

*non si escludono eventi avversi alla relativa somministrazione (https://www.aifa.gov.it/farmacovigilanza-vaccini-covid-19 ), nelle forme di patologie cardiache, respiratorie ed oncologiche, che fanno dubitare che la bilancia tra rischi e benefici sia sempre a priori a favore dei secondi;

*per la loro produzione si è fatto ricorso, in modo diretto od indiretto (https://www.ieb-eib.org/fr/actualite/recherche-biomedicale/recherche-medicale/vaccins-contre-le-coronavirus-et-utilisation-de-cellules-de-ftus-avortes-etat-des-lieux-1922.html; https://www.provitaefamiglia.it/blog/condanna-alluso-di-linee-cellulari-provenienti-da-feti-abortiti-per-i-vaccini-e-impegno-a-promuovere-il-cambiamento-del-sistema ), all’utilizzo di linee cellulari di feti provenienti da aborto volontario, tema, peraltro, su cui la legge si è già espressa garantendo il diritto all’obiezione di coscienza;

*non è ancora dimostrata la loro capacità di fermare il contagio o, almeno, ridurlo fortemente.

Anche con riguardo alla vaccinazione antiCovid19 è, dunque, possibile e fondata una obiezione di coscienza al relativo obbligo: è vero che nel nostro ordinamento non figura ancora alcuna norma ad hoc, ma già la l. 230/1998 ne ha parlato come diritto della persona, in combinato disposto con i principi costituzionali e, circostanza interessante, è l’ordinamento internazionale a consegnare ai cittadini due testi convenzionali molto utili.

Il primo è il Patto per i diritti civili e politici, firmato a New York in data 16 Dicembre 1966, entrato in vigore in Italia in data 23 Marzo 1976, che contiene norme sovraordinate e vincolanti rispetto alle norme nazionali, in particolare, l’art. 18 afferma che ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione.

Il secondo è il Patto per i diritti economici, sociali e culturali, sempre firmato a New York in data 16 dicembre 1966, entrato in vigore per l’Italia in data 23 marzo 2015, che sancisce l’importanza del divieto di discriminazione e il diritto al lavoro e ai mezzi di sussistenza indispensabili.

Non solo.

Questi testi accordano agli Stati la possibilità di derogare a taluni diritti, solo in casi eccezionali di emergenza e solo attraverso una specifica procedura di notifica al segretario ONU dello stato di emergenza stesso (con indicazione degli articoli in deroga), di cui all’art. 3 del paragrafo n. 29 del Commento in data 31 Agosto 2001 al Patto sui diritti civili e politici: è lo Stato che deve dimostrare che sussiste il bisogno di determinate misure restrittive e di godere di un buon equilibrio tra i suoi poteri, perché le autorità internazionali possono comunque esprimere giudizi sulla legittimità delle azioni di uno Stato membro.

L’Italia non ha mai attivato in questi ultimi due anni alcuna procedura di emergenza presso la segreteria Onu, che renda conformi i suoi provvedimenti restrittivi interni alle citate convenzioni europee.

Come l’opposizione di Antigone, pur con immensa sofferenza, riesce ad aprire una breccia nel fronte monolitico del governo di Creonte, così l’obiezione di coscienza all’obbligo vaccinale risulta, pertanto, un atto possibile, legittimo e anche doveroso, che va garantito costituzionalmente ed internazionalmente, a chi non ritiene, per motivi morali o religiosi, di sottoporsi ad un trattamento sanitario, pure contemplato in testi di legge in palese contrasto con la stessa Costituzione e con i Patti del 1966.

*avvocato in Monza

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