Lettera / Follia gender al seggio elettorale

Caro Valli

condivido con lei e i lettori di “Duc in altum” l’esperienza che ho vissuto al seggio di una importante città del Nord Italia che lei conosce molto bene.

Essendo stato scelto presidente del mio seggio, nel ricevere i registri elettorali suddivisi in maschi (azzurri) e femmine (rosa) ho provveduto a preparare manualmente due cartelli manuali per indirizzare gli elettori verso gli scrutatori a cui avevo affidato i due registri.

Mal me ne incolse. Nel flusso relativamente basso di elettori, ne è capitato uno che, accortosi dell'”offesa”, mi ha apostrofato intimandomi in modo piuttosto aggressivo di togliere i cartelli in quanto discriminatori. In proposito, ha citato una legge appena approvata e che non dubito esista, peraltro. Gli ho risposto: “Felicissimo (pur non condividendo) di rispettare quella legge quando anche il mio sindaco lo farà per primo, inviando un registro unisex senza più distinzioni di genere (posto che il genere esista ancora)”. Ma l’elettore, al mio rifiuto di togliere i cartelli, ha preteso, sempre con atteggiamento aggressivo, che verbalizzassi la cosa (richiesta se vogliamo lecita, per quanto stupida) chiamando perfino la polizia e lamentando che io lo stavo facendo attendere in modo non educato. Il paradosso è che, poiché lui stava disturbando le operazioni di voto e il presidente di seggio è a tutti gli effetti un pubblico ufficiale, avrei potuto essere io quello titolato a chiamare la polizia per allontanarlo.

I cartelli sono rimasti lì, ma questo per dire come siamo ormai diventati ostaggio di certe situazioni e di certe persone. Quos Deus perdere vult, eos prius dementat.

Un suo lettore di lunga data

 

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