Lettera / Vocogno: perché punirci così? Forse perché siamo ancora cattolici?

Cari amici di Duc in altum, come sapete, questo blog sta seguendo passo passo la vicenda di Vocogno, dove i fedeli sono stati privati della Santa Messa vetus ordo. Alle cronache e alle testimonianze già pubblicate si aggiunge ora questa, davvero toccante. E che non ha bisogno di commenti.

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Carissimo Aldo Maria Valli,

mi chiamo Giovanni, ho trent’anni e vivo a Milano. Sono docente di storia e filosofia presso l’Istituto G. Leopardi di Lecco. Da poco più di due mesi felicemente sposato con Martina.

Sono grato di avere l’opportunità di scriverti, sebbene l’occasione sia per me causa di dolore.

Voglio raccontarti ciò che ho vissuto nella piccola parrocchia di Santa Caterina a Vocogno, appartenente alla Diocesi di Novara. Una chiesetta che fu costruita a fine Seicento per ospitare i circa duecento abitanti della frazione di Craveggia, uno dei sette comuni della Val Vigezzo.

Come già sai il 27 novembre, con l’inizio dell’Avvento, il vescovo Franco Giulio Brambilla ha stabilito che la nostra comunità non potrà più avere un tetto sopra la testa per celebrare la Santa Messa. Da domenica prossima la chiesa resterà sì aperta, ma vuota. I fedeli non avranno il permesso di accedervi: saranno costretti sulla strada; compresi i numerosi bambini, vecchi e donne incinte che sono certo continueranno a essere fedeli a quel luogo. E l’inverno è ormai giunto con rigore sui monti del Piemonte.

Tutto questo perché? Siamo forse ribelli o abbiamo mancato in qualche cosa? No, siamo semplicemente cattolici e amiamo la Chiesa, così come i nostri sacerdoti ci hanno sempre e pazientemente educati a fare.

Potrei riconoscere, a discolpa della decisione del vescovo, che siamo cattolici tradizionali, fedeli al rito tridentino, ma ahimè questo non può essere assolutamente riconosciuto quale motivo di rottura con la comunione alla Chiesa.

Potrei forse affermare che i nostri sacerdoti, don Alberto Secci e don Stefano Coggiola, siano colpevoli di indirizzarci su una cattiva strada che non rispetta pienamente la dottrina cristiana? No. In trent’anni, nei quali ho avuto la grazia di frequentare questo luogo – mi ricordo come fosse ieri l’emozione del giorno in cui, a sei anni, iniziai a fare il chierichetto – non ho mai sentito un giudizio o un’opinione che si discostasse da una santa e intelligente espressione di affezione alla Chiesa, al suo Magistero e a tutta la storia e Tradizione di cui Essa è custode, di gran lunga la ricchezza più inestimabile da salvare. Posso solo dire che questo amore, crescendo e maturando, mi ha contagiato: rimango ancora meravigliato dalla profonda vastità di tesori che, invece di trovar termine e sbiadire con l’abitudine, sempre più allargano l’orizzonte di una Verità soprannaturale che si profonde continua, in un eccesso di abbondanza.

Forse che siano presenti a Vocogno altri fedeli che richiedono un rito adeguato ai tempi, che la nostra comunità impedisce di celebrare? No, che io sappia nessuno ha mai avanzato questa richiesta o ha espresso questo disagio. E comunque a Craveggia o Toceno, a meno di un chilometro di distanza, e in tutta la valle, non farebbero fatica a trovare quello che cercano.

Allora cosa ci manca per essere considerati a pieno diritto cattolici al pari degli altri? Non lo so e non saprei dirlo, nemmeno dopo aver ripercorso con spirito di umiltà tutte le vicende trascorse. Forse allora siamo diventati scomodi proprio perché cattolici?

E ora mi riservo uno spazio per raccontarti qualcosa di più su di me e su questo luogo; su come si sia potuto giungere a un tale paradosso in cui una diocesi, ormai svuotata di vocazioni e fedeli, non riesca nemmeno a ritenerci degni di avere per riparo la chiesa più piccola e sperduta che si possa immaginare.

Come ti ho già detto, sono docente presso l’Istituto G. Leopardi di Lecco. Vivo a nord di Milano e da due anni mi faccio centoventi chilometri al giorno per poter lavorare. Avevo un contratto a tempo indeterminato in una grossa azienda di Milano e quando si è presentata l’occasione di insegnare ho dovuto scegliere tra la mia passione per l’educazione e la certezza di dover dimezzare il mio stipendio proprio nel momento in cui mi accingevo a sposarmi. Anche mia moglie Martina insegna a Gallarate e perciò dobbiamo fare un poco di economia domestica per arrivare a fine mese. Eppure ogni domenica non rinuncio a farmi 280 chilometri per assistere alla Santa Messa, ben sapendo che non è questione che riguarda il portafoglio. Perché lo faccio? Perché semplicemente a Vocogno ho trovato un posto per me, un luogo vivo e specifico in cui si parla di Cristo e che insegna il cristianesimo. E il valore di questo luogo non è minimamente ripagato dal mio misero investimento.

Questa chiesa sperduta tra i monti è un pezzo importante della mia storia e nutro una profonda affezione e gratitudine per i nostri sacerdoti.

I miei genitori comprarono una casa in Val Vigezzo prima della mia nascita e con i miei quattro fratelli ho sempre passato le vacanze in questa valle. Nel 1992, anno della mia nascita, arrivò a Vocogno un giovane prete, don Alberto Secci. Nel tempo, intorno al suo incessante lavoro e grazie a immani sacrifici – di cui solo poco riusciamo a immaginare -, affiancato e sostenuto dal suo amico don Stefano Coggiola, Vocogno è diventata un unicum, riuscendo a ottenere – non per caso, ma per la determinazione concreta di sacerdoti che mai hanno piegato la Verità a fronte di minacce o facili compromessi – la celebrazione della Messa esclusivamente in rito tridentino e in ogni giorno della settimana. Ne è nata una comunità in cui sono cresciuto e che per me rappresenta la viva Chiesa.

Avrei moltissimi esempi per confermare la vitalità e la verità di questo luogo. Innanzitutto i fedeli hanno riempito un luogo che altrimenti sarebbe rimasto desolato; e già questo fatto, che può sembrare banale, eppure parla di per sé. Molte persone, oltre a me, viaggiano per decine di chilometri per assistere alla Santa Messa tradizionale della domenica: da Varese, dalla Svizzera, da tutto il Piemonte e la Lombardia. Ricordo che il mio migliore amico e altri che non posso citare sono entrati in seminario grazie all’incontro con questi sacerdoti, e mi viene alla mente lo sforzo fisico che mia nonna non rinunciava a fare nemmeno a novant’anni pur di poter partecipare a questa Messa. Vedo ogni settimana decine di bambini e ragazzi, adulti, anziani che si ritrovano assieme in quel luogo, riconosco i volti e le storie di quanti, villeggianti e non, condividono questo amore per Cristo e la Chiesa e penso: è giusto tutto questo? Vale la pena lottare perché non muoia questo luogo?

Sì, vale la pena difendere – per una volta noi, fedeli rammolliti da troppa grazia ricevuta – i nostri sacerdoti che hanno dedicato ogni istante della loro vita all’opera di Cristo e che ora si trovano ripagati in questo modo, costretti a subire, con dolore di un padre a cui strappano la cura dei figli, l’abbandono di tutto.

Ho assistito all’ultima Messa domenicale e non nascondo che mi sono commosso in diverse occasioni. Come guardando i titoli di coda di un film, incredulo, ho visto dinanzi a me spegnersi le luci delle candele, ricoprire l’altare, togliersi le reliquie dei santi e chiudersi il messale. Cadeva la festa patronale e Santa Caterina d’Alessandria stava anche lei a guardare nella sua nicchia al centro dell’abside. Ho pianto un poco per me, rimasto orfano della mia casa per le decisioni di uomini di chiesa che hanno tradito la vera Chiesa, che è Madre; ma ancora più ho pianto sentendo l’amen del Credo, perché ho pensato fosse lo scrigno che racchiudeva tutta la gloriosa storia della Chiesa: non risuonerà più in canto di lode tra quelle mura? Ho pianto nel vedere i sacerdoti eroicamente – anzi serenamente! – accettare il loro martirio e ancora una volta curvarsi a consolare e indicare, a noi smemorati fedeli, la verità della nostra fede che è la Croce. Ho visto Cristo, nella Sua dignità e maestà, e la Chiesa ancora una volta perseguitati e dileggiati.

Ma serve a qualcosa questo piangere? Abbiamo inondato la Diocesi di lettere per richiamare l’attenzione del vescovo: nessuno ha risposto. Nessuno. Siamo andati di persona in Curia per chiedere ragione di questa decisione: siamo stati letteralmente trascinati alla porta.

E poi che succederà? Il mondo si rivolgerà ad altro indifferente, sarà forse l’interesse di un momento. Noi lotteremo sempre per Cristo. E chiederemo perdono dei nostri e altrui peccati; ai piedi di lui, il Crocefisso; moriremo con lui e per lui nell’indifferenza generale, per dirgli che almeno noi non vogliamo abbandonarlo.

Ti ringrazio,

Giovanni

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