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La tunica strappata e la ricerca del nuovo Pietro

di El Wanderer

Una prima osservazione che dobbiamo fare è che Francesco ha avuto il buon senso di morire quando è morto, e non prima. In un anno le cose sono cambiate parecchio nel mondo. Si sente un’aria più conservatrice rispetto a qualche mese fa; segni dei tempi che, ovviamente, hanno un riscontro politico: la vittoria di Trump, la crescita esponenziale dell’AfD in Germania e di Marine Le Pen in Francia, il rafforzamento di Meloni e Milei, l’ascesa di Johannes Kaiser in Cile sono segni evidenti che il mondo, dopo decenni di progressismo, sta tornando a posizioni più conservatrici, e la Chiesa, nel corso della sua storia, ha sempre saputo muoversi nei cambiamenti epocali.

Mettiamola così. Se fino a un anno fa era plausibile che venisse eletto papa un candidato decisamente progressista, oggi penso che sia impossibile. Non è tempo di fare esperimenti, né nel mondo e tanto meno nella Chiesa stessa. Non ci sarà un Francesco II; i cardinali – che si collochino più a destra o più a sinistra – sanno che un altro pontificato come quello di Bergoglio significherebbe un suicidio; prima o poi ci sarebbe uno scisma, o due o tre.

Ma c’è un altro elemento. Nell’ultimo anno e mezzo del suo pontificato, Bergoglio ha fatto errori grossi. La nomina di un personaggio insignificante come il cardinale Fernández al posto che era stato di Ratzinger è stata vista da molti, e non solo dai conservatori, come un affronto. E questa opinione è cresciuta dopo lo scandalo mondiale causato dalla rivelazione che era l’autore di libri porno. E, infine, la promulgazione della Fiducia supplicans, con le sue note esplicative e le spiegazioni alle note esplicative, è stata un boccone molto amaro per gran parte dei vescovi. Nessuno oserebbe scegliere, per esempio, il cardinale Tagle per paura che tra qualche mese porti un pittoresco curato filippino a custodire la dottrina della Chiesa.

Un altro errore che Bergoglio ha fatto e i cardinali non hanno dimenticato è la spietata decapitazione di tutti i vescovi, sacerdoti e istituti religiosi che si opponevano a lui o che, per qualche motivo, non gli andavano a genio. Al di là del fatto che, per esempio, gran parte dell’episcopato americano non fosse d’accordo con monsignor Strickland, a tutti è sembrato molto brutto che fosse stato allontanato dalla sua sede solo perché non piaceva al tiranno di Roma. Un gesto che molti hanno considerato troppo “indietrista”. È vero che in un tempo lontano i papi erano soliti gettare i loro nemici dalla finestra di Castel Sant’Angelo, ma queste cose non sono più ben viste.

Questa è una realtà che non solo possiamo cogliere con l’esercizio dell’intelligenza, ma, come ho detto, si sente nell’aria. E, con un po’ di senso di colpa, devo dire che ne godo. I commenti e le facce dei giornalisti progressisti di stanza in Vaticano sono molto eloquenti: sanno che non ci sarà un Francesco II. E i “vaticanologi” che sanno davvero sanno che l’era Bergoglio è finita. Abbiamo già parlato qui dell’intervista di Piqué a Giovanni Maria Vian, e molto eloquente è quella di Rubin a monsignor Sánchez Sorondo. Questo essere indegno, che da profondamente conservatore si è trasformato nel più francescano dei francescani, circondando il papa di personaggi come il losco Gustavo Vera, il marxista fuori tempo massimo Juan Graobis e il miserabile giudice Roberto Gallardo, ora ha detto in sostanza che papa Francesco ha causato divisioni nella Chiesa e che la colpa, in realtà, è del cardinale Tucho Fernández. Questo modo così evidente di schierarsi fa capire che lui sente con una certa sicurezza che le cose stanno per cambiare, e forse in modo piuttosto drastico.

Si dice, e io penso sia vero, che i cardinali, nelle congregazioni generali, fanno il punto della situazione della Chiesa, che più o meno già conoscono, stabiliscono di cosa ha bisogno e poi cercano l’uomo che può fornire l’occorrente. E anche se sono tanti i problemi che la Chiesa sta affrontando oggi, e uno non da poco è il fallimento in cui il defunto ha lasciato il Vaticano, tutti saranno d’accordo che il problema più grave e urgente è la divisione e confusione causata dal pontificato dell’argentino. Ci troviamo di fronte a una tunica strappata in mille pezzi, quasi irriconoscibile. I cardinali cercheranno quindi il profilo di un candidato in grado di iniziare e portare avanti il difficile, se non impossibile, lavoro di ricucitura. E per questo lavoro ci vuole la mano e l’arte di un moderato. O almeno così penseranno i porporati. Per questo non ci sarà un Francesco II e nemmeno un Pio XIII. Credo piuttosto che avremo un Giovanni Paolo III, a prescindere dal nome che sceglierà.

Chi ha questo profilo? Oltre alla moderazione, deve essere un uomo di esperienza, e non un dilettante come Bergoglio, uno dotato di fermezza e capacità di comando, e con un livello accettabile di ortodossia dottrinale. Unire le parti in cui è stata strappata la tunica richiede abilità politica, flessibilità su alcune questioni e inflessibilità su altre, e capacità di discernere tra le une e le altre. E uno dei candidati che a prima vista sembra riunire tutte queste condizioni è il cardinale Pietro Parolin, e come tale viene presentato dai media. Certo, non è il candidato che sceglierei, ma non sono io a scegliere, bensì i cardinali.

Parolin, però, ha alcuni punti deboli che sicuramente saranno discussi nell’ombra delle mura vaticane dagli elettori. Parolin è la Cina; il gigante asiatico è dietro di lui, ed è stato lui a consegnare la Chiesa cattolica cinese – una Chiesa martire – al Partito comunista, disprezzando il sangue versato dai cattolici fedeli alla fede apostolica per decenni. E questo lo ricorderà con chiarezza e forza il cardinale Zen: «Parolin sa che sta mentendo, sa che io so che è un bugiardo, sa che dirò a tutti che è un bugiardo, quindi oltre che sfacciato è anche audace». Lo ha detto nel 2020 e lo ricorderà nelle congregazioni generali. E Zen, per la sua età e la sua storia, ispira rispetto in tutto il collegio cardinalizio. Parolin lo sa, e lo sanno tutti i suoi compagni della scuola del cardinale Achille Silvestrini. Per questo, se le cose si complicano, ha un sostituto: il cardinale Claudio Gugerotti, un altro silvestriniano, il famoso “Stambecco” del libro degli anni Novanta Via col vento in Vaticano. Già in quel primo libro sulla vita all’interno della Curia vaticana, scritto da qualcuno che ci ha vissuto tutta la vita, si raccontavano le abilità che aveva avuto lo Stambecco, chiamato così non per la barba ma per la sua capacità di arrampicarsi anche sulle montagne più ripide. Potrebbe succedere che il maestro degli scalatori arrivi finalmente alla vetta più alta.

Ma la domanda che possiamo farci è se questa volta con Parolin non succederà quello che è successo nel 2013 con Bergoglio: che i cardinali comprino pesce marcio. Perché la realtà è che il cardinale Parolin non è un moderato, ma fa solo finta di esserlo. È europeista e impegnato nell’Agenda 2030 e in tutti i postulati del wokismo. Si differenzia da Francesco solo per i suoi modi.

Ci sono, ovviamente, altri moderati con possibilità. Il cardinale Péter Erdö è uno di questi, e basta guardare il suo profilo per rendersi conto che è un candidato forte. Un altro è il cardinale Pizzaballa, ma è molto giovane e non credo che verrà eletto; o il cardinale Arbolerius, anche se, secondo me, sarebbe una scelta troppo esotica; o il cardinale Eijk, anche se dovrà fare i conti con la forte opposizione degli europei. Chi avrebbe più possibilità sarebbe il moderatamente moderato cardinale Aveline, anche se è considerato troppo vicino a Francesco, e adesso questa è una sfortuna.

L’ultima domanda che possiamo farci è se il gruppo di cardinali tradizionalisti e decisamente conservatori ha una strategia come quella dei progressisti (proporre Parolin per scendere a patti su Gugerotti). Sicuramente ce l’hanno, e io la intuisco. Ma, ovviamente, preferisco seguire l’Ecclesiastico (37, 10): «Non rivelare i tuoi piani segreti ai tuoi nemici».

Aldo Maria Valli:
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