Preghiere islamiche in spazi cattolici. Qualche punto fermo

di Vincenzo Rizza

Caro Aldo Maria,

ha fatto discutere di recente la preghiera dei musulmani nei campi sportivi delle parrocchie di Staranzano e Monfalcone per la festa islamica del sacrificio [qui].

La polemica è scoppiata dopo che è stata mostrata una foto in cui si vede la statua del Cristo coperta da un asciugamano. Sono insorti alcuni politici locali, denunciando un fatto grave e inaccettabile; lo stesso parroco che ha concesso gli spazi ha affermato che “nessuno si sarebbe dovuto permettere di fare una cosa simile”. Anche la comunità islamica ha preso posizione condannando il gesto innanzitutto perché un “buon musulmano deve avere un rispetto sacro per Gesù, che per noi è un grande profeta”.

Non per essere contro corrente, ma francamente non trovo scandaloso quanto successo o quanto meno non nei termini in cui i fatti sono stati rappresentati. Ritengo, infatti, che il problema non consista tanto nella copertura della statua ma nel concedere spazi della parrocchia per altri culti; superato questo ostacolo, non vedo perché i fedeli musulmani debbano essere costretti a pregare davanti alla statua del Cristo (che peraltro molti per ignoranza non sanno neppure che sia per loro un profeta) o della Vergine Maria. Se a una comunità cristiana fosse concesso, per mancanza di altri spazi, di pregare all’interno di un monastero buddista, non troverei sconveniente (anzi) che i fedeli portassero con sé un crocifisso e occultassero temporaneamente la statua di budda durante la preghiera per non essere costretti a inginocchiarsi davanti ad un idolo.

In fondo il musulmano che ha compiuto il gesto non ha distrutto la statua (e di questi tempi è già una conquista, visti i numerosi atti vandalici subiti da molte chiese in Italia e nel mondo), ma si è limitato, bontà sua, a coprirla.

Ribadisco, allora, che il problema consiste proprio nel concedere spazi della parrocchia per un culto diverso. Delle due l’una: o si concedono gli spazi e si accetta che chi li gestisce possa liberamente professare il proprio credo anche occultando temporaneamente i simboli del cristianesimo che non riconosce, o si nega legittimamente il consenso al loro utilizzo e si preservano tali spazi alla loro destinazione originale.

Il dialogo interreligioso a tutti i costi comporta inevitabilmente, tanto più nell’Occidente secolarizzato, un passo indietro del cristianesimo e l’avanzata in questo caso della religione islamica che già in passato (come per la verità anche il cristianesimo) ha spesso occupato e trasformato luoghi sacri altrui per affermare la superiorità della propria religione. Gli esempi sono molteplici: dalla Cupola della Roccia a Gerusalemme (costruita nella spianata in cui sorgeva il Tempio) alla moschea di Santa Sofia a Istanbul (un tempo cattedrale e sede del Patriarcato di Costantinopoli).

In questo caso, per fortuna, non sono stati concessi luoghi consacrati ma spazi di proprietà della parrocchia (i campi sportivi). Spero comunque che episodi come questo possano servire da insegnamento per riflettere sul significato stesso del dialogo interreligioso e sui suoi limiti: il rispetto reciproco, infatti, non può basarsi su concessioni o su gesti simbolici che finiscono troppo spesso per svilire l’identità, la memoria e il significato profondo del luogo ospitante.

 

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