
La fede di papa Leone e i nervosismi degli avversari
di padre Santiago Martín
Si racconta un aneddoto su colui che fu segretario di Stato con Paolo VI e anche con Giovanni Paolo II. Mi riferisco al cardinale Casaroli. Poiché l’ho sentito raccontare in diverse occasioni, da persone diverse, deduco che possa essere vero. Durante una conversazione alla quale partecipava Casaroli, qualcuno fece un elogio a Giovanni Paolo II, che non era papa da molto tempo, dicendo di lui che era una persona di grande fede, che si vedeva che credeva in Dio. Al che il cardinale italiano intervenne dicendo che il pontefice «credeva in Dio più di Dio stesso». Era un’ironia, un modo non troppo sottile per ridicolizzare qualcuno che non gli piaceva perché non condivideva la sua ostpolitik, le sue concessioni al comunismo. Ma, in fondo, era anche un’accusa contro il papa, che Casaroli considerava un radicale, a cominciare dall’essere esagerato nella fede che aveva in Dio.
Ho ripensato a questo aneddoto questa settimana, ascoltando i diversi interventi di papa Leone. Non credo si possa dire che abbia troppa fede in Dio, ma si può affermare che ha fede e che è ferma e coerente. Non fa sfoggio della sua fede, ma in ogni suo messaggio essa emerge chiaramente.
Ad esempio, nel messaggio per la Giornata mondiale dei poveri, pur chiedendo di non abituarci alla povertà degli altri come a qualcosa di irrimediabile, ha affermato che «la più grande povertà è l’assenza di Dio» e in queste parole era presente santa Teresa di Calcutta, poiché era quasi una sua frase letterale. Penso al messaggio alla Conferenza episcopale italiana, con la quale si è riunito per la prima volta, e nel quale ha chiesto ai vescovi di mettere Cristo al centro e di impegnarsi per raggiungere l’unità tra loro. Penso anche al messaggio letto durante l’udienza di mercoledì, in cui, meditando sul miracolo del paralitico nella piscina e sulla stagnazione spirituale, ha affermato che il cuore di Cristo è «la vera casa della misericordia».
Tutti i suoi messaggi, senza eccezione, hanno Cristo al centro, sono carichi di spiritualità, sprigionano amore e ci mostrano com’è il cuore del pontefice: un cuore pieno di fede e di speranza. Un cuore credente e innamorato.
Ma non tutti sono contenti di lui. Se la settimana scorsa parlavo degli attacchi che il papa stava iniziando a subire da parte di piccoli squali, adesso è stato un pezzo più grosso a intervenire, anche se la sua critica non è stata diretta contro il papa. Mi riferisco al teologo laico Andrea Grillo, considerato il principale consigliere di papa Francesco nelle restrizioni alla messa tradizionale e fervente difensore sia del sacerdozio femminile sia della bontà degli atti omosessuali. La vittima di Grillo è stato nientemeno che il beato Carlo Acutis. Secondo Grtillo, il santo adolescente aveva una fede infantile nell’Eucaristia, che lo portava a dare importanza ai miracoli eucaristici e, quindi, alla presenza reale del Signore in essa. Ciò era dovuto, secondo Grillo, al fatto che Acutis aveva avuto «cattivi maestri», che gli avevano inculcato una fede arcaica nell’Eucaristia, una «cattiva educazione eucaristica» la definisce Grillo.
Ma il malessere di questi personaggi minori, che hanno ormai perso la loro influenza, va oltre, perché riguardar non solo ciò che il papa dice, ma anche ciò che fa. Ad esempio, li ha infastiditi la decisione di trascorrere alcuni giorni di riposo in luglio e agosto nel palazzo pontificio di Castel Gandolfo, sulle rive del lago di Albano, sulle colline a sud-est di Roma. Il papa non solo non risiederà a Santa Marta e tornerà al palazzo apostolico, ma andrà anche in vacanza per alcuni giorni nella casa estiva che i pontefici hanno usato per secoli per alleviare un po’ il caldo romano e che Francesco non ha mai utilizzato. Decisioni come questa stanno irritando i fans di Bergoglio, i quali, non osando andare direttamente contro papa Leone, lo attaccano indirettamente, anche se si tratta di santi o beati, come nel caso di Carlo Acutis.
Non so se la nomina, avvenuta questa settimana, di un liberale per l’arcidiocesi di Brisbane, in Australia, sarà sufficiente a calmarli. James Martin era euforico, perché il nuovo arcivescovo è un fervente sostenitore dell’ordinazione sacerdotale femminile, ma forse dimenticano che queste nomine risalgono a prima e il papa vuole procedere con calma per non vanificare fin dall’inizio quello che considera il primo obiettivo del suo pontificato: raggiungere l’unità della Chiesa. Per i liberali è troppo presto per cantare vittoria, perché in realtà il gioco non è ancora iniziato.
Preghiamo per il Papa.
Foto: vaticannews