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Lettera a “Duc in altum” / Quando un’associazione cambia pelle (senza dirlo)

Caro Valli,

sono profondamente sconcertata da quanto sta accadendo all’interno dell’associazione di cui faccio parte da poco più di un anno, l’Associazione nazionale famiglie numerose. In qualità di volontaria della mia zona, ho sempre messo a disposizione tempo, energie e risorse personali per sostenere gli associati, condividendo con loro una visione comune fondata su valori ben definiti: il matrimonio tra uomo e donna e la centralità della famiglia generativa.

Tuttavia, con crescente preoccupazione, apprendo che i nuovi vertici intendono modificare radicalmente l’identità dell’associazione, aprendo alle coppie omogenitoriali, definendo questo passaggio come “fisiologico”. A preoccupare non è solo il contenuto del cambiamento, bensì e soprattutto il metodo: si intende modificare i documenti fondanti dell’associazione senza alcuna consultazione chiara, aperta e trasparente con gli associati, come se si volesse evitare volutamente ogni possibilità di dibattito. Le poche realtà – tra cui alcuni storici associati e aziende sostenitrici – che sono venute a conoscenza di quanto sta accadendo hanno espresso forti riserve. Eppure, ogni tentativo di avviare un dialogo con gli organi direttivi è rimasto inascoltato.

Il cambiamento viene giustificato come necessario per conformarsi a criteri richiesti dalla normativa del terzo settore, ma questa motivazione non basta a tranquillizzare chi, come molti di noi, è legato ai valori fondativi dell’associazione stessa, tra l’altro non mi risulta che l’attuale normativa del terzo settore, appunto, imponga l’inclusione di “canoni LGBTQ+” riguardo a ciò che è una famiglia.
A complicare ulteriormente il quadro vi è l’accoglienza – avvenuta in sordina – di una coppia di genitori omosessuali, senza che ciò venisse comunicato chiaramente agli associati. E non posso accettare le giustificazioni che mi sono state date in merito alla vicenda dal direttivo nazionale e regionale, paragonando la situazione della “coppia omogenitoriale” con la quella mia: madre single con tre figli avuti con un uomo all’interno di un matrimonio.

Temiamo che l’identità profonda della nostra realtà venga progressivamente snaturata e che presto si lasci spazio a temi come il gender e ad una progressiva accettazione di pratiche, come surrogazione o utero in affitto, che esulano dalla vocazione originaria dell’associazione. Non si tratta di timori infondati: alcuni responsabili che hanno espresso, in modo civile e legittimo, perplessità, si sono visti costretti ad abbandonare i propri incarichi all’interno dell’associazione perché oggetto di critiche e attacchi per la loro scelta.

È fondamentale che tutti gli associati siano messi a conoscenza della verità su quanto sta accadendo. Non possiamo accettare che cambiamenti così rilevanti vengano calati dall’alto, in modo opaco e non partecipativo per timore di una possibile disaffezione.

Chiedo, pertanto, che questa lettera venga pubblicata in modo che si possa rompere il silenzio e promuovere un dialogo autentico, senza più ambiguità né zone d’ombra. Nascondere cambiamenti così radicali dietro formule burocratiche o giri di parole è una forma di manipolazione inaccettabile, soprattutto per un ambiente associativo. Se il nuovo corso è davvero questo, allora si abbia il coraggio di dichiararlo pubblicamente e di assumersene fino in fondo la responsabilità.

Con stima

Carolina Profeta

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Aldo Maria Valli:
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