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Opinione / Se cade Teheran…

di Martino Mora

Se cade Teheran non cade soltanto un regime islamico, per quanto meno oppressivo di quello saudita o sudanese o pakistano. Se così fosse non ci sarebbe granché di cui preoccuparsi, almeno da parte mia.

Se cade Teheran, invece, cade ogni possibilità di un mondo multipolare, anche se Mosca e Pechino restano in piedi.

La vittoria di Tel Aviv (e di Washington) contro Teheran sarebbe la vittoria di un mondo geo-politicamente unipolare, di un uni-verso geopolitico in cui l’America e Sion continueranno a dettare legge. Questo è il punto decisivo.

Perderebbe ogni concretezza la possibilità di pluri-verso politico al quale corrispondano modelli diversi di civiltà.

Se cade Teheran, perde geo-politicamente la Terra e vince il Mare, lo spazio liscio della globalizzazione tecnico-mercantile e del mondialismo american-sionista. Contro la Terra, cioè il radicamento, le identità e la tradizione.

Fu Carl Schmitt (1888-1985), il più grande giurista del XX secolo, a teorizzare questa dicotomia tra Terra e Mare, già presente nella geopolitica dell’imperialismo inglese come formulata dal geografo Halford MacKinder (1861-1947).

Il mondo del Mare è il mondo liberalcapitalista, che ha voluto imporre con forza l’utopia della globalizzazione, e corrisponde a un ben preciso modello di civiltà in cui il denaro, le merci e la tecnica dettano legge. Un modello in cui il pansessualismo sterile e deteriore, il mondo Lgbt, il femminismo, l’abortismo, il gender, il dirittismo, il politicamente corretto e l’individualismo scatenato sono la norma. In cui predomina la massificazione uniforme e ogni tipo di omologazione antiumana, dove tutte le differenze sono odiate e messe al bando, tranne la più volgare, quella della ricchezza. Un modello nel quale i valori spirituali sono negletti in ogni modo e oltre l’ateismo (ormai moneta vecchia) si affermano forme di spiritualità occultista, corrotta e deviata, persino rovesciata, accanto al transumanesimo e al materialismo più soffocante.

È il mondo della civilizzazione universale, il mondo di Davos e di Silicon Valley. Il mondo dei mercanti, dei banchieri, del rap, del trap, dei sodomiti tatuati e delle femministe urlanti. Il mondo in cui Cristo è al bando nella sua stessa Chiesa, ormai svuotata dall’autodemolizione. Il mondo per il quale gli untori della globalizzazione unipolare, liberal-progressisti e liberal-conservatori, sinistra e destra, lottano insieme fingendo di azzannarsi, ma andando perfettamente d’accordo sulla meta da raggiungere: la nuova Babele.

Se cade Teheran vincono Davos, Washington e Tel Aviv. Non cade l’islam, che soprattutto nella versione sunnita non urta affatto i Padroni, perché serve, qui in Europa, al progetto del “meticciato”. Se cade Teheran cade invece ogni possibilità di un mondo multipolare, che corrisponda almeno in parte a spazi di civiltà diverse, non certo perfette, ma non del tutto travolte dalla plutocrazia finto-democratica, dal mercatismo selvaggio e dall’istintualismo orgiastico e tribale della civilizzazione occidentale, ormai non solo anticristiana ma persino anticristica nel suo nichilismo estremo.

Se cade Teheran vince Davos.

 

Aldo Maria Valli:
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