
Verso il conclave / Questioni giuridiche, errori, dubbi. Norme di saggezza in mezzo all’inquietudine
Ricevo questo contributo dell’avvocato Guido Ferro Canale e volentieri lo propongo all’attenzione dei lettori.
Il paradosso del Comma 22 di cui si parla nell’articolo è formulato nel romanzo Catch 22 di Joseph Heller e nella lingua inglese viene citato con il significato di circolo vizioso.
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di Guido Ferro Canale
Introduzione
In questo momento, siamo tutti d’accordo: la Sede Apostolica è vacante. Ma persistono differenze importanti sul momento a partire da cui lo è. E questo significa, in particolare, che i vari gruppi per cui Benedetto XVI è stato l’ultimo Papa legittimo – sia che ritengano invalida la sua rinuncia, sia che contestino l’elezione di Bergoglio per altri motivi – si trovano a dover decidere se dal Conclave ormai imminente possa uscire un Pontefice oppure solo un usurpatore. Questo non sorprende nessuno, naturalmente: al di là delle ovvie e profonde differenze teologiche, sotto questo punto di vista simili correnti, a meno che non vengano riassorbite, sono destinate a ripercorrere gli stessi sentieri già battuti, qualche decennio fa, da quel sedevacantismo che possiamo ormai chiamare “classico”. Già ora in effetti, complice il notevole ricambio del corpo elettorale ingenerato dal limite di età degli ottant’anni, su di loro incombe inesorabile un dilemma: accettare un’elezione a cui avranno concorso in misura matematicamente decisiva quelli che per loro sono pseudocardinali, o rifugiarsi nella speranza che in qualche modo i rimanenti elettori legittimi trovino il coraggio di indire un Conclave “vero”? Il dogma dell’indefettibilità della Chiesa obbliga a credere che ci sarà sempre la possibilità di eleggere un Papa legittimo, ma certamente ai loro occhi essa si fa sempre più remota in modo angosciante: dopotutto, serve un’autorità ecclesiastica indiscussa per dichiarare che il “Papa putatio”, chiamiamolo così, non era legittimo o che i Cardinali non sono veramente Cardinali, e anche che taluni ultraottantenni in realtà hanno diritto di voto, perché il limite di età è ancorato al giorno in cui la Sede vaca… ma chi, oggi, può ancora possedere una simile autorità indiscussa? E se serve una decisione per capire chi davvero possieda l’autorità per decidere, come si viene a capo di un simile “comma 22”?
Per fortuna o purtroppo, i problemi giuridici sollevati in questo pre-Conclave – credo il più ricco di querelle nella storia recente – sono un po’ più complicati di quanto non sembri. Vediamo di affrontarli nell’ordine più appropriato.
Partecipazione di non Cardinali ed esclusione di Cardinali
Si è discusso molto sul diritto del Card. Becciu di partecipare al Conclave nonostante una “rinuncia ai diritti” relativi a tale ufficio, della quale però non è noto il preciso contenuto, e due lettere fin qui sconosciute, asseritamente siglate da Bergoglio con una “F.” e volte entrambe ad escluderlo almeno da questo Conclave; il problema si è risolto con una sua rinuncia espressa, di cui il Collegio cardinalizio ha preso atto senza fare il minimo cenno a tali lettere. A questa soluzione è sottesa una logica giuridica ben precisa, che conviene mettere in luce perché è importante anche per il problema da cui abbiamo preso le mosse.
Ai sensi dei nn. 35 e 36 della “Universi Dominici Gregis” (UDG), chiunque sia stato creato Cardinali e abbia visto la propria nomina resa pubblica deve essere ammesso al voto, se non ha compiuto ottant’anni di età il giorno in cui la Sede si è resa vacante. Potrebbe essere in soprannumero rispetto al limite di centoventi (cfr. UDG 33),[1] anzi potrebbe essere perfino scomunicato, interdetto, sospeso… e non avrebbe importanza: finché è Cardinale, deve entrare. Si ammettono due sole eccezioni: una è un provvedimento con cui il Papa regnante glielo vieti espressamente, anche solo per ragioni di opportunità (che in questo caso potrebbero essere “c’è un processo in corso e sì, vige la presunzione di innocenza, ma bisogna anche star sempre attenti ad evitare lo scandalo”); l’altra si verifica, ai sensi del n. 38, quando l’interessato comunica un impedimento e il Collegio dei Cardinali lo accetta. Non deve trattarsi necessariamente di un impedimento fisico, può anche essere morale: in questo caso, l’oggettiva incertezza venutasi a creare circa la posizione giuridica del Card. Becciu minacciava di compromettere la validità del Conclave, comunque si fosse deciso di procedere. UDG non indica le conseguenze dell’illegittima esclusione di un elettore, né quelle dell’ammissione al voto di chi elettore non sia; ma su entrambi gli aspetti soccorre il Codice, che detta una disciplina applicabile a tutte le elezioni, dunque pure a quella del Papa se UDG stessa non vi deroga (cfr. can. 20). Ebbene, ai sensi del can. 166 §2, se si tralascia di convocare anche un solo elettore, questi ha il diritto di far annullare (“rescindere”) l’elezione; in maniera anche più drastica, il can. 169 fulmina di nullità tutte le elezioni in cui si ammetta al voto qualcuno che non appartiene al corpo elettorale. Per i Cardinali, quindi, non c’era alcuna soluzione sicura. Ma questo poneva lo stesso Becciu di fronte a un dilemma morale: insistere nel rivendicare il proprio diritto al punto di compromettere la legittimità dell’elezione del Papa, oppure rinunciarvi a rischio di apparire ulteriormente come colpevole? La via prescelta trae tutti dall’imbarazzo e assicura che, almeno sotto questo profilo, il Conclave sia valido.[2]
Ciascuno vede, però, quale ombra i due canoni del Codice gettino sulla possibilità che si arrivi ad un’elezione legittima, una volta che si assuma una prospettiva “benevacantista”: se la Sede è vacante o dal 28 febbraio 2013 o dal 31 dicembre 2022, alcuni Cardinali, che non erano ultraottantenni allora, ma lo sono adesso, non saranno convocati, mentre altri di nomina illegittima parteciperanno.[3]
C’è chi ha pensato di risolvere il problema invocando un giudizio sulla legittimità di Bergoglio da parte dei soli Cardinali di antica nomina;[4] ma al di là del fatto che diversi di loro potrebbero essere parte in causa come appartenenti alla “mafia di San Gallo” o da essa cooptati, e che comunque il solo fatto di averlo pubblicamente riconosciuto come Papa finora porrebbe almeno un problema di credibilità – molto serio – ad un improvviso voltafaccia, escludere i Cardinali di creazione bergogliana non darebbe forse la netta impressione che si sia già deciso?
Salvo che questi ultimi rinuncino volontariamente a giudicare il problema, o a partecipare al Conclave, sembra che non ci siano vie di uscita tali da consentire un’elezione papale sicuramente legittima. Ma in realtà un altro canone del Codice, uno di quelli che si scorrono con occhio distratto senza farci troppo caso, ce ne offre almeno tre.
Errore comune e dubbio probabile
Il can. 144 §1 prevede che “Nell’errore comune di fatto o di diritto, e parimenti nel dubbio positivo e probabile sia di diritto sia di fatto, la Chiesa supplisce, tanto nel foro esterno quanto interno, la potestà di governo esecutiva.”.
Partiamo dall’aspetto più facile: la potestà esecutiva è quella sottesa a tutti i tipi di nomine, compresi quelli che avvengono mediante elezione, anche se il collegio elettorale non è, strettamente parlando, Superiore dell’eletto e non gli conferisce la potestà o l’ufficio (ius in re), ma solo il diritto di acquisirli (ius ad rem).[5]
La supplenza, poi, è un intervento della Chiesa che fa salva la validità di un atto giuridico compiuto da chi è privo del potere necessario.
Quanto ai presupposti, il dubbio positivo e probabile si verifica ogniqualvolta, su una determinata questione di diritto o di fatto, ci si trova alle prese con (almeno) due opinioni contrapposte, ciascuna dei quali si presenta munita di buoni argomenti, cosicché non si può aderire a nessuna delle due senza il timore di sbagliare. Invece, “Si ha errore comune quando nella comunità vi è la convinzione erronea che l’autore dell’atto disponga della debita potestà esecutiva per porlo in essere. L’errore è di fatto quando effettivamente sono molti quelli che nella comunità hanno tale erronea opinione. L’errore è di diritto quando molti incorrerebbero in questo errore se conoscessero gli elementi di fatto. Il Codice vigente specifica che si ha la supplenza di potestà in caso di errore di diritto, rettificando le ambiguità del precedente c. 209 del CIC17.“.[6] In altre parole, l’errore “di” diritto non è un errore “sul” diritto, su qualche elemento della legge, ma un errore virtuale che la legge ha voluto equiparare all’attuale.[7]
Gli autori fanno sempre l’esempio di don Tizio che arriva un posto qualunque come Parroco, ha le carte formalmente in ordine, ma per qualche ragione la sua nomina è invalida. In tempi in cui bisognava confessarsi dal Parroco e la giurisdizione per le confessioni poteva comunque dipendere da quella nomina, ci si poneva il problema di quale fosse la sorte delle assoluzioni sacramentali, ammettendo la supplenza di giurisdizione appunto per errore comune. Di qui è nata anche la figura dell’error communis de iure: non è più necessario interrogare concretamente tutti i membri della comunità per verificare se di fatto la maggior parte di loro sia in errore. Poniamo il caso di un prete che si mette nel confessionale, a disposizione del pubblico, senza avere le facoltà; magari in chiesa ci sono pochi fedeli, quindi manca l’errore de facto della maggior parte della comunità interessata, ma qualunque persona ragionevole che entrasse penserebbe che il detto prete abbia la facoltà di confessare, e tanto basta a giustificar la supplenza. Sebbene gli esempi riguardino i Sacramenti, inoltre, l’istituto si applica a tutto l’ambito della potestà esecutiva.
Il lettore avrà certamente compreso, a questo punto, che questo canone può risolvere molti problemi. Inclusi quelli in esame.
Si danno, infatti, tre possibilità:
1) Il Papa illegittimo, ma considerato legittimo per errore comune, in forza della supplenza compie validamente tutte le nomine, incluse le creazioni cardinalizie, quindi essi sono veri Cardinali. Tra gli autori è discusso se la supplenza si applichi al Papa;[8] ma siccome essa opera anche nel dubbio probabile sulle questioni di diritto (inclusa questa), la controversia andrebbe risolta nel senso dell’applicabilità.
2) Il Papa illegittimo non gode di giurisdizione supplita, ma gli pseudocardinali creduti veri per errore comune sì, perché il can. 144 si applica indubbiamente a tutti i soggetti inferiori al Romano Pontefice e a tutte le forme di esercizio della potestà esecutiva: in questo caso particolare, il can. 144 §1 opera in deroga al can. 169 e ogni elettore “abusivo” vota validamente, anche se continua a non essere vero Cardinale.
3) Vi è una situazione di dubbio positivo e probabile sulla legittimità del Papa defunto, che evidentemente si ripercuote su quella dei Cardinali di sua creazione. Almeno questi ultimi vengono soccorsi dal can. 144, nei termini appena visti.
Si impongono ancora tre precisazioni:
- nel caso del Papa (o anche dei suoi elettori) l’errore comune deve essere proprio della communitasdegli appartenenti alla Chiesa Cattolica; per quanto possano dirsi relativamente numerose le voci di dissenso, non credo che ci siano dubbi sul fatto che la grande maggioranza di detti appartenenti consideri Bergoglio vero Papa e/o i suoi Cardinali veri Cardinali;
- la supplenza di giurisdizione non è una misura di grazia in favore dei soli soggetti che sbagliano, ma una garanzia di validità del singolo atto di cui si discute, quindi anche la minoranza consapevole è tenuta a rispettare ogni atto rispetto a cui si verifichi che è stato posto in momenti e circostanze in cui sussisteva l’errore comune, almeno quello de iure;
- il principio Papa dubius Papa nullus, di segno diametralmente opposto alla supplenza, è stato elaborato dai canonisti in seguito al Concilio di Costanza e riguarda il caso in cui si verifichi un vero e proprio scisma di Papi; ma poiché dal 2013 in poi uno solo ha esercitato l’ufficio papale nella generalità delle varie incombenze – in particolare le creazioni cardinalizie – la nostra situazione è diversa.
In tutti questi casi, il problema della legittimità del defunto non sarebbe risolto e conserverebbe rilevanza per tutti quegli atti che non rientrano nel can. 144 §1, in particolare quelli legislativi o di Magistero, che resterebbero quindi compiuti in assenza di potere. Sarebbe però scongiurata una ripercussione sul Conclave: legittimi o illegittimi, i Cardinali di creaione sospetta voterebbero sempre validamente.
Conclusione
Nel corso della Storia, le elezioni papali controverse non sono state poche e la più nota di tutte, quella del 1378, ha portato al Grande Scisma d’Occidente, che allora parve una frattura insormontabile, quindi un preludio dell’imminente fine dei tempi. Via via però, anche sulla scorta di tale evento, la Chiesa si è dotata degli strumenti giuridici più appropriati ad eliminare ogni dubbio sulla legittima composizione del collegio chiamato ad eleggere il Romano Pontefice e, comunque, sulla validità dei voti espressi. La supplenza di potestà ex can. 144 §1 rientra a pieno titolo in quest’arsenale preventivo e assicura che, se anche si desse il caso di un Papa illegittimo che siede senza rivali per tutta la durata di un regno non breve, l’elezione del successore avrebbe comunque modo di essere legittima. In questi giorni di forte inquietudine, mi sembra opportuno richiamare alla mente queste norme di saggezza.
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[1] Il problema è stato risolto dai Cardinali nel senso di una dispensa dalla legge, implicita nell’atto stesso di creazione di Cardinali in sovrannumero. La soluzione è corretta, ma forse va spiegata. UDG 33, come tutte le altre leggi che hanno preteso di fissare un tetto massimo alle creazioni cardinalizie, è una direttiva dei Papi a sé stessi e ai loro successori per il buon governo della Chiesa, ma non li obbliga in senso stretto e certamente non a pena di nullità: infatti nessuno si sognerebbe di dire che Tizio non è Cardinale perché il suo nome è stato annunciato come 121mo Cardinale elettore. Sisto V, per la verità, volle prevedere la nullità delle creazioni cardinalizie in eccesso (Cost. Ap. Postquam verus ille, §4, in fine: “Quod si unum, vel plures a nobis, vei pro tempore existente Romano Pontifice in futurum ultra dictum numerum eligi in cardinalem, aut creari, aut pronunciari contigerit, decernimus huiusmodi electionem, creationem, et pronunciationem nullam, irritam, et inanem fore, et censendam esse, nullumque ius, seu titulum re aut nomine sic electo, seu electis acquiri, neque eorum quemquam pro cardinali haberi, aut reputari posse, aut debere, neque dictam electionem, creationem, pronunciationem ab initio invalidam, et ultra numerum factam, si postea ad praescriptum numerum moriente uno, vel pluribus cardinalibus ipsum collegium redigatur, propterea ex post facto convalescere, sed uti a principio sic deinceps in perpetuum nullius fore roboris, vel momenti.”), ma tutti convennero che egli non poteva legare le mani ai successori, perché Par in parem non habet imperium, e di fatto Giovanni XXIII superò il limite dei settanta Porporati e il Conclave del 1963, a legge sistina formalmente invariata, si tenne con ottanta elettori, senza che nessuno eccepisse alcunché.
[2] Si noti che UDG non parla mai di una rinuncia all’esercizio dei diritti propri dell’ufficio cardinalizio, anzi configura la partecipazione al Conclave come diritto-dovere; ma in circostanze così particolari il dovere viene meno, perché verrebbe compromessa la validità dell’operazione elettorale cui esso è preordinato e funzionale.
[3] Non ho fatto i conti per vedere se i Cardinali esclusi, nell’ipotesi di vacanza dal 2013, siano più di un terzo del totale (computati solo quelli legittimi): se la risposta è affermativa, allora l’elezione sarebbe nulla anche se nessuno di loro protestasse, perché così vuole il can. 166 §3.
[4] Osservo per completezza che i cann. 1401 e 1405 riservano esclusivamente al Papa ogni giudizio sulle persone dei Cardinali, in tutti i tipi di causa; quindi il Collegio Cardinalizio non può giudicare della validità di una creazione, neppure in Sede vacante, perché UDG 1 e 2 gli vietano, pena la nullità, ogni intervento nelle cause riservate al Papa.
[5] Per quanto riguarda le elezioni, è chiaro che non sono un atto giurisdizione nello stesso senso delle nomine da parte di un superiore, tantomeno poi se parliamo del Papa, cui la potestà è conferita da Cristo, non da alcuna autorità umana. Ogni elezione tuttavia, inclusa quella papale, produce (almeno) un effetto giuridico ben preciso: conferisce all’eletto, con esclusione di tutti gli altri, il ius ad rem, il diritto di diventare Papa, o titolare dell’altro ufficio in questione (cfr. cann. 177 e 178; se l’elezione richiede conferma, il ius ad rem sorge solo con l’accettazione, ma poco cambia, perché solo chi sia stato eletto può accettare). Questa è una modifica unilaterale della sfera giuridica di qualcuno, nell’ambito di un procedimento che è amministrativo perché destinato a sfociare in un tipico atto amministrativo canonico, la provisio, più precisamente la provvista di un ufficio ecclesiastico (cfr. cann. 48, 146 e 147). Quindi ogni elezione è un atto preparatorio, che però già dispiega effetti giuridici, e si pone come primo elemento dell’atto complesso in cui consisterà la provisio (un atto può essere soggettivamente complesso, se devono concorrervi due o più soggetti giuridici, oppure oggettivamente complesso, se risulta dalla combinazione di più atti giuridici; in questo caso sussistono entrambi i tipi di complessità, dovendo concorrere almeno l’accettazione da parte dell’eletto e talora anche la conferma del superiore). Se produce effetti giuridici, necessariamente il corpo elettorale ha il potere di produrli; questo potere è funzionale al pubblico interesse, la copertura di un ufficio vacante, e riguarda funzioni pubbliche, quindi non può avere natura privata; certamente non è legislativo e nemmeno giudiziario, dunque deve essere esecutivo; tanto basta perché rientri nell’ambito di applicazione del can. 144. A riprova, il contenzioso elettorale viene trattato secondo le regole previste per i ricorsi amministrativi e può arrivare fino alla Segnatura.
[6] E. Labandeira, Trattato di diritto amministrativo canonico, Milano 1994, pagg. 126-7
[7] Per la storia dell’istituto in diritto canonico (e non solo), cfr. F.S. Miaskiewicz, Supplied Jurisdiction According to Canon 209. A Historical Synopsis and Commentary, Washington D.C. 1940.
[8] In senso favorevole, cfr. S. A.M. de’ Liguori, Theologia Moralis, Lib. III, Tract. I, Cap. II, Dubium III – De simonia, Art. III – Quae sint poenae simoniae, Qu. IV – An electio Pontificis simoniaca sit nulla (ed. Parigi 1835, vol. I, pagg. 312-3), per il caso di nullità dell’elezione per simonia occulta (ai suoi tempi ipotizzato a carico di Clemente XIV); contra, F.X. Wernz – P. Vidal – Ph. Aguirre, Ius Canonicum ad normam Codicis exactum, vol. II, Roma 1943, pagg. 480-2, nt. 56, sostanzialmente perché la Chiesa non conferisce il potere al Papa e quindi non può supplirlo laddove manchi. Ma a supplenza non è una sanatoria o una ratifica: si tratta semmai di ordinare a tutti coloro che sono inferiori al Papa di riconoscere comunque quei tali atti come validi. E ciò in forza di una legge pontificia.