Kwasniewski / Il mio viaggio dall’ultramontanismo al cattolicesimo. 2

Il mio viaggio dall’ultramontanismo al cattolicesimo. Si intitola così il testo di Peter Kwasniewski apparso originariamente in lingua inglese come una serie in tre parti nell’edizione cartacea di Catholic Family News (numeri di novembre 2020 e gennaio 2021). Il saggio, poi pubblicato integralmente nell’edizione digitale della stessa rivista, è l’estensione di una conferenza tenuta da Kwasniewski il 20 settembre 2020 presso la chiesa cattolica di Santo Stefano d’Ungheria ad Allentown, in Pennsylvania, un apostolato della Fraternità Sacerdotale San Pietro.

Kwasniewski mi inviato la traduzione italiana del testo, che Duc in altum vi propone in tre puntate. Dopo quella pubblicata ieri, ecco la seconda.

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di Peter Kwasniewski

La prima puntata si è conclusa con la valutazione realistica e critica dei lavori del Concilio Vaticano I da parte di John Henry Newman, che ne accettava totalmente i dogmi ma che esprimeva delle riserve sul suo “spirito”, se così si può dire. La definizione dell’infallibilità papale avrebbe spinto i papi a comportarsi come oracoli divini, a mettere in bella mostra i loro muscoli magisteriali davanti ad ogni argomento sotto il sole?

“Fatevi sotto”, risponderebbe con sicurezza un blog chiamato Where Peter Is. Where Peter Is pubblica il lavoro di ardenti difensori di Papa Francesco e, si può dire, di tutto ciò che è papale. Sono, per intenderci, coloro che non sono mai incappati in un papato che non gli piacesse. Se siete a corto di penitenze creative, potete visitare il sito, ma solo se non soffrite di pressione alta o di PTSD (Post-Tridentine Stress Disorder, Disturbo da Stress Post-Tridentino).

Riconoscendo che il cattolicesimo è intrinsecamente una religione della Tradizione, Where Peter Is evita l’imbarazzo della contraddizione evidente tra l’insegnamento magisteriale precedente e la “creatività” di Francesco, sostenendo che Tradizione significa in realtà “qualsiasi cosa dica il Papa”[1]: la Tradizione non è qualcosa di dato nel passato o di cumulativo, bensì qualcosa di costituito dall’approvazione del Papa qui e ora. Pertanto, i cattolici devono dare il loro assenso all’Amoris laetitia, all’abolizione della pena di morte, alla fraternità umana tra una pluralità di religioni volute da Dio[2], e ad ogni altro tipo di novità “proposta” dal Papa.

L’Ex nihilo papale

Il cuore di questa tesi è l’affermazione che il Papa e i vescovi sono gli “interpreti della Tradizione”, tanto che non possiamo nemmeno sapere quale sia la dottrina cattolica se non ci viene detta dal Papa e dai vescovi. Essa non ha alcuna esistenza in sé, se non viene riconosciuta ed esposta da loro. Ed è sufficiente che loro ci dicano che qualcosa è dottrina cattolica, o in qualche modo “parte della Tradizione” (anche se risulta molto diverso da ciò che altri papi e vescovi hanno insegnato, o anche se non è mai stato detto prima da nessuno) e va bene così, perché la Tradizione è, alla fin fine, qualsiasi cosa il Papa e i vescovi attuali ci dicano che è (o non è).

Secondo questa teoria, nessuno mai potrebbe essere in legittimo disaccordo con un Papa, perché costui metterebbe la propria “interpretazione privata” contro l’interprete istituito da Dio. Questo marchio di ultramontanismo, come le arringhe dei miei giorni universitari citate in precedenza, eleva tutte le dichiarazioni e le politiche papali ad enunciati autorevoli che per fede dovrebbero essere ritenuti la volontà di Dio per noi oggi e, di conseguenza, non dovrebbero mai essere criticati.

Il problema di fondo di questo approccio è che rende vana qualsiasi pretesa di coerenza di insegnamento da parte della Chiesa cattolica. Se sulla legittimità della pena capitale si può ottenere l’unanimità dai tempi dell’Antico e del Nuovo Testamento fino al XXI secolo, ma poi Papa Francesco può improvvisamente dichiararla contraria al Vangelo e alla dignità umana (come fa molto chiaramente nel suo discorso dell’11 ottobre 2017[3]), dove siamo? A che punto siamo arrivati? Questo modo di argomentare svuota il cattolicesimo di qualsiasi contenuto oggettivo e rende il Papa più il padrone che il servitore della Tradizione. C’è qualcosa che non va se un Papa un bel giorno può fare una dichiarazione che rende inaccurata o inutilizzabile un’intera biblioteca piena di scritti catechetici, apologetici, teologici e spirituali precedentemente approvati.

Quanto è diversa l’interpretazione di Papa Benedetto XVI che in un’omelia del 2005, spesso citata, ha detto:

«Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato di servizio. La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede. Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo. …  Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode[4]». (corsivo aggiunto)

Questo è ciò che i cattolici ben istruiti hanno sempre creduto essere il ruolo del papato. Si dava per scontato che il Papa avrebbe reso i suoi atti di insegnamento e di governo conformi ad una Tradizione preesistente, disposizione divina a beneficio di tutti i credenti.

Nessuna nuova dottrina, dice il Vaticano I

Ricordiamo le parole chiare e rassicuranti del Concilio Vaticano I:

«Lo Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede[5]».

Questa visione fornisce la base su cui il Terzo Concilio di Costantinopoli (680-681 d.C.) – il sesto dei concili ecumenici – si ritenne qualificato ad emettere una chiarissima condanna e anatematizzazione del defunto Papa Onorio (625-638). Gli atti conciliari furono firmati da 174 padri conciliari e dalle cinque sedi patriarcali, tra cui soprattutto quella di Roma, dove Papa Leone II (682-683) approvò l’anatema, lo ripeté nei propri scritti e ordinò a tutti i vescovi occidentali di sottoscriverlo[6]. Questa visione spiega anche l’ombra che in Occidente grava sul nome di Papa Liberio (352-366), in quanto Papa vacillante, che incoraggiò i nemici della fede[7].

Gli ultramontanisti delle origini potevano essere perdonati a causa del loro entusiasmo. La maggior parte dei papi della Controriforma e dei periodi post-rivoluzionari in Europa sono stati solidamente impegnati nel dogma, nella liturgia e nella morale tradizionali; i papi da Gregorio XVI a Pio XI, in particolare, sono stati antimoderni (o antimodernisti) fino al midollo. Sono stati gli eroi che hanno combattuto la deriva del secolarismo totale. Purtroppo oggi siamo in una situazione molto diversa. Chi legge la grande enciclica di Papa San Pio X del 1907 contro il modernismo, Pascendi Dominici Gregis, difficilmente potrà non riscontrare nelle parole di Papa Francesco e dei suoi sostenitori le opinioni che egli condanna[8].

Si noti l’attenzione con cui Benedetto XVI, nella citazione sopra riportata, sceglie ogni parola. Dice: “La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede”. In altre parole, non si tratta di qualcosa di involontario, come il movimento di riflesso di un ginocchio che viene colpito con il martello di gomma da un medico. Ogni vescovo, compreso il vescovo di Roma, deve sottomettersi volontariamente con la mente e con il cuore alla fede, e nel vasto ambito delle dichiarazioni, delle decisioni e delle azioni che esulano dai confini dell’infallibilità papale, come definita dal Vaticano I, può venir meno a questo impegno. Se l’incapacità di un Papa di sottomettersi alla Sacra Tradizione e di difenderla strenuamente è sufficientemente nota, essa richiede condanna e resistenza – un punto su cui tornerò tra poco.

Papa Benedetto prosegue: “Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo”. In questo “deve” è implicito un “dovrebbe”: non dovrebbe proclamare le proprie idee, ma scegliere di legare se stesso e la Chiesa a ciò che è vero, indipendentemente dalle pressioni delle élite progressiste[9]. Benedetto insiste anche sul fatto che il Papa dovrebbe evitare che la Parola di Dio “venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode”. Probabilmente Paolo VI non ha mai ricevuto questo promemoria. In quasi tutti i settori della vita della Chiesa, egli ha tentato di cambiare ciò che i suoi predecessori, compresi i papi immediatamente precedenti, avevano stabilito[10]. Anche Francesco, come Paolo VI, ha tentato, direttamente e indirettamente, di ribaltare il magistero dei suoi predecessori. Lo si può vedere nel suo approccio a Veritatis splendor sugli assoluti morali, a Familiaris consortio sull’indissolubilità del matrimonio, a Humanae vitae sulla contraccezione e a molto altro ancora[11].

Anche i cattivi vescovi restano vescovi

Nel IV secolo, durante la crisi ariana che pervase la Chiesa, la maggior parte dei vescovi smise di difendere la Tradizione cattolica. Per dirla senza mezzi termini, essi erano eretici o codardi. Sant’Atanasio di Alessandria, Sant’Ilario di Poitiers e pochi altri, che oggi veneriamo come confessori della fede, sostenevano che i loro fratelli vescovi, a centinaia, erano dei rinnegati.

Questo significa che tutti quei vescovi cessarono di essere successori degli Apostoli? No. Che persero la loro autorità di governo? No. Rimanevano ciò che erano stati divinamente ordinati ad essere. Ma non vivevano all’altezza delle esigenze del loro ufficio, non vivevano secondo il carisma della verità che era stato loro affidato. Grazie al sensus fidei, o istinto divino per la verità, i fedeli erano in grado di individuare la differenza tra ariani e cattolici; evitavano volutamente i primi e cercavano i secondi. Sant’Atanasio fu fedele all’ufficio che Cristo gli aveva affidato, ma fu cacciato più volte dalla sua sede dai suoi avversari e morì per i maltrattamenti subiti da ariani e semi-ariani che avevano l’appoggio di “successori degli Apostoli”. I laici sostenevano Atanasio perché riconoscevano nella sua dottrina la verità della fede proclamata immutabilmente a Nicea.

Il fatto di essere stato investito di un ufficio apostolico rende un vescovo degno di onore e di obbedienza, ma non toglie che egli debba continuare a lavorare alla propria salvezza “con timore e tremore” (Filippesi 2,12), come tutti gli altri. Egli deve ancora professare la fede, con un atto di libera volontà sostenuto dalla grazia di Dio. Deve ancora sottomettersi alla stessa Tradizione a cui devono sottomettersi tutti gli altri cattolici, dal giorno della Pentecoste alla Seconda Venuta[12]. E, se mi è permesso dirlo, può sbagliare alla grande, proprio come tutti noi. Come dice la Scrittura, i potenti, se falliscono, “saranno fortemente tormentati” (Sapienza 6,6). Non per niente Dante mette nel suo Inferno papi e vescovi.

Si può condannare o resistere a un Papa?

Poco fa ho parlato di condanna e resistenza. Voglio chiarire questo punto perché è molto importante.

La “condanna” dell’errore papale da parte di un laico, o di un semplice sacerdote, o anche di un vescovo diocesano, non potrebbe mai essere un giudizio definitivo, come il giudizio postumo che il Terzo Concilio di Costantinopoli emise su Onorio. Essa potrebbe essere solo un’espressione rispettosa della propria convinzione coscienziosa, basata su criteri oggettivi, che un Papa si sia smarrito.

A maggior ragione sarebbe impossibile per i laici o il clero concludere che un Papa ha cessato di essere tale o che non lo è mai diventato[13]. Chiunque regni come Papa, riconosciuto tale dall’unanimità o dalla gran parte dei cardinali, dei vescovi e dei fedeli, deve essere sopportato, nel bene e nel male. Sebbene sia teoricamente possibile che un “concilio imperfetto”, composto da tutti i cardinali o da tutti i vescovi, possa dichiarare che un Papa, a causa della sua contumace adesione all’eresia o della sua apostasia, è stato ipso facto deposto da Dio, io non ho ancora incontrato una sola persona che creda effettivamente che tutti i nostri attuali cardinali o vescovi, o anche solo un numero rappresentativo di essi, si riuniranno mai a questo scopo. Quindi la questione, per quanto affascinante, è irrilevante.

Alcuni neo-ultramontanisti contestano il fatto che ogni cattolico, di qualsiasi grado, possa condannare o opporsi a un Papa nel suo insegnamento o nelle sue decisioni discrezionali. Nelle citazioni di eminenti e approvati teologi cattolici possiamo vedere come l’approccio dei nostri antenati a questa questione fosse più spiccio.

È noto che, parlando della correzione fraterna nella Summa, San Tommaso d’Aquino dice: “Se la fede fosse in pericolo, i sudditi sarebbero tenuti a rimproverare il loro prelato anche pubblicamente”.[14] Un secolo dopo, il cardinale Juan de Torquemada (1388-1468) afferma: “Se il Papa comandasse qualcosa contro la Sacra Scrittura, o gli articoli di fede, o la verità dei Sacramenti, o i comandi della legge naturale o divina, non gli si dovrebbe obbedire, ma in tali comandi è da ignorare.”[15]

Resistergli in faccia

Tommaso De Vio, noto come il Cardinal Caetano (1469-1534), tomista rinascimentale, nato un anno dopo la morte di Torquemada, sentenzia: “Bisogna resistere, in faccia, ad un Papa che sta apertamente lacerando la Chiesa – per esempio, rifiutando di conferire i benefici ecclesiastici se non in cambio di denaro o di servizi… Un caso di simonia, anche se commesso da un Papa, deve essere denunciato”[16]. Caetano sta parlando della simonia, che ovviamente era un problema enorme nei secoli passati; ma è ben lungi dall’essere il peccato peggiore o il problema più grande. L’imposizione di una disciplina dannosa, come la promulgazione di una liturgia valida ma inadeguata e inautentica, o un attacco all’integrità della dottrina, è certamente peggiore della simonia.

Uno dei più grandi teologi gesuiti, Francisco Suárez (1548-1617), dichiara: “Se il Papa emette un ordine contrario ai giusti costumi non si deve obbedire; se cerca di fare qualcosa di manifestamente contrario alla giustizia e al bene comune, sarebbe lecito resistergli; se attacca con la forza, lo si può respingere con la forza, con la moderazione caratteristica di una buona difesa”[17].

Silvestro Mazzolini da Prierio (1456–1523), “teologo domenicano, nominato Maestro del Sacro Palazzo da Papa Leone X e noto per la sua dettagliata confutazione delle 95 tesi di Lutero”[18], si esprime con parole particolarmente vigorose:

«In risposta alla domanda: “Che cosa si deve fare nel caso in cui il Papa distrugga la Chiesa con le sue azioni malvagie?” [rispondo]: “Certamente peccherebbe; non gli si deve permettere di agire in questo modo, né gli si deve obbedire in ciò che è malvagio; ma gli si deve resistere con una cortese repressione… Egli non ha il potere di distruggere; perciò, se ci sono prove del fatto che lo sta facendo, è lecito resistergli. Il risultato di tutto ciò è che se il Papa distrugge la Chiesa con i suoi ordini e i suoi atti, gli si può resistere e impedire l’esecuzione dei suoi ordini. Il diritto di resistenza aperta all’abuso di autorità dei prelati deriva anche dalla legge naturale”[19]».

Allo stesso modo, san Roberto Bellarmino (1542-1621), Dottore della Chiesa e preminente teologo della Controriforma, ha scritto:

«Com’è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, così pure è lecito resistere a quello che aggredisce le anime o perturba l’ordine civile, o, soprattutto, a quello che tenta di distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli non facendo quello che ordina ed impedendo la esecuzione della sua volontà: non è però lecito giudicarlo, punirlo e deporlo, poiché questi atti sono propri di un superiore[20]».

In quest’ultima frase, Bellarmino è rigorosamente corretto: nessuno sulla terra potrebbe deporre un Papa, poiché è solo un inferiore che può essere deposto dal suo superiore. Tuttavia, come abbiamo detto prima, è possibile che un “concilio imperfetto” di cardinali e/o vescovi possa dichiarare che un Papa noto per essere formalmente eretico sia stato deposto da Dio onnipotente, perché sicuramente nessuno crede che Dio non sia superiore al Papa (mi hai sentito, Where Peter Is?).

Bisogna studiare

Ci sono stati casi, nella storia della Chiesa, in cui è stata chiesta la condanna e si è opposta resistenza? Assolutamente sì: decine di volte. Il libro più facile da leggere, più interessante e più importante sull’argomento è Love for the Papacy and Filial Resistance to the Pope in the History of the Church di Roberto de Mattei, pubblicato da Angelico Press nel 2019, con prefazione del cardinale Raymond Burke. Per quanto io possa consigliare la lettura di questo libro, non lo farò mai abbastanza. Raccomando anche Phoenix from the Ashes: The Making, Unmaking and Restoration of Catholic Tradition di Henry Sire, pubblicato anch’esso da Angelico nel 2015.

A volte ai cattolici tradizionali viene posta l’obiezione: “Dobbiamo essere tutti teologi e storici per poterci orientare nella Chiesa di oggi? Non è certo questo che Gesù aveva in mente. Voleva una fede e una fiducia semplici”. Questa obiezione è vera per un verso e falsa per un altro. È vera nel senso che la fede cattolica è effettivamente accessibile a tutti e in ogni momento: ciò che dobbiamo sapere e fare per essere salvati è misericordiosamente ben definito. Lo troviamo nei Credo e nei Comandamenti insegnati dalla Chiesa in tutti i suoi vecchi e affidabili catechismi. In tal senso, chi conosce il catechismo sa qual è la verità e come arrivare in Paradiso.

Tuttavia, ci troviamo in un periodo unico nella storia. Mai i principi fondamentali del Credo, i Comandamenti basilari di Dio e il culto divino tradizionale della Chiesa sono stati così aggrediti, lacerati e compromessi come nei tempi moderni, in particolare con l’ondata di modernismo subito prima del Concilio Vaticano II, durante il suo svolgimento e dopo di esso. Ciò che i cattolici di un tempo avevano il lusso di dare per scontato, ciò che ogni vescovo e pastore insegnava dal pulpito, ciò che ogni catechismo con l’imprimatur avrebbe contenuto, oggi non può più essere dato per scontato quando entriamo in una chiesa, prendiamo in mano un documento o compriamo l’ultimo catechismo. Per questo motivo è nostro dovere, più di quanto non lo sarebbe normalmente per i laici in un periodo sano, studiare la nostra fede, comprendere almeno i rudimenti della rivoluzione che si è verificata e aggrapparci al cattolicesimo che i santi hanno vissuto e tramandato, facendolo con fede semplice e con fiducia.

I cattolici che protestano contro le novità di Francesco non stanno contrapponendo il loro “giudizio privato” al “giudizio di Dio”. Piuttosto, tali cattolici stanno guardando alla testimonianza di venti secoli, ventuno concili e duecentosessantacinque papi precedenti a questo e vedono contraddizioni su qualsiasi punto, facendo uso del dono divino della ragione, che – contrariamente a quanto dice il cheerleader papale padre Antonio Spadaro, S.J. – può effettivamente dirci in modo infallibile che due più due fa quattro e non può fare cinque.

[1] Vedi Mike Lewis, Followers of the Imagisterium, (Where Peter Is, 24 gennaio 2019).

[2] Vedi John Lamont, Francis and the Joint Declaration on Human Fraternity: A Public Repudiation of the Catholic Faith (Rorate Caeli, 10 febbraio 2019).

[3]Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione (11 ottobre 2017).

[4] Benedetto XVI, Omelia per la Messa di insediamento sulla Cathedra Romana (7 maggio 2005).

[5] Pio IX, Costituzione dogmatica Pastor Aeternus (18 luglio 1870), cap. IV.

[6] Vedi Roberto de Mattei, Love for the Papacy and Filial Resistance to the Pope (Brooklyn, Angelico Press, 2019), p. 26.

[7] Vedi Claudio Pierantoni, La necessaria coerenza del Magistero con la Tradizione: gli esempi nella storia (La Nuova Bussola Quotidiana, 22 aprile 2017).

[8] Vedi Peter Kwasniewski, Pius X Condemns Modernism: Relevant Then, Relevant Now (OnePeterFive, 3 settembre 2018).

[9] Vedi Peter Kwasniewski, The pope’s remarks about sex ed are either naïve or nefarious (LifeSiteNews, 30 gennaio 2019).

[10] Vedi Peter Kwasniewski, The New Synthesis of All Heresies: On Nietzschean Catholicism (OnePeterFive, 16 maggio 2018).

[11] Vedi Peter Kwasniewski, Two strategies enemies within Church will use to abandon Humanae Vitae (LifeSiteNews, 30 gennaio 2018).

[12] Vedi Peter Kwasniewski, Why Catholicism is necessarily dogmatic, with a definite content (LifeSiteNews, 12 febbraio 2019).

[13] Nessun individuo privato o laico cattolico ha il diritto o l’autorità di dichiarare, in modo universalmente vincolante ed efficace, che un certo vescovo o Papa è deposto per apostasia, eresia o scisma. Possiamo riconoscere le eresie, denunciarle, rifiutarci di adottarle e avvertire gli altri di essere prudenti, ma alla fine deve essere un vescovo (come ad esempio un arcivescovo metropolita) a correggere e deporre un vescovo, e un concilio ecumenico, o almeno un “concilio imperfetto”, ad affrontare e ammonire un Papa eretico, e a dichiararlo deposto da Dio se l’eresia non viene rinnegata – autori autorevoli, tuttavia, sostengono che nemmeno questo ricorso sia possibile, e che dobbiamo resistere soffrendo, cfr. Athanasius Schneider, On the question of a heretical pope (Rorate Caeli, 20 marzo 2019). Se un Papa è eretico, noi sappiamo ciò che noi dobbiamo fare, ed è davvero tutto ciò che possiamo fare. Il suo status deve essere giudicato dal collegio cardinalizio o dall’episcopato. Non si può giocare su questa questione: si tratta di onorare la costituzione apostolica e gerarchica della Chiesa. Che i nostri vescovi stiano facendo un ottimo lavoro o un lavoro deplorevole, si tratta comunque del loro lavoro. In questo momento stanno facendo un pasticcio assoluto, è vero, ma ciò è comunque in capo a loro, e dobbiamo pregare per loro affinché trovino coraggio e saggezza.

[14] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 33, art. 4, ad. 2. Questa e le altre citazioni sullo stesso tema sono tratte da Paul Casey, Can a Catholic Ever Disobey a Pope? (OnePeterFive, 17 luglio 2020).

[15] Juan de Torquemada, Summa de Ecclesia.

[16] Tommaso De Vio, De Comparatione Auctoritatis Papae et Concilii.

[17] Francisco Suárez, De Fide, disp. X, sez. VI, n. 16.

[18] La descrizione è di Paul Casey (op. cit.).

[19] Silvestro Mazzolini da Prierio, Dialogus de Potestate Papae, in Francisco de Vitoria, Obras, pp. 486-7. Lo stesso Francisco de Vitoria (1483-1546) afferma: “Se il Papa con i suoi ordini e i suoi atti distrugge la Chiesa, gli si può resistere e impedire l’esecuzione dei suoi ordini”.

[20] Roberto Bellarmino, De Romano Pontifice, libro 2, cap. 29, risposta 7.

2.continua

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