Il caso del Nicaragua e quella verità da dire tutta intera

Mi è capitato di recente di ascoltare una interessante omelia durante la quale il bravo sacerdote ha parlato del Nicaragua e del dramma della Chiesa perseguitata in quel martoriato Paese del Centro America.

L’occasione è stata data dal fatto che il vescovo nicaraguense Rolando Álvarez, liberato dopo un anno e mezzo di detenzione nelle carceri del regime di Managua, è stato ospite in alcune località italiane, nell’ambito di un giro di visite in corso per incontrare sacerdoti e seminaristi del Nicaragua che prestano servizio e studiano nel nostro Paese.

Durante l’omelia il celebrante ha stigmatizzato il comportamento del regime nicaraguense, ma soprattutto ha raccontato di come, per il vescovo Álvarez, l’esperienza del carcere e della persecuzione sia stata purificatrice e chiarificatrice. È stato lo stesso vescovo a confidarlo agli amici italiani: se prima, in quanto pastore, dava molta importanza alle opere da lui realizzate (seminari, scuole, strutture varie) e poteva pensare che tutto dipendesse da lui e dalla sua iniziativa, una volta rinchiuso in quella cella, isolato dal mondo e impossibilitato ad avere notizie da fuori, ha avvertito che l’unica cosa che veramente conta è fondare la vita in Gesù. Lo spunto per la riflessione è arrivato dal Vangelo letto domenica  8 settembre nella liturgia ambrosiana (Gv 5,37-47): “Ma voi non volete venire a me per avere vita… E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?”.

Commento del sacerdote: troppo spesso anche noi cerchiamo di ottenere gloria gli uni dagli altri, ma così facendo ci preoccupiamo della superficie, senza andare alle fondamenta.

Tutto vero. Mi permetto tuttavia di aggiungere, senza alcun intento polemico ma solo per completare il quadro, che il regime di Managua, così oppressivo nei confronti della Chiesa, nacque purtroppo con la collaborazione della Chiesa stessa. Come ha ben spiegato un articolo pubblicato da Duc in altum tempo fa [qui], il tiranno Daniel Ortega fu portato al governo proprio dalla Chiesa cattolica, o meglio dai settori della Chiesa allineati con la Teologia della liberazione, allora (1979) egemone.

In Nicaragua infatti il movimento della Teologia della liberazione riuscì a impadronirsi del potere, in alleanza con le forze comuniste del Fsln (Frente Sandinista de Liberación Nacional, utilizzando le famigerate Comunità ecclesiali di base che avevano l’obiettivo di trasformare i fedeli cattolici in rivoluzionari marxisti. Il risultato di questa simbiosi fra Teologia della liberazione e comunismo fu la vittoria militare del Frente, e la collusione della Chiesa col sandinismo fu tale che nel primo governo sandinista c’erano ben tre sacerdoti: padre Miguel d’Escoto, ministro degli Esteri; padre Ernesto Cardenal, ministro della Cultura, e padre Fernando Cardenal, ministro dell’Istruzione. Insomma, fu la Chiesa cattolica, o meglio la corrente della Teologia della liberazione, allora dominante, a portare Daniel Ortega al governo, facendo un patto col diavolo, ossia col comunismo.

Il bravo sacerdote che ha tenuto l’omelia ha sottolineato che i preti e i seminaristi del Nicaragua riparati in Italia sono ora sotto la protezione del papa, e non metto in dubbio che sia così. Ma anche in questo caso, per completezza, ricordo che papa Bergoglio è un illustre rappresentante di un filone teologico, la Teología del pueblo, analogo sotto molti aspetti a quella Teologia della liberazione che diede un contributo decisivo alla nascita del regime totalitario oggi schierato contro la Chiesa.

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Nella foto, agenti della Policía Nacional schierati davanti a una chiesa cattolica in Nicaragua

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