Un viaggio al Cairo

di Marco Anca

Dovevo andarci nell’autunno 2023, ci sono andato ora.

Nel 2010 avevo trascorso un’intensa e interessante giornata nella levantina Alessandria d’Egitto con una sosta della crociera, ma il Cairo ha meritato quattro notti.

Destinazione di enorme interesse culturale, ci ho messo mesi per prepararla adeguatamente, soprattutto in tema cristiani d’Oriente, per i quali ho una passione.

Tappa molto impegnativa. Perché è un mondo completamente diverso dal nostro, e lì siamo noi che ci dobbiamo adeguare, motivo per il quale suggerisco di andare con un tour operator locale molto professionale discutendo nei dettagli il programma della visita, e con la garanzia che fornisca guida e autista validi.

Costa, ma ne vale la pena. Tutto è scritto in arabo e molti parlano solo quello, ma anche nei modi di relazionarsi occorre attenzione. Per esempio lì il tipico comportamento informale, sbrigativo e poco cerimonioso di noi milanesi è maleducazione.

Il Cairo è una città araba di 25 milioni di abitanti, inquinata, caotica (anche se temevo peggio), con un traffico folle (non ci sono quasi né semafori né cartelli stradali, e imperversano motorette e tuk tuk tutti abusivi) e il perenne suono dei clacson. Aggiungiamoci cani e gatti randagi a profusione, qualche gregge di pecore e capre, i condomini in uno stato pietoso, i bar frequentati solo da uomini, le piccionaie sui tetti e alle 4:30 del mattino il disco con la preghiera del muezzin a tutto volume.

Ma c’è anche molta sostanza culturale, millenni di storia.

Partiamo dai cristiani d’Oriente, che sono tra il 10 ed il 15% della popolazione. Vi abbiamo dedicato due giorni.

Il Cairo copto ha diverse chiese storiche copte ortodosse. La più bella è la Chiesa Sospesa, con opere di artigianato molto simili a quelle che vidi a Damasco.

I copti ortodossi sono tanti, sia in Egitto sia nella diaspora, molto religiosi, e sono gente tosta, perché non è facile essere minoranza in un paese musulmano arabo. E ricordo che l’ortodossia è un cemento fortissimo. Non a caso abbiamo visto diverse comitive di turisti rumeni e russi.

Avrei voluto andare a vedere anche il quartiere degli zabbalin, i copti che vivono riciclando rifiuti (anche con contratti con il comune del Cairo che non sa a che santo votarsi per il problema dello smaltimento), ma mia moglie si opposta.

Dicono che la capacità di riciclo dei rifiuti da parte degli zaballin (che allo scopo utilizzano anche maiali) sia superiore a quella di tante imprese specializzate. La nostra guida, musulmana, sostiene che il riciclaggio rende molto bene dal punto di vista economico. Di certo gli zaballin vivono in condizioni spaventose, letteralmente in mezzo alla spazzatura.

Gli egiziani sono quasi tutti filorussi. E detestano gli americani (e pure gli ex colonialisti inglesi) con teorie su alcuni accadimenti da far impallidire molti complottisti.

Nella Cairo copta ci sono la chiesa greco ortodossa di San Giorgio, di forma circolare, e l’antica sinagoga Ben Ezra.

A tal proposito, una precisazione e una curiosità. La comunità greco-ortodossa è formata dai discendenti della comunità greca, un tempo numerosa ma oggi dai numeri assai incerti perché non è facile quantificare i greci con cittadinanza egiziana.

Circa la sinagoga Ben Ezra, chiamata anche Sinagoga Levantina, sefardita, negli anni Cinquanta il bel libro “La casa sul Nilo” di Denise Pardo ci dice che aveva un rabbino ebreo livornese dal cognome Mosseri.

Stando a internet, la sinagoga è oramai un museo perché gli ebrei al Cairo sono una presenza minuscola. Sul posto però vi dicono che il tempio è attivo, perché gli ebrei, anche se pochi, ci sono, e sono pure ricchi e influenti.

E mi viene in mente una cosa che vidi a Beirut. In un bel supermercato di Verdun, quartiere sunnita benestante, c’era uno scaffale di cibi kosher. Perché si vende cibo kosher se non ci sono ebrei? Feci presente la cosa a diverse persone: in risposta ottenni imbarazzate supercazzole.

Visito le chiese dei vari riti cattolici e ortodossi: armene, siriache, melchite, greche ortodosse, caldee, maronite, oltre che copte cattoliche. Segno della presenza di comunità (non grandi) non arabe, eredità dell’Impero Ottomano.

Nella chiesa latina ho la fortuna di incontrare il vicario apostolico, monsignor Claudio Lurati, che è di Como. Mi racconta molte cose interessanti.

La prima è che benché l’arabo standard sia l’arabo egiziano, in realtà ogni popolazione parla un diverso arabo da strada, e anche lui, per farsi capire, tiene le omelie in un arabo popolare.

La seconda è che i fedeli di rito latino sono i discendenti degli italiani, e di qualche altro paese europeo, che vivevano qui, rinforzati dagli espatriati e da comunità di immigrati come gli eritrei (molti dei quali però sono copti ortodossi e vanno nelle chiese copte) e i sudanesi.

La terza è che in alcuni aspetti la giurisprudenza civilistica è rimasta eredità concettuale del millet ottomano, per esempio nei divorzi, ma quando a divorziare sono due coniugi cristiani di riti diversi il giudice musulmano annaspa perché non sa a che giurisprudenza affidarsi, per cui stanno pensando di considerare come “foro competente” quello del rito nella cui chiesa è stato celebrato il matrimonio.

La quarta è che gli egiziani sono abituati a convivere con i cristiani, che sono autoctoni, mentre per esempio algerini e marocchini ignorano totalmente il fatto che esistano arabi cristiani (ignoranza condivisa da molti europei, ahinoi).

I cristiani vivono soprattutto in alcuni quartieri, tra cui Shoubra, Daher ed il bel quartiere Belle époque di Heliopolis.

Un altro incontro interessante: quello con l’abuna Filipos, il parroco della chiesa siriaca ortodossa, con il quale parlo in spagnolo perché lui è stato parroco anche a Cordoba in Argentina (infatti lo parla con accento argentino), e mi dice che la situazione dei cristiani in Siria è molto critica e difficile, aria pesante. Informazioni di prima mano dato che il patriarca siriaco ortodosso risiede a Damasco.

Un giorno lo dedico al Cairo islamico. Molto interessante la visita delle moschee, in primis quella, imperdibile, Al Azhar, una specie di Università Gregoriana del mondo sunnita (cito un amico che ha fatto questo paragone): qui studenti da tutti i paesi musulmani, ma zona caotica e sporca e con diverse persone poco amichevoli. Strano, visto che nel resto della metropoli gli italiani sono benvoluti e se poi ci si rivolge alle persone con il tipico saluto arabo si ricevono sorrisi amichevoli e non di rado la proposta di fare foto insieme.

La mattina prima della partenza, ecco piramidi e sfinge. Tutto interessante, ma per un contemporaneista come me tre ore di spiegazione sull’antico Egitto sono state interminabili.

Ho alloggiato in un collegio cattolico, quello dei padri lasalliani, nel quartiere di Daher, un complesso molto grande, per 2.500 studenti. Sistemazione spartana, ma imbattibile come rapporto qualità-prezzo.

A proposito di scuole, anche in Egitto, come negli altri paesi del Levante (e l’Egitto è Levante, lo si vede anche nella cucina), ci sono molte scuole cristiane, soprattutto cattoliche, con separazione tra maschi e femmine. La classe media musulmana ci manda i figli per dare loro un’istruzione di qualità, per cui fuori dalle scuole cattoliche vedete madri musulmane col velo (colorato, perché quello tutto nero, come in altri paesi, è indossato dalle donne del proletariato e sottoproletariato).

Il direttore del collegio, un levantino, mi dice che nelle scuole gli studenti sono solo per metà cristiani (soprattutto ortodossi): l’altra metà è musulmana.

Quasi tutte le scuole, anche quella delle suore francescane, diretta dall’anziana ed energica suor Angelina, in piazza Tahrir (curioso lo stile razionalista anni Trenta di una facciata), insegnano in francese, tanto che gli alunni vi ottengono il titolo di studio francese.

I francesi investono moltissimo in queste scuole, sia con denaro sia con l’invio di giovani insegnanti (che poi scoprono il cattolicesimo e si battezzano al Cairo). La Francia quindi mantiene una significativa presenza culturale, mentre l’Italia fa molto poco, ed è un peccato, perché ci sarebbero tante opportunità.

Importante: tutti questi ragazzi della classe media musulmana, che studiano in scuole cattoliche, da adulti saranno preparati a interagire positivamente con i cristiani. Almeno così si spera.

Un accenno all’economia. L’Egitto è stato costretto, per avere un prestito, ad applicare le solite ricette folli del Fmi, cioè dollarizzazione con drastica svalutazione della moneta, inflazione e sanità a pagamento che ha causato una catastrofe sociale. Non a caso L’Egitto sta ora cercando, partendo dalle aree meno popolate, di ricostruire il servizio sanitario nazionale. Anche per questo gli americani qui sono maledetti, inutile usare eufemismi.

Mi dicono che diversi egiziani emigrati in Italia, dopo anni di duro lavoro da noi, sono tornati in patria e hanno aperto attività imprenditoriali, mentre quelli che partono verso l’Italia sui barconi sono giovani in cerca di soldi facili.

Una battuta su Nasser. Chiedo alla nostra guida come lo vedono gli egiziani di oggi e lui risponde: “I più poveri, i contadini, lo adorano ancora oggi, ma è facile regalare cose non tue”. Aggiunge che ai tempi non pochi contadini furono costretti a vendere i terreni ricevuti, perché non avevano la mentalità e le capacità dell’imprenditore agricolo, quindi non basta “togliere ai ricchi per dare ai poveri”, ma bisogna far crescere i poveri culturalmente e professionalmente.

Noto, infine, che le guerre con Israele fanno tuttora parte integrante della memoria storica degli egiziani.

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