Caro Aldo Maria…
di Aurelio Porfiri
Caro Aldo Maria,
nella tua precedente lettera parli della liturgia, e ovviamente con me sfondi una porta non aperta, ma proprio spalancata.
Dopo lunga riflessione, sono arrivato alla conclusione che il processo in atto, molto delicato, vada affrontato, se possibile, nel suo insieme piuttosto che nel particolare.
Sai che per un medico il paziente peggiore non è tanto quello che ha malattie pesanti, ma quello che pensa di non aver bisogno di cure. Purtroppo è ciò che accade anche alla liturgia. A preoccupare non sono tanto gli abusi (semmai questi ci mettono tristezza) ma il fatto che non ci si renda conto di come la liturgia sia stata veramente degradata. A mio avviso gli abusi sono epifenomeni certamente gravi, ma il fenomeno preoccupante è direi a livello psicologico. Non si riesce a uscire da questa impasse chiamata “postconcilio”.
Non intendo qui mettermi a polemizzare sul Concilio. Ritengo che proprio il “postconcilio” in quanto tale meriti una trattazione come categoria a sé stante.
Se ci rifletti, ti rendi conto che questo arroccarsi dietro a certe categorie in realtà è dovuto a meccanismi, insiti nei sistemi, che servono per autoproteggersi. Ecco così che, nonostante papa Francesco inviti la Chiesa a essere “in uscita”, non si riesce a uscire da certe ideologie consolidate, come quella, appunto, “postconciliare”. E preciso che distinguo il postconcilio come fatto storico dal postconcilio come ideologia.
So che su papa Francesco tu sei assai critico. Credo però che in vari frangenti del suo governo egli abbia veramente tentato di scardinare certi meccanismi all’interno della Chiesa, purtroppo senza avere successo. Certo, sull’efficacia delle sue mosse possiamo discutere. A mio avviso comunque ha tentato di mettersi di traverso rispetto a un certo sistema. Ma il sistema è quasi sempre più forte, anche del papa. E questa forza del sistema è ciò che ne garantisce il funzionamento, fosse anche quello che può condurre alla distruzione.
La liturgia fa parte dello stesso problema. C’è chi per difendere il sistema “postconciliare” impedisce una presa di coscienza seria sulla situazione attuale pur andando contro i documenti dello stesso Concilio.
Se tu ti lamenti di quello che è diventata la liturgia, io che dovrei dire? Ecco perché cerco di andare al cuore del problema. Hai ragione, viviamo in tempi di enormi sfide e la Chiesa è oramai avvitata su sé stessa. Allora dobbiamo comprendere qual è il nostro compito in questo frangente così delicato. Da una parte c’è la testimonianza della verità che però non va intinta nel rancore e nel risentimento. A chi giova cercare di buttare giù tutto? Dall’altra dobbiamo cercare un sano distacco, che non vuol dire abbandono. Ci sono alcuni laici che sembrano intossicati dall’incenso e vagabondano da una chiesa all’altra in cerca di preti da tampinare. Bisogna comprendere che lì ci sono problemi a monte, problemi che vanno affrontati forse in luoghi diversi dalle sacrestie. Eppure, come dico da tempo, questi “laici da sacrestia” vengono quasi incoraggiati, mentre invece andrebbero aiutati a comprendere la loro vera vocazione e, nel caso, l’aiuto di cui hanno bisogno.
Come forse ti ho già detto, ricordo una buona suora cinese che dopo aver ascoltato le mie lamentele sulla inettitudine dei preti che ci circondavano mi suggerì di ricordarmi che, comunque, noi abbiamo sempre Gesù. In effetti, giorno dopo giorno, il mio rapporto con Lui diviene sempre più esclusivo e le mie domande più angoscianti solo in Lui possono trovare risposta.
Continua
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