
Opinione / Trabucco: “Leone XIV, un papato di riequilibrio? Ecco le sfide del nuovo pontefice”
di Daniele Trabucco*
Caro Valli,
l’elezione del Papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost, avvenuta l’8 maggio 2025, nel giorno liturgicamente segnato dalla memoria della Beata Vergine del Rosario di Pompei e dall’apparizione di san Michele Arcangelo, non può essere letta come un evento semplicemente ecclesiastico o canonico. Essa dovrebbe rappresentare un “punctum metaphysicum” nella storia della Chiesa: un’irruzione del principio ordinatore in una fase storica in cui la crisi della forma e della sostanza ha minato le fondamenta stesse dell’ecclesialità. L’apparizione del nuovo Pontefice sulla loggia di San Pietro, nell'”habitus formae” del Successore di Pietro, ha avuto il valore di una teofania istituzionale: ciò che si è voluto restituire alla Chiesa non è stata un’esteriorità ornamentale, bensì la visibilità del sacro, il simbolo reso reale, il rimando immediato alla trascendenza come struttura dell’istituzione che il pontificato di Francesco (2013-2025) aveva di molto ridimensionato.
La Chiesa, nella sua essenza, non è una società religiosa tra le altre, né un organismo in perenne ridefinizione sinodale, ma “Corpus Christi“, struttura sacramentale e ontologicamente derivata dalla seconda Persona della Trinità incarnata. Leone XIV, religioso agostiniano, formatosi nella profondità missionaria del Perù e nella severa architettura speculativa del diritto canonico romano presso l’Angelicum a Roma, si presenta come il pontefice che potrebbe ricondurre l’ecclesiologia alla teologia e quest’ultima alla metafisica. La sua figura, nutrita dall’interiorità agostiniana e dalla grammatica dell'”ordo iuris“, dovrebbe essere risposta silenziosa alla dispersione orizzontale e processuale che ha segnato una parte significativa dell’ultimo pontificato. Il nome scelto, Leone, evoca non una continuità semplicemente affettiva o commemorativa, quanto un’analogia di ordine e di spirito. Leone XIII, pontefice dal 1878 al 1903, fu il Papa del “reductio ad principia“, del ritorno al tomismo come “metaphysica ecclesiae“, del realismo dell’intelligenza contro l’ideologia della volontà, del riconoscimento della legge naturale come partecipazione razionale alla legge eterna. Se Leone XIV, non iper-progressista ma neppure totalmente conservatore (non certamente tradizionalista), intende raccogliere tale eredità, la sua missione non potrà che consistere nella restaurazione dell’intellegibile, nella ricostruzione dell’essere come fondamento della norma e della prassi. In questo senso, il suo pontificato è chiamato ad essere “actus metaphysicus“, ovvero a restituire alla Chiesa la sua intelligibilità ontologica e il suo fondamento nella verità increata. Una sfida certamente non facile.
Le parole pronunciate nel primo discorso alla Chiesa universale si sono aperte con il saluto evangelico: “La pace sia con voi”. Si è trattato, almeno ad avviso di chi scrive, di una parola performativa, non di un convenevole retorico. La “pax Christi“, come Leone XIV ha lasciato intendere, non è conciliatoria nel senso politico del termine, né frutto di un processo dialogico indefinito: è la quiete dell’ordine, è l’unità del molteplice sotto la regola della verità. In un mondo ecclesiale spesso disorientato da una logica discorsiva priva di principio e fine, questa affermazione della pace come esito teologico e ontologico ha il valore di una rifondazione, soprattutto nel contesto geopolitico multipolare attuale. Questa dovrebbe essere la linea da seguire in relazione al tema, solo accennato ma teoreticamente denso, della sinodalità. Pur richiamando la linea tracciata dal suo predecessore, Leone XIV ha il compito non semplice di riequilibrarne le premesse. La sinodalità, se intesa in senso sacramentale e gerarchico, può esprimere il mistero della Chiesa come unità nella distinzione; ma quando essa diventa categoria autoreferenziale, senza il vincolo di una forma sostanziale, rischia di dissolversi in prassi assembleare. La filosofia classica insegna che il molteplice, per essere intelligibile, deve essere ordinato all’uno. Analogamente, la Chiesa può camminare solo se è ancorata, per partecipazione, alla stabilità dell’Essere che la fonda. Il dialogo, in questa prospettiva, non è luogo della verità, ma via verso di essa, condizione subordinata al possesso di un principio.
Ogni ecclesiologia che prescinda dalla metafisica è destinata a diventare antropologia religiosa. Questo appare con particolare urgenza nei temi etici, su cui Leone XIV non si è ancora espresso, ma che rappresentano oggi il banco di prova della fedeltà della Chiesa alla verità naturale e rivelata. La bioetica, l’antropologia della sessualità, la famiglia, il valore della vita umana dal concepimento alla morte naturale, la giustizia sociale non ridotta a redistribuzione orizzontale: tutte queste questioni esigono una risposta non meramente pastorale, come ha fatto Francesco, ma ontologicamente fondata. In un contesto in cui domina il nominalismo morale, il Papa è chiamato a riaffermare la “lex aeterna” come principio normativo dell’agire umano. L’etica, se separata dalla metafisica, diventa prassi soggettiva e la dottrina morale della Chiesa, ridotta a “orientamenti”, perde la sua forza normativa e salvifica. Non minore è la posta in gioco rappresentata dalla crisi degli abusi (vanno chiarite alcune ombre che circolano su sue presunte coperture di sacerdoti accusati di pedofilia): non solo scandalo morale, ma frattura teologica. Qui la giustizia, per essere autentica, dovrà fondarsi su una “recta ratio iuris“, che non opponga misericordia e verità, ma ne mostri la coappartenenza nella luce della santità. Leone XIV sembra consapevole che non basteranno riforme procedurali, né operazioni di immagine: occorre un nuovo inizio spirituale, un’ascesi della struttura ecclesiale, che riporti la santità al centro della forma istituzionale.
Se il pontificato di Leone XIV saprà procedere lungo questa via, recuperando la centralità del “Logos“, la struttura ontologica della Chiesa e l’unità del vero e del bene, allora la sua elezione segnerà non semplicemente un cambio di stagione, ma una “conversio ad principium“. In una modernità ecclesiale che ha smarrito il senso dell’essere, egli potrebbe ridare alla Chiesa ciò che le è essenziale: non la mera rilevanza storica, bensì la testimonianza dell’eterno nel tempo. La pace di Cristo, che è ordine, verità e giustizia, sarà allora non un’utopia pastorale, ma il sigillo teologico di un pontificato ordinato all’essere e aperto all’eternità. Lo valuteremo e lo giudicheremo con amore e rispetto filiale.
*professore strutturato in Diritto costituzionale e Diritto pubblico comparato presso la SSML/Istituto di grado universitario “San Domenico” di Roma. Dottore di Ricerca in Istituzioni di diritto pubblico